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Ho assistito alla presentazione del libro autobiografico "Flash" di Marcell Jacobs, campione olimpico nel 2021 a Tokyo nei 100 metri, al Salone del libro di Torino 2022. Solitamente chi scrive un'autobiografia da giovane, nel pieno della carriera, mi infastidisce, perché tendo a catalogare la pubblicazione dell'opera come un puro sfruttamento commerciale di un'impresa. La presentazione di Marcell Jacobs mi è piaciuta. Mi è parso umile, simpatico, intelligente e maturo. Un bel personaggio con un passato da raccontare, seppure molto giovane. Una volta tornata a casa, ho messo da parte i miei pregiudizi verso le biografie degli atleti in attività ed ho letto "Flash". In realtà non è una biografia, è il racconto della finale olimpica e di ciò che ha permesso a Marcell di trionfare. Il suo passato, le sue sconfitte e la sua forza di volontà e la capacità di affrontare i dolori  e gli insuccessi sono alla base del risultato ottenuto.  Una vittoria che è il punto di partenza di una vita ancora tutta da vivere, nonostante 3 figli e una finale olimpica già vinta. Cresciuto con i miti di Carl Lewis, Andrew Howe e Usain Bolt, lancia un messaggio ai giovani: se avete un sogno cercate di realizzarlo, con impegno, sacrifici e senza perdere di vista la meta. Racconta di trascorrere lunghi periodi lontano da casa, di sottoporsi a molti sacrifici, ma di restare sempre concentrato sull'obiettivo. Mi è piaciuto molto il suo discorso a Torino circa la perfezione che va perseguita sempre, anche se è praticamente impossibile raggiungerla, ma ci si può avvicinare. Marcell attribuisce il merito del suo successo sportivo allo staff di allenatori, fisioterapisti, mental coach che lo seguono, mentre la colpa quando le cose vanno male è solo sua. Nel libro Marcell Jacobs si mette a nudo raccontando dei suoi blocchi psicologici e del timore reverenziale che nutriva verso Filippo Tortu e del peso delle aspettative altrui. Che brutta cosa i timori reverenziali e le aspettative altrui... Bloccavano anche me da giovane. Non ho avuto, come lui, un mental coach che mi ha aiutata, ci sono riuscita da sola a sbloccarmi, ma dopo anni in cui mi presentavo in pista da favorita e nelle gare più importanti c'era sempre qualcuna che mi batteva ...le altoatesine in particolare. Avevo timore reverenziale verso le altoatesine. Lo sapevo. Lo avevo capito. Riuscivano sempre a rovinarmi la festa. La svolta in un campionato regionale assoluto sugli 800m a Rovereto in una caldissima serata estiva. Ai 200m dalla fine ero seconda. La prima, altoatesina, cambia marcia e mette tra me e lei qualche bel metro di distacco. A bordo pista il mio amico Mariano mi urla di cambiare ritmo, che posso riprenderla. Scarica di adrenalina, inizio la progressione,  la avvicino sempre più,  mi convinco di potercela fare, la supero sull'arrivo.  La vittoria mi sarà assegnata al fotofinish. Ho vinto tante altre gare, ho fatto risultati cronometrici migliori , ma quella resta la mia gara più importante, quella che mi ha dato più fiducia nelle mie capacità. "Flash" mi è piaciuto, perché anche se non siamo campioni olimpici, possiamo identificarci nei pensieri e nelle difficoltà di Jacobs. Ai giovani atleti la lettura potrebbe addirittura essere utile per riconoscere, affrontare e superare problematiche loro. Complimenti a Marco Ventura che ha supportato Marcell Jacobs nella stesura dei testi. "Se non sai chi sei per davvero, se non capisci le sofferenze o le mancanze che hai avuto, se non conosci il tuo valore come essere umano, è matematicamente impossibile che tu riesca a mettere in pista tutto quello che serve per distruggere i tuoi muri." ★★★★☆ 🍾 spumante scopri come valuto i libri foto Salone del libro di Torino
Uscirà il 5 maggio il nuovo romanzo giallo di Milka Gozzer, "Occhio per occhio". È il secondo della serie "I delitti di Capriata", dopo "Torna a casa, Viola!" È inutile che cerchiate il paese di Capriata su google, è un posto inventato dall'autrice, ma collocato tra luoghi reali della Valsugana e ispirato (forse) a Vetriolo Terme. In "Occhio per occhio" ritroviamo i protagonisti di "Torna a casa, Viola!": il barista Stefano, Viola (la pecora del Camerun), la figlia Betty, il Sergente Garcia, gli amici Roberto e Terry e i frequentatori del bar di Capriata che mi ricordano un po' i simpatici vecchietti del BarLume di Marco Malvaldi. Non è però necessario aver letto il primo volume per leggere il secondo. Ogni episodio è autoconclusivo. "A Capriata pare tornato finalmente il sereno, ma all’improvviso un nuovo atroce delitto arriva a turbare la quiete della montagna: la vittima in questo caso è una studentessa poco più che ventenne, Rosa Paladino, trovata morta nei boschi. Nulla è come sembra. E, mentre Stefano, il proprietario del bar del paesino, e i suoi amici sono impegnati a sbrogliare l’intricata matassa del mistero che avvolge il misero destino della ragazza, nuovi personaggi e colpi di scena finiscono per complicare non poco le indagini e le vite degli abitanti della zona. Anche a casa Mattivi non mancano i segreti: Betty, la figlia di Stefano, sembra afflitta da mille preoccupazioni, ma non ne vuole fare parola con il padre. Intanto il pastore Roberto, amico d’infanzia del barista di Capriata, pare scomparso nel nulla. Grazie all’insostituibile aiuto di Viola, la pecora del Camerun ormai divenuta la mascotte del gruppo, Stefano e il suo fidato Sergente Garcia riusciranno infine a giungere alla terribile verità che si cela dietro l’omicidio della giovane Rosa. Ma la potranno davvero considerare una vittoria, questa volta?" Molto belle le descrizioni dei luoghi e dei personaggi. Traspare l'amore dell'autrice per la sua terra, per le tradizioni popolari e la cucina tipica.Milka è sempre attenta ai particolari. L'uso frequente delle espressioni dialettali tradisce la sua passione per i luoghi,  le tradizioni,  il passato, la vita