Pubblico oggi la recensione de "La cuoca segreta di Frida", per ricordare la pittrice Frida Kahlo morta esattamente settant'anni fa. Si tratta di un romanzo di Florencia Etcheves che ho iniziato a leggere molti mesi fa con entusiasmo, per poi arenarmi. Il personaggio Frida mi ha sempre appassionata, molto prima della "kahlomania" e su di lei ho letto numerose biografie. Ero consapevole che leggendo questo romanzo avrei aggiunto poco in termini di conoscenza sulla pittrice messicana, però mi intrigava l'idea di scoprire magari qualche aneddoto che non conoscevo e mi piaceva anche rileggere la sua storia.
Il romanzo è ben strutturato e alterna un capitolo ambientato ai giorni nostri ad un altro ai tempi di Frida. La "cuoca segreta" che dà il titolo all'opera è finzione, il giallo che viene narrato nei capitoli "odierni" è anche pura invenzione. Di vero c'è la biografia di Frida Kahlo.
Ciò che mi ha bloccata nella lettura è stato un presunto "errore storico". Cito testualmente: "Dopo aver sistemato la spesa su uno scaffale di legno trasformato in dispensa, Caridad prese la scopa che qualcuno aveva lasciato appoggiata al lavello di metallo e scopò il pavimento di cemento levigato. Ammucchiò le bucce di patate, le briciole di pane e qualche mozzicone di sigaretta. Infilò il tutto in un sacchetto di plastica e buttò la spazzatura in un contenitore metallico accanto alla porta che collegava la stanza al giardino."
A voi risulta che nel 1940 esistessero i sacchetti di plastica in Messico o in altre parti del mondo? Secondo Wikipedia: "Le domande di brevetto americane ed europee relative alla produzione di sacchetti di plastica per la spesa risalgono ai primi anni '50, ma si riferiscono a costruzioni composite con manici fissati al sacchetto in un processo di produzione secondario. Il moderno sacchetto leggero per la spesa è un'invenzione dell'ingegnere svedese Sten Gustaf Thulin. Il progetto di Thulin fu brevettato in tutto il mondo da Celloplast nel 1965."
Un errore tutto sommato perdonabile, ma che mi ha fatto sorgere il dubbio che l'autrice non abbia voluto perdere troppo tempo nel documentarsi e che si sia presa anche altre "licenze".
Dopo mesi di stop l'ho ripreso in mano e terminato. Il finale non mi è piaciuto. La chiusura è sbrigativa e lascia aperte molte vicende.
Mi sono piaciute molto le parti in cui vengono descritte dettagliatamente le tradizioni culinarie messicane e i costumi delle “Tehuanas”, le donne di Tehuantepec, famose per i lavori di ricamo coloratissimi e gli abiti composti dallo huipil e da una gonna molto ampia.
Frida amava indossare l'abito da tehuana che tanto piaceva a Diego Rivera.
Complessivamente il romanzo non è male e può essere molto interessante per chi non conosce la vita di Frida Kahlo e il suo turbolento amore per Diego Rivera.
Se deciderete di leggerlo, vi terrà compagnia per quasi 600 pagine.
"Non voglio che Diego mi dia un soldo . Non voglio niente da quel grosso rospo, niente di niente. Questo lo devi imparare anche tu. Non accettare mai in vita tua soldi da un uomo. Devi riuscire a procurarteli da sola."
★★★☆☆
🍞 pane
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Ci troviamo in un futuro prossimo e distopico. Sergio Paoli è uno dei trentaquattro boomer che cercheranno di impedire a Demiurga (Intelligenza Artificiale Dominante) di portare a termine l'operazione "Grande Abbraccio" e di sottomettere a lei l'intera umanità. Lo farà raccontando al mondo intero, via radio, com'era la vita prima degli smartphone, dei social e dell'intelligenza artificiale.
Questo in estrema sintesi è il contenuto del romanzo biografico "L'ORA DEL BACO" di Sergio Paoli, ex poliziotto in pensione, da sempre appassionato di scrittura.
L'autore spiega di aver avuto dapprima l'idea di scrivere dei racconti sul suo blog, Il trentaquattresimo trentino, in cui narrava la sua infanzia e la sua gioventù nel "paese dei due inverni", Susà di Pergine, e di aver poi deciso di raccoglierli in un libro per raccontare ai ragazzi come si viveva "ai suoi tempi" ed anche per far tornare alla memoria dei meno giovani ricordi di un modo di vivere che non tornerà più. Ed è così che è nato questo originalissimo, ben scritto e divertente romanzo distopico, in cui in modo intelligente l'autore mescola il passato con il futuro, le canzoni degli anni '70/'80 con la voce dell'intelligenza artificiale.
