Che cosa mi ha attirato di questo libro? Il titolo. Si è trattato di una sorta di "deformazione professionale". Chi di voi mi conosce personalmente sa già che io mi occupo di stato civile, cioè registro nati, morti e matrimoni nel Comune in cui lavoro. E nella mia carriera lavorativa mi è capitato di registrare alcune nascite di figli di donna che non consente di essere nominata. La legge italiana permette infatti alle donne di partorire nell'anonimato e lasciare il bambino in ospedale, affinchè sia dato in adozione. La ratio di tale norma è quella di consentire un parto in sicurezza e quindi tutelare la salute della madre e anche del bambino, evitare che la donna abortisca (se non lo desidera o non è possibile legalmente) tutelando la propria persona e dare al più presto una famiglia a questi bambini. Quando ho dovuto affrontare questi casi, ammetto che, da madre, ho faticato molto a capire le ragioni che hanno portato queste donne all'abbandono e non ho molto riflettuto invece su quali sarebbero state le conseguenze per i bimbi. Ciò forse è dipeso dal fatto che questi bambini sono stati affidati prestissimo ad una famiglia adottiva e li ho pensati accuditi, amati e al sicuro, sicuramente più che se allevati da madri probabilmente in gravi difficoltà personali, familiari, economiche.
Leggendo il romanzo autobiografico di Emanuela Bizzotto, quarantottenne trentina e tre volte mamma, ho potuto conoscere anche la versione del figlio abbandonato e soprattutto scoprire che questi bambini si portano dentro quasi sempre una irrefrenabile voglia di sapere, di scoprire le motivazioni che ci sono dietro al loro abbandono e quali sono le loro vere radici biologiche.
Emanuela Bizzotto ci racconta tutta la sua vita, dall'infanzia fino ad oggi, da quando i suoi genitori adottivi l'hanno portata a casa, a Telve, dall'istituto a cui era stata affidata - aveva 4 mesi - al lungo percorso intrapreso per cercare la madre biologica. Lo fa narrando le sue vicende personali con passione, con un linguaggio semplice ed efficace, in modo emozionante. Le parole scorrono veloci, il racconto si fa avvincente. Non si nasconde, ci confida il dolore subito, le fragilità superate, i dubbi che l'hanno assalita - alcuni ancora faticano a dissolversi.
Emanuela riesce a trovare Luisa, la sua mamma biologica, nel 2019. La ricerca era iniziata però molti anni prima e ha subito diverse fasi di arresto. Dovete infatti sapere che le copie degli atti di nascita degli adottati non sono rilasciabili da parte dell'ufficiale dello stato civile. Ciò può avvenire solo a seguito di una autorizzazione del Tribunale dei minori ed in determinate situazioni previste dalla legge. Tuttavia, se la madre al momento della nascita aveva scelto di partorire in anonimato (e quindi non nel caso di bambini riconosciuti e successivamente abbandonati o tolti ai genitori naturali), riuscire a scoprire le proprie origini diventa molto più complesso e ciò è possibile solo dal 2013, a seguito di una pronuncia della Corte Costituzionale. Molto spesso però nemmeno i Tribunali riescono a rintracciare la madre e se ci riescono, lei ha comunque il diritto a rimanere anonima. Deve essere contattata dal Tribunale, generalmente attraverso i servizi sociali ed in modo molto discreto, ed è lei a decidere se togliere l'anonimato.
Non vorrei che leggendo la mia recensione vi foste fatti un'idea sbagliata su questo libro. Non si tratta di un saggio sull'adozione o di un trattato sul giusto percorso giuridico da intraprendere per trovare le proprie radici biologiche, ma di una sorta di "diario ex post", un resoconto profondo e pieno di sentimenti, sulle tappe della vita di Emanuela, segnata dal "marchio dell'abbandono". Vi affezionerete alla Emanuela bambina, ai suoi genitori adottivi, farete il tifo per lei quando cercherà la sua mamma biologica, vi emozionerete quando alla fine la troverà e scoprirà di avere altri parenti stretti che piano piano sta conoscendo e stanno entrando nella sua vita.
Vi chiederete come mai Emanuela abbia condiviso "i panni sporchi" della sua famiglia con il vasto pubblico dei lettori. Lo ha fatto, perchè è una persona molto empatica ed estroversa, ma soprattutto con la speranza che la sua testimonianza possa essere d'aiuto alle famiglie adottive nella comprensione dei sentimenti, delle inquietudini e delle paure che provano i loro figli.
"Sono nata a Trento verso mezzogiorno dopo un travaglio durato un tempo accettabile, sono nata da donna che non consente di essere nominata, questa è la dicitura usata da sempre dai tribunali italiani nel caso la madre biologica non riconosca il proprio figlio. Per la donna che mi ha messo al mondo, finito il dolore del parto, è iniziato un dolore molto più grande che non termina con la conclusione delle doglie, ma si protrae per un tempo indefinito."
"Come nacqui, l'ostetrica mi portò al nido dell'ospedale, non ebbi nessun seno caldo, nessuna coccola, nessuna carezza da questa madre biologica, anche volendo non avrebbe potuto perchè ormai aveva già firmato la rinuncia a me."
★★★★☆
🧅 cipolla
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