di montagna dove il progresso è rallentato rispetto alla città. Anche l'esperienza professionale giornalistica acquisita in passato dall'autrice caratterizza le trame dei suoi romanzi. Il finale è aperto e questo ci lascia pensare e sperare che Milka abbia già in mente un seguito. La copertina è artistica anche per questo secondo episodio dei "Delitti di Capriata". Si tratta di una rielaborazione grafica di un'opera dello scultore e pittore trentino Gianni Anderle intitolata "Trame". Molto bella. Voi cosa fate il prossimo fine settimana? Io una gita tra Vetriolo Terme, Castel Selva, Panarotta e Monte Fravort... Mi è venuta voglia di visitare i luoghi in cui sono ambientati gli eventi del romanzo. Nel blog potete leggere l'intervista all'autrice e la recensione di Torna a casa, Viola!, Racconti di viaggio Racconti di vita, Il gatto di Depero. "Il barista osservava con un certo scetticismo il forestiero che aveva davanti. Questi credono che salire una montagna sia come andare a fare la passeggiata sul lungomare! ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🍾 spumante
E' uscito esattamente un mese fa l'undicesimo episodio di Rocco Schiavone "Le Ossa parlano", edito da Sellerio. Nonostante le indagini siano avvincenti e Antonio Manzini, in questo suo ultimo romanzo, abbia dato spazio quasi esclusivo al giallo, ciò che mi interessa maggiormente è l'evoluzione del personaggio, che episodio dopo episodio evolve e si fa amare sempre di più, con le sue debolezze, il lutto non completamente elaborato, le delusioni e la depressione. Rocco, con la vendita dell'appartamento romano, lascia per sempre la capitale. Si porta via un solo oggetto: lo specchio di Marina, dalla quale non riesce a distaccarsi. Al ritorno ad Aosta si ritrova ad indagare su delle ossa umane scoperte in un bosco. Sono i resti di un bambino scomparso sei anni prima. L'indagine è dolorosissima per tutta la squadra del vicequestore. Emerge una realtà tristissima, una storia di violenza, di infanzia negata, un mondo sommerso che una volta emerso si fatica a scrollarsi di dosso. Nonostante Manzini abbia riservato al caso la quasi totalità del racconto, la solitudine e la tristezza di Rocco si avvertono in ogni pagina. Sentimentalmente Rocco appare combattuto tra la giornalista Sandra e la collega Caterina, vuole una, l'altra o nessuna. E Marina è sempre nel suo cuore. Io vi confesso che faccio il tifo per Caterina. Mi è sempre piaciuta. Manzini lo sa già dove vuole arrivare. Ha più volte affermato che quello di Schiavone è un unico grande romanzo diviso in molte puntate. Io aspetto con ansia il prossimo episodio. E voi? L'indagine di questo romanzo mi ha ricordato Anime trasparenti di Daniele Bresciani, che ha come tema quello della pedofilia. Curiosità: si è svolto a dicembre presso la Facoltà di scienze cognitive a Rovereto un interessantissimo incontro tra lo scrittore Antonio Manzini e gli studenti del corso di Psicologia dinamica. Guidati dalla professoressa Paola Venuti, gli universitari hanno delineato il profilo psicologico di Rocco Schiavone: personaggio dai tratti schizoidi e borderline, introverso, ritirato e solitario, emozionalmente freddo e socialmente distante, con difficoltà a mostrare le emozioni, impulsivo, con scatti di rabbia immotivata ed intensa, affettivamente instabile. Tuttavia adattivo e funzionale, in progressivo miglioramento e in fase di eleborazione del lutto. Nel complesso non disturbato e mediamente sano. "Avrebbe voluto essere come Michela Gambino, con le sue folli certezze in un mondo lontano dalla realtà e dalle sue imperfezioni. Chissà, si domandò, ognuno si difende dalle botte della vita come può, magari costruendosi un universo parallelo a propria immagine e per la propria sicurezza, evitando le domande senza risposta e la paura della morte e della solitudine. Anche se Rocco non aveva paura della morte né della solitudine. L'abbandono, quello temeva da sempre. E più lo temeva, più la vita lo puniva. Amici, amori, famiglia, affetti sembravano allontanarsi da lui come calamite di segno opposto. Non sapeva come interrompere questa catena, si sentiva impotente e preda della crudeltà del destino. Forse, pensava, se riuscissi a superare il dolore del distacco, non soffrirei più, non succederà più che perda le persone a cui tengo." ★★★★☆ 🍋 limone scopri come valuto i libri
Mario Calabresi racconta in modo molto coinvolgente, quasi fosse un romanzo, la vita di Carlo Saronio, giovane benestante rapito negli anni Settanta dal gruppo di estrema sinistra Potere operaio. Saronio stesso ne aveva fatto parte, ma fu tradito dagli amici con cui aveva condiviso idee politiche e battaglie. A voler far emergere il ricordo di Carlo è stata la figlia Marta, nata otto mesi e mezzo dopo la morte del padre, avvenuta il giorno stesso del rapimento a causa di un errato uso del narcotizzante da parte dei rapitori. Per quarantacinque anni Marta non ha chiesto nulla a nessuno di suo padre. Temeva che far affiorare i ricordi potesse essere troppo doloroso per la madre e la nonna. Un giorno parla con il cugino Piero, missionario, e insieme decidono che è arrivato il momento di capire chi era veramente Carlo Saronio, di scoprire "quello che non ti dicono". Piero e Marta hanno entrambi letto "La mattina dopo" di Mario Calabresi. Concordano che lui sia la persona in grado di aiutarli a fare luce sulla vita di Carlo. Piero scrive a Calabresi una mail, Marta si presenta a lui al termine di un evento letterario. Dopo una iniziale incertezza, Mario Calabresi comincia ad aprire armadi, sfogliare album di foto, visitare i luoghi in cui Carlo viveva, studiava, incontrava gli amici. Calabresi è costretto a tornare agli anni settanta, a fatti che lo toccano in prima persona. Anche lui, come Marta, ha perso il padre per mano di terroristi. Mario Calabresi, giornalista, è stato direttore di "La Stampa" e "La Repubblica". Oltre a "Quello che non ti dicono" ha scritto: "Spingendo la notte più in là", "La fortuna non esiste", "Cosa tiene accese le stelle", "Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa" e "La mattina dopo". “Quello che non ti dicono, alla fine te lo vai a cercare.” ★★★★☆ 🍷 vino rosso scopri come valuto i libri