Chi non è giovanissimo ricorderà Carosello, la spuma al bar, le sfide a ping pong, il calciobalilla, le trasferte in bici nei paesi vicini, il calcio in strada, le musicassette, le prime discoteche, i primi supermercati e gli inverni nevosi in cui si scendeva in slitta dalle strade ripide del paese. Il titolo origina proprio dalle spericolate discese in slitta, quelle in cui, agganciate le slitte una all'altra a formare un lungo Baco, una volta partiti, non c'era più possibilità di "rinunciare". L'ora del Baco è il momento di non ritorno.
Nel romanzo sarà l'umanità intera a decidere se seguire ancora Demiurga, condannando i trentaquattro boomer social resistenti all'esilio, o liberarsi definitivamente dai suoi vincoli. Come andrà a finire lo scoprirete leggendo.
Piacerà ai giovani che non conoscono il mondo senza tecnologia, piacerà ai boomer che ritroveranno in queste pagine la loro infanzia e adolescenza e piacerà alla Generazione X, a cui appartengo, che ha dei vaghissimi ricordi di quel passato, ma che non è tecnologica come i nativi digitali.
Piacerà sicuramente a chi ha amato "Bar sport" di Stefano Benni, per la scrittura ironica, divertente e al tempo stesso introspettiva.
E' piaciuto molto a Lucio Gardin, noto comico trentino, che nella prefazione scrive: "Vorrei averlo scritto io."
Sergio Paoli è nato a Trento nel 1964, è sposato e padre di tre figli. Dopo aver lavorato per 35 anni nella Polizia di Stato, ora è in pensione e vive a Levico Terme (TN). Ha collaborato con il mensile satirico "Così e Cosà", pubblicando diversi racconti, e per anni è stato autore di una rubrica di riflessione e costume su un notiziario sindacale. Ha scritto i testi di alcuni fumetti e ha ottenuto riconoscimenti in occasione di concorsi letterari, tra i quali il secondo posto in “Narratori in divisa” con giuria presieduta da Carlo Lucarelli.
"Era il giorno della prima neve invernale. Quella vera, di fiocchi, non di fiori. Dal momento in cui le prime esili e quasi invisibili faville iniziavano a cadere dal cielo, così minute che danzavano gioiose al più piccolo refolo di vento, la voce della maestra sfumava, passava in sottofondo e la nostra anima si trasferiva là fuori. La maestra Camilla se ne accorgeva, alzava leggermente il tono, ma noi stavamo già volando via con quei fiocchi, immaginando quello che avremmo potuto fare una volta fuori, liberati da quell'aula che improvvisamente ci appariva come l'angusta cella di un convento di clausura."
★★★★☆
🥘 ratatouille
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Vengo da un'estate impegnativa. Ho avuto zero tempo per leggere. Terminato questo periodo difficile, sabato scorso ho scelto sul mio e-reader un libro da leggere nel fine settimana. Sono stata attirata dal romanzo di Antonella Lattanzi "Cose che non si raccontano". Della Lattanzi avevo letto un anno fa "Questo giorno che incombe" e mi aveva tenuta incollata alle pagine. Pensavo a un romanzo di quel tipo. Anche in "Questo giorno che incombe" molte cose che non si raccontano ci sono. Due romanzi che parlano di maternità. Bambini voluti, altri non voluti o desiderati prima e non più dopo, sentimenti contrastanti.
Ricordo che nella premessa a "Questo giorno che incombe" l'autrice aveva dichiarato di essersi ispirata ad un fatto realmente accaduto ed a tratti si percepivano note autobiografiche, riferite non alla protagonista del romanzo, ma ad una delle figlie della stessa.
"Cose che non si raccontano" narra una dolorisissima storia di aborti indotti, naturali, tentativi di gravidanze e tutte le sofferenze e le emozioni che ne conseguono. Ma quanto romanzo c'è in queste pagine? Nulla o quasi nulla. E' la storia dell'autrice che ha avuto il coraggio di raccontare cose che non si raccontano e che sarebbe giusto poter raccontare senza paura di essere giudicati e per permettere a chi vive situazioni simili di sentirsi compreso e meno solo.
Così fece Oriana Fallaci in Lettera ad un bambino mai nato narrando una delle situazioni più difficili che la vita l’ha costretta ad affrontare: la perdita di un bambino. Il libro, pubblicato nel 1975, le era stato commissionato come un’inchiesta giornalistica. L’autrice si presentò al direttore del giornale con un racconto autobiografico che la giornalista aveva già scritto all'epoca dei fatti.