Chi di voi mi legge da un po' di tempo, sa che nei miei consigli di lettura non rivelo mai troppo della trama del romanzo. Anche in questa occasione non mi dilungherò. Ne "Il gatto di Depero" di Milka Gozzer la vita del pittore futurista trentino Fortunato Depero ci viene raccontata da un falegname morto: Mario Nicoluzzi, in vita esperto nella lavorazione del legno con il tornio, suonatore di basso, maratoneta, amante delle frasi palindrome. A Milka Gozzer non piace categorizzare i suoi romanzi e "Il gatto di Depero" infatti è un mix di generi: un po' storia vera, un po' invenzione e un "giallo" da risolvere. Fin da subito si intuisce che un malinteso legato "al gatto di Depero" ha rovinato il rapporto di amicizia tra il famoso pittore futurista e l'abile falegname roveretano. Nel raccontare l'origine e l'evoluzione di questo malinteso, l'autrice ripercorre la storia del Trentino dalla prima guerra mondiale agli anni Sessanta e l'intera vita dell'artista. Questo romanzo ha il grande pregio di farci conoscere Fortunato Depero e ci aiuta a comprendere le sue scelte, molto criticate per la sua presunta vicinanza al fascismo. Milka Gozzer ha una scrittura estremamente avvincente e coinvolgente. Se iniziate un suo romanzo, mettete subito in conto che non riuscirete tanto facilmente ad interromperlo per fare altro. Sa coinvolgere a tal punto che tutto il resto passa in secondo piano. "Può sembrare strano, ma quando sei morto non nutri rancore. I fatti belli e brutti ti appaiono come sulle pagine di un romanzo. Spesso mi sorprendo di aver vissuto quello che ho vissuto senza che io lo avessi cercato, a differenza di Fortunato che invece si dannava come un ossesso. Un fuoco aveva dentro, avrebbe potuto incendiare la mia bottega e tutto il legname ammonticchiato, se solo avesse voluto. Adesso che sono morto vedo chiaramente la natura di quel fuoco e penso ancora a quel dannato gatto. Sì, un gatto di legno. Rifletto spesso su quante possibilità ci fossero. Passo il mio tempo a formulare ipotesi, così, per non annoiarmi. Con il senno di poi è pieno il cimitero, diceva mio padre. Appunto." Qui potete leggere l'intervista a Milka Gozzer. ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🍞 pane È in corso al Mart di Rovereto la mostra "Depero New Depero", una grande esposizione dedicata a Fortunato Depero che esplora la modernità delle sue sperimentazioni e l'influenza delle sue ricerche negli ambiti dell'arte, della moda, del design e del fumetto dagli anni Settanta ad oggi. Esposti circa 500 lavori tra opere, disegni, mobili, oggetti, manifesti, fotografie, libri e riviste; una decina di video e film realizzati negli ultimi venti anni; fumetti e oggetti di design, oltre ai famosi bozzetti pubblicitari Campari.
La pista di ghiaccio di Roberto Bolano è un romanzo giallo molto avvincente. La storia è originale e interessante. Tutto ruota attorno alle vicende di tre innamorati e un cadavere ritrovato. Tre voci si alternano nella narrazione dei fatti: quella di un messicano in esilio, innamorato di Caridad, clandestina che vive in un campeggio a "Zeta" (non sarà mai svelato il nome vero della città) e che circola sempre con un coltello nascosto sotto la maglia; quella del gestore del campeggio che ha una storia con la campionessa di pattinaggio Nuria e quella di un grasso funzionario socialista, innamorato della bellissima pattinatrice, che utilizzando fondi pubblici, farà costruire una pista di ghiaccio dentro una grande villa abbandonata di proprietà comunale. Ascoltatelo o leggetelo! Ne vale veramente la pena. Ore di lavoro davanti al computer negli ultimi giorni mi hanno affaticato gli occhi e fatto passare la voglia di leggere la sera, ma non quella di immergermi in un racconto. Quindi, prendendo spunto dai suggerimenti ascoltati al festival letterario "Intermittenze" di Riva del Garda da parte di due redattrici storiche del programma "Ad alta voce", ho "letto con le orecchie" ascoltando il romanzo di Roberto Bolano.

"Ad alta voce" è un programma di Radio3, nato nel 2002 per dare voce e suono ai romanzi. Un format che ha anticipato quello degli audiolibri. Tutte le puntate sono ascoltabili sul sito RaiPlay. Ve lo consiglio! ★★★★☆ 🍾 spumante scopri come valuto i libri
Ogni libro di Carmine Abate parte sempre da una immagine. In questo caso lo scrittore è rimasto colpito dalla visione del Trittico di Segantini (La vita, La natura e La morte), in particolare da un dettaglio de " La Vita" che poi è diventato la copertina del romanzo Carlo Adami, 12 anni, trascorre l'estate in Scanuppia, sopra Besenello, in una baita circolare (come l'atelier di Segantini a Maloja), costruita da nonno Carlo e ristrutturata da suo padre. Qui c'è un quadro di Segantini che apparteneva al nonno, raffigurante una madre con un bambino in braccio seduta ai piedi di un grande albero. La Moma, la nonna di Carlo, svela al ragazzino come mai quel quadro è appeso nella loro baita in montagna e quando Carlo compie 14 anni regala al nipote l'autobiografia di Giovanni Segantini, dono di Bianca, la figlia del pittore, al nonno Carlo. I racconti della nonna e la lettura dell'autobiografia di Segantini contribuiscono a far nascere in Carlo una profonda ammirazione per il pittore arcense. E tra un racconto e l'altro Carmine Abate ci narra l'intera vita di Giovanni Segantini. Carlo Adami, il ragazzo protagonista, è l'alter ego dello scrittore. Il suo nome ha le stesse iniziali di Carmine Abate. Anche la Moma è un suo alter ego e rimarca l'importanza del racconto orale. Segantini è "il cercatore di luce". Lui che è nato in un luogo naturalmente luminoso, dove il lago di Garda riflette una enormità di luce, ha sempre cercato di imprimere nei suoi quadri lo stesso riflesso. La sua è una vera e propria ossessione per la luminosità. Lui stesso diceva che Arco era il suo "sole dentro". Segantini non ha mai dimenticato la sua città natale. Io me lo vedo Giovanni che si muove veloce per i vicoli di Arco, che corre sul Castello, che si bagna nel Sarca. A dire il vero mi immagino anche Carlo sulla Scanuppia, che corre libero e felice nei prati e nei boschi con gli amici, come facevo io da bambina a San Giovanni al Monte (nel Comune di Arco) dove da bambina ho trascorso tutte le estati nella casetta costruita da mio nonno. Mi fa sorridere pensare alla strada che porta da Besenello a Malga Palazzo (la Scanuppia) e alla paura della nonna di Carlo nel percorrerla sulla Jeep del figlio o l'enorme fatica di Carlo scalandola in mountain bike. È una delle salite più dure al mondo, raggiunge pendenze del 45%. Tempo fa mi ero messa in mente di provare a salire in bicicletta. Ho fatto anche un sopralluogo. Per fortuna il Sindaco ha vietato la salita alle bici, altrimenti ci avrei provato e, anche se allenata, probabilmente avrei spinto il mio mezzo per gran parte degli otto chilometri e mezzo della ripida strada. Ad Arco, durante la prima presentazione del romanzo, Carmine Abate ha dichiarato: "Spero di aver scritto un libro etico ed estetico." Nel romanzo, oltre al dettagliato racconto della vita e della morte del pittore, si trovano tanta natura, animali, fiumi,  montagne. Segantini fu un naturalista ante litteram, un personaggio attuale, moderno. Sono orgogliosa di essere arcense e grata a Carmine Abate (e dovrebbero esserlo tutti gli arcensi) che un narratore del suo calibro abbia raccontato la vita e la persona di Segantini. Abate, calabrese di nascita e trentino di adozione, ha lavorato quasi 3 anni per scrivere "Il cercatore di luce", documentandosi, leggendo le 900 lettere di Segantini e dei suoi parenti e amici, studiando tutti i testi in circolazione che parlano di lui e delle sue opere, visitando i luoghi in cui il pittore è stato, confrontandosi con i discendenti, immedesimandosi con lui per regalarci un ritratto il più possibile vero. Inventando, ma con la certezza della verosimiglianza. Carmine Abate ha la capacità di farti entrare nel romanzo, di farti provare empatia per i suoi personaggi, al punto di sentirti così coinvolto da considerarli tuoi familiari. "Lei è Luigia, ma la chiamano Bice. Lui è il pittore Giovanni Segantini, Segantini per noi amici. Uno bravo, molto bravo, che si è fatto da solo. Di Segante già si dice un gran bene qui a Milano. In futuro conquisterà il mondo intero. Ve lo garantisco io che di arte me ne intendo." ★★★★☆ 🍞 pane scopri come valuto i libri io e Carmine Abate ad Arco alla presentazione de "Il cercatore di luce"
Ringrazio Milka Gozzer per avermi dato l'opportunità di leggere il suo romanzo in anteprima (uscirà il 28 ottobre). Quando l'ho ricevuto, senza nessuna intenzione di leggerlo in quel momento, ho iniziato a scorrere, per curiosità, le pagine sul mio e-reader. Ora vi racconto come è andata. La citazione iniziale di Alda Merini mi predispone bene. Non amo particolarmente la poesia, ma adoro la poetessa dei navigli. Tre ore dopo sono ancora lì, incollata alle pagine. Stefano gestisce l'unico bar di Capriata, paese di montanari che l'amministrazione locale cerca di trasformare in località turistica, sfruttando le terme (già meta asburgica di vacanza) e inventandosi una leggenda sul destino dei figli del re Fravort. Viola, la sua pecora del Camerun, è sparita. Stefano è in ansia. (Mi sembra di rivedermi nel giorno in cui la mia gatta Frida sparì. Non era tornata a casa a dormire la notte e il mattino dopo non si trovava. La mia ansia cresceva ogni minuto di più, pensando ad un incidente o ad un rapimento. Alla fine tutto si risolse per il meglio. Era rimasta chiusa in un garage.) Non c'è solo il mistero della pecora scomparsa da risolvere. Bruno Corni, il taxista del paese, viene ucciso con un colpo sparato a bruciapelo. Sembra un'esecuzione. Eppure Bruno è una brava persona, limpido, un gran lavoratore. La sparizione di Viola e l'omicidio sono eventi legati? Non solo giallo, però, in questo romanzo di Milka Gozzer che, come spiega l'autrice nella nota finale, è nato come racconto, per poi evolvere in romanzo breve e infine in un romanzo giallo. L'idea di scriverlo le è venuta durante una escursione in montagna. Mi piace molto la sua scrittura. Evoca suoni, odori, colori attraverso l'uso di similitudini e metafore. Le descrizioni dei luoghi e degli eventi sono accurate. Viene voglia di visitare i posti in cui accadono i fatti. Al contrario i personaggi sono (volutamente?) sfumati. Resta la curiosità di saperne di più di loro. Il sottotitolo "I delitti di Capriata" lascia intendere che ci sarà un seguito. I personaggi avranno modo di delinearsi meglio ed evolvere. Anche cultura, tradizioni, antichi pregiudizi trapelano tra le righe del romanzo. Molti i riferimenti a luoghi e fatti realmente accaduti: l'ospedale psichiatrico di Pergine chiuso nel 2002, le difficoltà attuali che incontrano i pastori nella transumanza, la tempesta Vaia che nel 2018 distrusse 42 milioni di alberi, la banda dei mocheni che alcuni anni fa terrorizzò l'omonima valle, le bellezze naturali della stessa "valle incantata", della zona della Panarotta, del monte Fravort con splendide malghe, sentieri e boschi. Milka Gozzer, romanziera trentina, giornalista professionista, è autrice di numerosi reportage di viaggi e ha pubblicato quattro libri: "Le radici del muschio", "MeL", "Racconti di viaggio Racconti di vita", "Il gatto di Depero". Qui potete leggere l'intervista all'autrice. ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🍾 spumante