Altro romanzo a cui ho pensato leggendo l'opera della Lattanzi è La figlia oscura di Elena Ferrante che afferma nel suo scritto "Le cose più difficili da raccontare sono quelle che noi stessi non riusciamo a capire." Leda, la protagonista, è una mamma che ha avvertito come schiacciante il peso della responsabilità di essere madre. Ed ora che le figlie sono grandi e lontane si sente sollevata. Si sente però in colpa a provare questo sentimento di sollievo.
Consiglio la lettura di "Cose che non si raccontano" a chi ha figli e a chi non ne ha, a chi ne vuole e a chi non ne vuole. Ognuno di noi potrà trovare un pensiero, una frase che vorremmo aver raccontato, ma che non abbiamo avuto il coraggio di raccontare.
Respinge ed attrae.
Questi mesi mi hanno insegnato che per raccontare questa storia ho dovuto cambiare modo di scrivere e concedermi a parole come "cuore" e "amore", io che a loro non mi concedo mai. Come non mi concedo mai di parlare di cose mie che stanno dentro quella diga.
★★★★☆
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🍋 limone
È uscito il mese scorso "Correre in aria" di Larissa Iapichino, Mondadori editore.
Larissa, primatista mondiale under 20 indoor di salto in lungo, è la figlia quasi ventenne (classe 2002, generazione Z, nativa digitale) di Fiona May e Gianni Iapichino.
La madre conosciutissima sia nel mondo dell'atletica (due titoli mondiali e due medaglie d'argento alle olimpiadi e primatista italiana di salto in lungo) che dello spettacolo come attrice e ballerina.
Il padre, ex astista (tre titoli italiani vinti in carriera), ex golfista professionista, musicista per passione e ora allenatore di Larissa.
Nonostante io appartenga alla generazione X come i suoi genitori e solitamente non mi piaccia leggere le biografie di chi ha ancora tutta una vita davanti da vivere, questo libro mi ha incuriosita proprio perché mi chiedevo che tipo di romanzo fosse.
Al termine della lettura ho concluso che si tratta di un libro molto indicato per le ragazzine. Il mondo raccontato è quello della scuola, delle amicizie nate sui campi di atletica, degli amori nati sui social, dei vestiti da indossare la mattina e il colore dello smalto da scegliere e abbinare all'outfit.
Larissa tiene a sottolineare che lei è anche una "ragazza normale".
Se siete amanti dell'atletica e adulti, scordatevi di trovare dettagli tecnici nel libro. Nemmeno una parola sull'allenatore. Sembra quasi che Larissa si alleni da sola.
Ma non è una biografia, Larissa è troppo giovane per scriverla e davanti ha ancora tanta vita.
Si tratta più di un racconto a metà strada tra la favola e il diario romanzato di alcuni mesi della vita di Larissa, quelli trascorsi tra il record del mondo e l'infortunio ai campionati italiani di Rovereto, passando per la maturità, una serie di pensieri "in libertà" alla ricerca di se stessa in cui affronta il tema della sua "autodeterminazione". Non ci sta Larissa a sentirsi definire "predestinata". Sì certo, i suoi geni sono buoni, ma il resto (scelte, determinazione, rinunce, fatica) è opera sua.
Chi ha scritto veramente il romanzo?
Se è tutta farina del suo sacco, Larissa ha talento anche per la scrittura.
La narrazione è molto scorrevole e utilizza un linguaggio semplice e simpatico.
Se l'editor le ha dato una mano a mettere ordine tra i suoi pensieri - che per come si descrive lei è facile siano usciti fuori dalla sua penna come un fiume in piena - ha fatto un ottimo lavoro.
"Ero predestinata a diventare quel che sono, a fare quel che faccio?
Ho letto questa parola così tante volte, dopo quell'incredibile record di Ancona con cui ho eguagliato il record di mia madre a Valencia, nel 1986.
Eguagliato: capito? Significa uguale fino all'ultimo dei 691 centimetri di salto."
"A me piace pensare che tutto ciò che faccio dipenda da me, che non devo e non ho bisogno di accettare a priori una posizione, un'etichetta, un destino, ma che posso sempre guardarmi intorno, cercare ciò che è meglio e più giusto e andare a prendermelo saltando sempre un po' più in là."
"Certe volte vorrei dimenticare tutto anche solo per un giorno e spegnermi senza dormire, lasciare spazio alle cose che non chiedono impegni e scadenze, rigore e determinazione.
Alle cose che semplicemente accadono e non importa sapere precisamente quando e dove. Basterebbe quello."
★★★☆☆
🍨 mousse alla fragola
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A Natale ho ricevuto in regalo "Alfonsina e la strada", la biografia romanzata della ciclista italiana Alfonsa Rosa Maria Morini, coniugata Strada, unica donna ad aver corso il Giro d'Italia nel 1924.