Il romanzo "L'acqua del lago non è mai dolce" di Giulia Caminito, vincitore del premio Campiello 2021, è una storia di mancato riscatto sociale. Un romanzo che per molti aspetti fa pensare alle storie raccontate da Ammaniti, Avallone, D'urbano. Mi vengono in mente  "Ti prendo e ti porto via", "Acciaio", "Acquanera". Nonostante l'immenso senso di tristezza che trasmette, questo romanzo mi è piaciuto molto. L'ho trovato molto introspettivo. I personaggi sono ben delineati e caratterizzati. La protagonista a momenti infastidisce per i comportamenti che tiene. Certo, la vita non l'ha aiutata. Nata in una famiglia povera, perseguitata dalla sfortuna e dalle disgrazie, ha provato a riscattarsi pensando che lo studio potesse cambiarle la vita. Purtroppo più che una vita propria, vive secondo le aspettative della madre Antonia, al contrario di lei, forte e decisionista,  con idee ben chiare. Vicende come quelle narrate purtroppo accadono. Il romanzo ci permette di venire a conoscere dinamiche familiari e sociali inimmaginabili a chi vive in famiglie, non dico benestanti, ma economicamente autosufficienti. Un romanzo di denuncia che  svela alcune verità sulla società attuale: non basta essere bravi a scuola, costruirsi una valida base culturale per garantirci un buon lavoro e stabilità economica. Ho apprezzato molto la scrittura originale di Chiara Caminito. Curiosità: il nome della protagonista si scopre solo al termine del libro ed è una vera sorpresa.  Sembra quasi l'ennesima presa in giro della vita nei suoi confronti. Ho scelto una scuola difficile dove insegnano le lingue morte che nessuno usa e mi dico che l'ho fatto per le mie amiche, ma la verità è che mi porto dentro una cosa piccola piccola, una ghianda, un insetto, che è la voce di mia madre, a cui devo dimostrare di non essere da poco. Quel noi, che sta là non visto, mi comanda, per me crea castelli in aria e paludi." ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🍷 vino rosso
Insegnante di lettere e latino al liceo, Viola Ardone, classe 1974, si è documentata per tre anni prima di scrivere "Il treno dei bambini". Nel secondo dopoguerra 10.000 bambini meridionali provenienti da famiglie molto povere, di cui circa 3.000 di Napoli, furono inviati al Nord, prevalentemente in Emilia Romagna, dai genitori per essere inseriti in nuove famiglie (alcuni per brevi periodi, altri per sempre). Ad organizzare i viaggi ed accogliere i bambini, famiglie comuniste, per solidarietà. Viola Ardone romanza la storia di Amerigo Speranza dei "quartieri spagnoli", 7 anni, figlio unico di Antonietta, nubile e indigente che, dopo non poche titubanze, carica su uno di questi treni il figlio. I bambini che sono stati aiutati dalle nuove famiglie, chi rimanendo per sempre con loro, chi rientrando a casa, continuando a ricevere cibo e sostegni per studiare, sono cresciuti istruiti e molti di loro si sono fatti una posizione nella società. Di Amerigo non vi svelerò nulla, perché la sua é una storia che vale la pena di leggere. Un racconto molto commovente, riflessivo, narrato in prima persona da Amerigo, prima bambino e nell'ultima parte adulto. Curiosità: Viola Ardone presenterà al Salone del libro di Torino 2021 il suo ultimo romanzo "Oliva Denaro", la cui protagonista porta il nome anagrammato della scrittrice. "Tolgo lo spago, apro il pacco piano piano e resto a bocca aperta: è un violino. Un violino vero!" ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🍷 vino rosso
Ilide Carmignani, traduttrice di tutti i romanzi e racconti pubblicati in Italia da Luis Sepulveda, legata all'autore da sincera amicizia, quando lo scrittore viene a mancare nel 2020 per Covid, non ci pensa due volte e contatta la moglie dell'autore cileno. Luis ha avuto una vita piena e coraggiosa, ma per modestia non ha mai voluto raccontarsi. Chiede alla moglie di poterlo fare per lui. La compagna ne è entusiasta, così Ilide Carmignani ne scrive la vita utilizzando uno stile a Sepulveda molto caro, quello del racconto in forma di favola. E così incontriamo Luis, detto Lucho, in una biblioteca di Amburgo molto particolare, di cui custode è il gatto Diderot, amico di quello di Sepulveda, Zorba. In quella magica biblioteca in cui si va per consultare libri, ma anche per scrivere il racconto del giorno più felice della propria vita e lasciarlo in un cassetto di un armadio speciale, Luis inizia a scrivere della propria vita, perché un solo giorno è troppo poco per metterlo in quel cassetto. Nelle pagine troverete il racconto della sua nascita, dell'incontro con la moglie, delle sue lotte in Sud America, dei 1000 giorni a fianco del presidente Salvador Allende, dell'esilio dal Cile, del suo ruolo nelle lotte a difesa dell'ambiente e tanto altro. Una biografia adatta a tutti, grandi e piccini, arricchita da una poesia e dalla post fazione della moglie di Sepulveda, la poetessa Carmen Yanez, detta Pelusa. Prosa molto particolare, con più piani di scrittura: la fiaba che si intreccia con il racconto "autobiografico" di Lucho. Ilide Carmignani è la traduttrice di Jorge Luis Borges, Luis Cernuda, Carlos Fuentes, Almudena Grandes, Gabriel García Márquez, Mayra Montero, Pablo Neruda, Octavio Paz, Arturo Pérez-Reverte, Luis Sepúlveda e Roberto Bolaño. "Attraverso il genere della favola, creando personaggi ispirati dalla grandissima intesa che aveva con la natura e gli animali, Lucho ha esaltato i valori di cui era fatto per passare all'umanità i concetti etici della diversità, dell'uguaglianza, del rispetto dell'altro e della solidarietà." ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🍞 pane
Donatella di Pietrantonio, abruzzese e odontoiatria di professione, potrebbe scrivere qualunque storia, anche la più banale, e saprebbe renderla interessante, talmente è bella la sua scrittura. "Borgo Sud" rappresenta il sequel dell’"Arminuta", bellissimo romanzo in cui l’autrice racconta una storia di abbandono e di riscatto. Nel primo romanzo, vincitore del Premio Campiello 2017, l'autrice narra la storia di una ragazzina tredicenne che viene rimandata alla famiglia d'origine, dopo aver vissuto fin da piccolissima con persone che ha sempre creduto essere i suoi genitori. Si trova così ad affrontare una vita dura, in un ambiente povero, grezzo e molto diverso da quello in cui viveva. Al termine del romanzo si capirà il motivo del suo rientro nella famiglia d'origine.  Non è però necessario averlo letto per affrontare "Borgo Sud". Nel secondo romanzo, l'Arminuta, termine dialettale traducibile in «la ritornata», è cresciuta, ha studiato ed ora vive a Grenoble in Francia. Una telefonata dall'Italia la costringe a ritornare al paese natale. Durante il viaggio di ritorno affioreranno i ricordi e ci racconteranno quanto accaduto dopo aver lasciato l'Arminuta ragazza. Borgo Sud esiste. È un quartiere di Pescara,  un quartiere povero, di pescatori. Isolina esiste ed ha ispirato l'omonimo personaggio di "Borgo Sud". Il romanzo ha conquistato il secondo posto del premio Strega 2021. ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🍷 vino rosso
"La bambina e il nazista" è un romanzo storico dietro al quale c'è un grande lavoro di documentazione a cura della co-autrice Scilla Bonfiglioli. I fatti narrati sono realmente accaduti seppure siano stati romanzati nel racconto. La storia della bambina è inventata, ma trae spunto da una vicenda vera, di cui c'è traccia nel processo di Norimberga. Un nazista viene scagionato da una bambina che dichiara di essere stata prigioniera nei campi di Sobibor e Majdanek e di essere stata salvata da un nazista. Il come e il perché sono frutto della fantasia dei due autori. Tuttavia i fatti narrati di quanto accadeva nei campi di concentramento sono reali. Purtroppo la realtà supera la fantasia. Il romanzo è scritto come un thriller, con ritmo incalzante, fluido, scorrevole, avvincente, nonostante l' orrore dei fatti narrati. È ambientato in due campi di concentramento, Sobibor e Majdanek, tra i più feroci e spietati, in cui si attuava l'operazione Reinhard, il progetto di sterminio degli ebrei polacchi. Ho trovato molto originale che la vicenda sia stata raccontata dal punto di vista del nazista. Ciò ha permesso un'indagine psicologica profonda del protagonista. Un romanzo che mi ha lasciato molto. Vale davvero la pena di leggerlo. Scritto molto bene. Non si avvertono minimamente le "quattro mani". Ho letto "La bambina e il nazista" per il Grande torneo letterario di Robinson. Vedendola partire,Hans strinse i pugni. Avrebbe voluto che esistesse una giustizia, al di là degli uomini e degli eserciti, qualcosa di superiore che mandasse un fulmine ad abbattersi su di lei. Ma se c'era una cosa che aveva imparato a Majdanek e a Sobibor era che la giustizia non esisteva: chi aveva il braccio più forte poteva annientare creature innocenti senza che gli venisse chiesto di pagare alcun prezzo." ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🥃 amaro digestivo
Milka Gozzer è la dimostrazione che ci sono molti scrittori bravi di cui difficilmente parla la stampa nazionale, semplicemente  perché  i loro scritti non sono pubblicati da case editrici famose che attuano metodi pubblicitari talvolta invadenti. "Racconti di viaggio Racconti di vita" di Milka Gozzer, autopubblicato, nulla ha da invidiare al ben più pubblicizzato "Controvento" di Federico Pace. Davvero un bel viaggio quello che ci fa fare Milka con la sua raccolta di racconti di viaggi in bicicletta in giro per il mondo! Namibia, Kirghizistan, Bolivia, Parigi, Ghana, Giappone, Moldavia, Birmania, Taiwan sono solo alcuni dei luoghi di cui ci parla. Tre storie sono frutto della fantasia, perchè, spiega l'autrice, "si può - si deve! - viaggiare anche con quella." Il suo modo di raccontare posti, persone e fatti accaduti è sicuramente influenzato dalla professione giornalistica che ha svolto per tanti anni. "Raccontare un viaggio è un problema di memoria. Porto sempre con me il quaderno degli appunti.  Segno date, luoghi,  distanze percorse, qualche impressione,  notizie circa vitto e alloggio, scrivo con un taglio giornalistico e a tratti con una grafia incomprensibile - una pessima prosa che non si può  neppure definire diario. Eppure quelle righe esteticamente brutte, rilette anche a distanza di anni, riescono a riattivare le immagini di un viaggio: come mettere singole lettere una accanto all'altra e vedere nascere una parola dotata di significato. Poi ci sono dettagli che ti rimangono nella memoria anche se sono passati anni." Leggere questa raccolta, frutto di vent'anni di viaggi e di ricordi, vi strapperà più di un sorriso e vi farà anche riflettere molto. I viaggi di Milka sono viaggi "estremi", lunghi e faticosi, in luoghi spesso inospitali e pericolosi: dal deserto della Namibia al Sani Pass in Lesotho, tanto per citarne un paio. "Così trascorre la mia notte nel deserto, aspettando l'alba come non ho mai fatto, circondata da un branco di iene che ululano selvagge mentre continuano a rovistare tra le borse che abbiamo lasciato fuori dalla tenda. Conservo ancora, come un cimelio, la borsa da bici con il segno delle unghie di una iena. "Siamo gli unici bianchi sul tetto dell'Africa. Il pub è aperto, ma deserto. Non ci sono i gestori, ma c'è una donna gentile che ci cucina la cena e ci assegna una capanna a un centinaio di metri dal pub, dove riparare per la notte. Con il buio, la tormenta peggiora: il vento sibila in maniera assordante, piove ghiaccio e acqua. Nella capanna, gli spifferi sono così forti che spengono le candele." Io che amo la bicicletta (ho anche gareggiato  per qualche anno) non ho mai viaggiato in bici. Mi è venuta voglia di provarci. Potrei cominciare con qualcosa di semplice. Un breve viaggio di alcuni giorni in Italia con una comoda gravel. Milka afferma: "Ho la presunzione di credere che la bicicletta mi consenta di capire meglio un posto chiedendo in cambio un po' di fatica, che con l'esperienza diventa più sopportabile." ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🍾 spumante

Leggi qui l'intervista a Milka Gozzer.