La vita di Alfonsina ci viene raccontata in modo molto coinvolgente da Simona Baldelli, scrittrice e appassionata di sport, che ha subìto il fascino della ciclista ed ha voluto scriverne un romanzo per omaggiarla.
Soprannominata la regina della pedivella, Alfonsina, negli anni della prima guerra mondiale, chiese ed ottenne di gareggiare con i maschi nel Giro di Lombardia. In quegli anni tutte le gare femminili erano state soppresse ed Alfonsina lo riteneva ingiusto. "Maschi e femmine sputavano sangue sui pedali tale e quale" diceva.
A sostenerla nelle sue sfide c'era il marito che le aveva costruito anche "un marchingegno con pedali e molle perché lei potesse allenarsi in casa anche nei giorni in cui nevicava o pioveva troppo per andare in strada."
Ammiro Alfonsina che ha saputo farsi valere, non rinunciare ai propri sogni per il solo fatto di essere una donna.
Ciò che ha sempre cercato è il proprio limite, per superarlo e spostarlo più in là.
Nata in un'epoca e in luoghi in cui, per una donna, era disonorevole praticare sport, Alfonsina ha contribuito tantissimo con la sua caparbietà a far sì che tutte noi oggi possiamo correre felici in bici per le strade, senza essere additate come delle puttane, delle matte o il diavolo in gonnella.
Quando, a quindici anni, io ho iniziato ad allenarmi per gareggiare nel mezzofondo, dove vivo non c'era una società di atletica leggera con un vivaio giovanile. Io mi allenavo con ragazzi (maschi) più grandi di me e mio padre, all'inizio, non era molto contento che corressi in pantaloncini corti per le strade. Poi se ne fece una ragione. Ma l'idea che lo sport fosse da riservare agli uomini, nelle periferie e nei ceti medio-bassi, è sopravvissuta a lungo.
Alle perplessità degli organizzatori di fronte alla sua richiesta di poter gareggiare con gli uomini, Alfonsina osservò: "La gente farebbe chiasso perché sono la prima. Ma io potrei dare l'esempio. In futuro non lo noteranno nemmeno."
Oggi Alfonsina è considerata una delle pioniere della parificazione di genere in campo sportivo. È stata una femminista inconsapevole.
Più di tutto ha sofferto per le carenze affettive e la mancanza di comprensione da parte della sua famiglia. Degli insulti degli estranei non le importava.
Povertà affettiva e materiale, fama ed oblio. Queste le tre fasi della vita di Alfonsina che non merita assolutamente di essere dimenticata.
Lei è stata anche la detentrice del record del mondo di velocità femminile, 37km/h, stabilito nel 1911, quando aveva vent’anni e nel 1938, a 47 anni, conquistò il record femminile dell’ora a Longchamp, in Francia, fissandolo a 35,28 chilometri. Nello stesso anno stabilì il record mondiale femminile delle 12 ore correndo per 325 km.
Leggere questa biografia è stato per me molto bello. Mi sono immedesimata in Alfonsina. Ho lottato, sofferto e gioito con lei.
Chi mi conosce sa quanto mi è pesato abbandonare l'agonismo nella corsa e nel duathlon e che, nonostante siano passati esattamente tre anni dalla mia ultima gara, io non mi sono arresa. Ci credo ancora di poter tornare a gareggiare.
★★★★★
🐣 uovo di Pasqua
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“Il mistero di Evita” di Giovanni De Plato è un libro molto interessante.
La storia di Evita Peron, seconda moglie del Presidente argentino Peron, viene raccontata da tre punti di vista: il suo, quello del marito Juan Domingo Peron e quello dell'amico sindacalista Carlos Maiorino, leader con Evita del movimento degli "scamiciati".
Il racconto scorre fluido, veloce, ben scritto. Ripercorre le vicende politiche dell'Argentina.
Evita Peron è amata dal popolo, infiamma le folle, acclamata più del marito, un mito. Sta dalla parte dei poveri, ne migliora le condizioni di vita , ottiene il suffragio universale. Muore a soli 33 anni di tumore.
Al termine del romanzo c'è una riflessione del medico che la ebbe in cura e svela il mistero dell'operazione a cui Evita fu sottoposta.
Quello che non si capisce e non viene specificato è quanto c'è di documentato e quanto di romanzato nel racconto.
Ho letto questo romanzo per il Grande torneo letterario di Robinson
"Finché il mio cuore palpiterà sarò a fianco di voi umili con tutte le mie forze e con ogni mezzo. Sarò al vostro fianco fino alla fine, per il bene vostro e della nazione."
★★★☆☆
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🍞 pane