"Gli ultimi giorni di quiete" è un romanzo di Antonio Manzini, la cui scrittura trae spunto da un fatto realmente accaduto. Manzini spiega di aver incontrato molti anni fa un signore sconosciuto che gli raccontò un fatto agghiacciante, accadutogli alcuni anni prima: l'incontro in treno con l'assassino di suo figlio, uscito di carcere dopo aver scontato una pena di pochi anni, nonostante il terribile crimine commesso. Manzini rimase colpito da questa confessione e per anni immaginò quali potessero essere state le reazioni del padre, della madre e dello stesso assassino in seguito a quell'incontro. Ora, a distanza di anni dall'episodio, scrive "Gli ultimi giorni di quiete". Nora, mentre sta tornando a casa in treno riconosce, seduto nello stesso vagone, Paolo Dainese, il ragazzo che sei anni prima, durante una rapina nel tabacchino di famiglia, ha ucciso Corrado, il suo unico figlio. Da quel giorno la sua vita e quella di suo marito non è stata più la stessa. Il loro rapporto si è svuotato. In comune ora hanno soltanto il dolore per la perdita del figlio. Nora non si capacita di come possa essere accaduto che un assassino, dopo pochi anni dalla condanna, sia libero di circolare e di rifarsi una vita. Trova ingiusto che ciò che a suo figlio è stato impedito, sia, per legge, consentito al suo assassino. Dal momento in cui è avvenuto l'incontro, Nora ha in mente soltanto di mettere in atto una sua giustizia personale. Il marito Pasquale, dopo aver appreso dalla moglie la notizia, cerca anche lui un modo per risolvere la questione. Tre sono i personaggi: Nora la madre di Corrado, Pasquale il padre di Corrado e Paolo l'assassino di Corrado. Tre sono i punti di vista, tre le diverse reazioni alla vicenda. Manzini è bravissimo a farci entrare in tutti e tre i personaggi, attraverso un profondo scavo psicologico. Tutti e tre hanno ragione, dal loro punto di vista. La voce narrante si mescola ai pensieri in prima persona dei protagonisti, rendendo il lettore ancora più coinvolto. Il personaggio che mi è piaciuto di più è Pasquale, perché alla fine riesce a svoltare, andare avanti. Ho trovato Nora un personaggio tristissimo. Paolo mi fa pena. Tante le domande sollevate, nessuna risposta, perché non c'è una soluzione, un giusto punto di vista. L'epilogo è inaspettato. Il romanzo è profondo, intenso, coinvolgente. Antonio Manzini ex attore, scrittore conosciuto soprattutto per aver creato il personaggio di Rocco Schiavone, dimostra con questo romanzo di avere doti letterarie al di là del genere giallo. "Un uomo è condannato per sempre, allora? Fine pena mai? A cosa servono i processi, le leggi, la galera? Lui aveva capito, aveva capito tutto. Gli errori commessi, la voglia di ricominciare, lasciarsi alle spalle quello che era una volta. Voltare pagina e provare ad essere un uomo migliore. Uno che lavora, che porta a casa uno stipendio, che magari fa anche un figlio che... Un figlio. Quello gli hai tolto. E nessuno glielo restituirà più. Quindi forse sì, fine pena mai per me, per la donna e anche per suo marito. Non c'era uscita né soluzione. Un solo gesto inchioda quattro persone per sempre, a quel giorno di marzo di quasi sei anni prima. La sua vita s'era fermata insieme a quella di Corrado Camplone, di sua madre e di suo padre." ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🍷 vino rosso
"Vecchie conoscenze" di Antonio Manzini é il decimo romanzo con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone. Manzini ha creato un personaggio che è quasi impossibile non amare. In questo episodio le indagini restano quasi in sottofondo. Sofia Martinet, professoressa in pensione, viene ritrovata morta nel suo appartamento, colpita alla testa con un oggetto pesante. A mano a mano che l'indagine procede, anche le vicende umane di Schiavone e degli altri personaggi evolvono e scopriamo sempre di più di loro. Questa volta l'autore ha affrontato, tra le altre cose, anche il problema dell'emarginazione dei gay. La presenza di Marina torna a farsi sentire frequentemente, segno che Rocco é infelice e non sta bene. Rocco é acciaccato, stanco, stufo di avere a che fare con la parte peggiore dell'umanità. Gabriele, il ragazzo ex vicino di casa di Rocco che il vicequestore aveva ospitato in casa sua, con la madre, per un breve periodo, é partito per Milano. Rocco si sente solo. Gabriele è entrato nel suo cuore e ormai è quasi un figlio per lui. "Non siamo amici, non lo siamo mai stati, e forse non lo saremo mai. Lavoriamo insieme. A volte ci avviciniamo, poi ci allontaniamo, come branchi di pesci in mezzo all'oceano. Ma la sapete la cosa strana? Mi siete rimasti solo voi. Per quanto sia dura e difficile ammetterlo, non ho altri che voi..." Il finale è davvero sorprendente, inaspettato. Molte vecchie conoscenze si faranno vive. Gran parte del passato di Rocco si chiarirà. Manzini questa volta non mi ha delusa nemmeno un po'. "Vecchie conoscenze" non ha nulla a che vedere con la virata verso il genere "rosa" che si avvertiva in "Ah l'amore l'amore" e che io avevo un po' criticato. "Lui lo sapeva, ci sono dei giorni in cui si percepisce che un pezzo della nostra vita se n'è andato, e seppelliamo la nostra faccia di una volta perchè non ci appartiene più." ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🐣 uovo di Pasqua
Se cercate nei siti on line che vendono libri, "Figlia della cenere" di Ilaria Tuti viene inserito tra i gialli/thriller. In realtà in questo quarto romanzo con protagonista Teresa Battaglia, il mistero sembra essere un pretesto per svelare di più sul passato della commissaria. Teresa, più acciaccata che mai, si trova alle prese con un serial killer che già conosce. Il racconto si svolge su tre piani temporali: oggi, 27 anni prima e nel IV secolo. "Giacomo Mainardi è un assassino ed è anche un artista, non possiamo prescindere da questo, perchè lui è questo: l'immaginazione ha un ruolo centrale. Lasciamo che le sue fantasie vengano canalizzate in modi espressivi innocui. Credetemi se vi dico che è stato dimostrato che le fasi dell'omicidio seriale sono le stesse della creazione artistica. Aurorale, eccitamento, di seduzione, fase creativa, totemica...E infine 'depressiva', Albert. Significa che se gli togliamo le tessere e gli attrezzi, a Giacomo tornerà una gran voglia di uccidere, strappare un osso dal corpo,trasformarlo in sette piccoli pezzettini e ficcarli da qualche parte che non sia un mosaico. E troverà il modo di farlo, con o senza isolamento. Ci proverà ogni istante della sua vita, com'è vero che deve respirare per sopravvivere." Aquileia ha un ruolo di rilievo nella vicenda. Anche questa volta Ilaria Tuti ha ambientato il suo racconto nella sua terra, facendoci conoscere storie, aneddoti e cultura di quei luoghi. Piano piano, grazie anche ai continui flashback, viene svelato il dolorosissimo passato della commissaria. Teresa Battaglia è una profiler di altissimo livello, non solo per gli studi fatti, ma soprattutto per l’empatia che prova per gli autori dei delitti su cui indaga. "Teresa Battaglia, invece, accettava la loro natura e così facendo la strappava al senso di repulsione. Lei riusciva a prendere tutto delle persone che aveva davanti, anche l'orrore più grande, come un dato di fatto. Ecco perchè era così brava nel suo lavoro. Non giudicava, non si scandalizzava. Cercava sempre di comprendere. Ma questo aveva un prezzo. Soffriva, con loro." Ho faticato nella prima parte ad entrare nella storia, a causa della scrittura dell'autrice ancora più ricercata del solito che rende non troppo scorrevole la lettura. A volte è necessario soffermarsi a riflettere sulle descrizioni. E i tre piani temporali non ammettono distrazioni. Perdere il filo è un attimo. Ho faticato anche a digerire i particolari più macabri della vicenda. Tuttavia il romanzo è scritto indubbiamente benissimo. Ilaria Tuti è una garanzia da questo punto di vista. La sua è una scrittura estremamente colta. E la trama è avvincente. Questo romanzo ha lo stesso valore di "7/7/2007" di Antonio Manzini, in cui l'autore svela molto del passato di Rocco Schiavone. Imperdibile quindi per chi ha letto i romanzi precedenti con la commissaria Battaglia. Forse un po' difficile comprendere e amare Teresa per i nuovi lettori che nulla conoscono della protagonista. Chissà quali saranno le intenzioni di Ilaria Tuti! Se scrivere altri romanzi con Teresa ancora attiva, magari quale spalla dell'ispettore Massimo Marini o se farla uscire di scena definitivamente. Ilaria Tuti nel 2018 ha raggiunto il successo con il thriller "Fiori sopra l'inferno" con protagonista la commissaria e profiler sessantenne Teresa Battaglia che torna ad indagare anche in "Ninfa dormiente", uscito l'anno successivo, e "Luce della notte" del 2021. Nel 2020 ha pubblicato "Fiore di roccia", romanzo storico ambientato nella prima guerra mondiale con protagoniste le portatrici carniche. Un romanzo stupendo. "La mia è una storia antica, scritta nelle ossa. Sono antiche le ceneri di cui sono figlia, ceneri da cui, troppe volte, sono rinata. E a tratti è un sollievo sapere che prima o poi la mia mente mi tradirà, che i ricordi sembreranno illusioni, racconti appartenenti a qualcun altro e non a me. È quasi un sollievo sapere che è giunto il momento di darmi una risposta, e darla soprattutto a chi ne ha più bisogno. Perché i miei giorni da commissario stanno per terminare. Eppure, nessun sollievo mi è concesso. Oggi il presente torna a scivolare verso il passato, come un piano inclinato che mi costringe a rotolare dentro un buco nero. Oggi capirò di dovere a me stessa, alla mia squadra, un ultimo atto, un ultimo scontro con la ferocia della verità. Perché oggi ascolterò un assassino, e l'assassino parlerà di me." ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🍷 vino rosso
"Dolores Claiborne" è il primo libro di Stephen King che leggo. Ho molto apprezzato la sua capacità di scrivere un monologo femminile. Sicuramente non facile per un uomo. Molto credibile. Non si percepisce minimamente che l'autore è un maschio. Dolores Claiborne è una donna non più giovane, sospettata di aver ucciso la sua ricca datrice di lavoro e che si trova a doversi discolpare davanti alla polizia. Dolores si difende raccontando la sua vita e confessa invece un altro omicidio avvenuto trent'anni prima durante un'eclissi totale. Dolores è una donna di cultura modesta. Si sente dal linguaggio usato nel monologo, sgrammaticato e a tratti un po' volgare. All'inizio ho faticato un po', poi mi sono immersa nel romanzo e quello di Dolores è un personaggio davvero bello. Compie un terribile omicidio, tuttavia non si riesce a percepire la sua vendetta come malvagia, piuttosto come una forma sui generis di giustizia. Della serie: "Ben fatto, Dolores!" Dal romanzo è stato tratto il film "L'ultima eclissi" di Taylor Hackford con Kathy Bates nei panni di Dolores. Ho letto questo romanzo con il gruppo di lettura online di Immersioni letterarie. "Io non ho ammazzato quella carogna di Vera Donovan e ora come ora voialtri potete pensare quello che vi pare, ma vi giuro che vi faccio cambiare idea. io non l'ho spinta giù per quella scala del cavolo. Va bene se mi volete sbattere dentro per l'altra storia, ma io non ho le mani sporche del sangue di quella stronza. E penso proprio che ne sarete convinti anche voi ora che avrò finito, Andy." ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🥃 amaro digestivo
L'ultimo romanzo giallo di Cristina Cassar Scalia con protagonista Giovanna Guarrasi, detta Vanina, non ha deluso le mie aspettative. Questa volta la vicequestore che opera a Catania si è trovata alle prese con un omicidio avvenuto nel sotterraneo di un locale pubblico. A rendere le indagini più complicate due fattori: la vittima è una brava persona e risulta pertanto difficile trovare un movente per il delitto; Vanina da qualche settimana è sotto scorta. Catania, Palermo e l'Etna sono i co-protagonisti del romanzo, uscito poche settimane fa. Sapori, colori e profumi della Sicilia affiorano dalle pagine. Ambientato nel 2016, pre pandemia, a pochi mesi di distanza dalla precedente indagine. Oltre alle vicende sentimentali di Vanina e ai legami di amicizia, tratta i rapporti dei ragazzi di oggi con la droga e il problema dell'eroina negli anni '80. Metterla sotto scorta è servito all'autrice per indagare più intimamente gli affetti familiari, le amicizie e l'amore di Paolo Malfitano, l'ex fidanzato magistrato che Vanina ha salvato da un agguato mafioso e che vive sotto scorta da anni. Il commissario in pensione Patanè ha anche in questa indagine un ruolo di primissimo piano. E' un personaggio comprimario di Vanina: stesso intuito, stessa capacità tecnica. Ha nei confronti della vicequestore un atteggiamento paterno. L'autrice, come Vanina, ama i vecchi film e paragona spesso i personaggi del romanzo ad attori. Sicuramente ama anche l'ottima cucina siciliana. Il romanzo è zeppo di riferimenti culinari che fanno venire l'acquolina in bocca. Bettina, la vicina di casa di Vanina, cucina molti piatti che amava preparare la nonna dell'autrice. Curiosità: in un'intervista l'autrice ha dichiarato che il paese di Aci Bonaccorsi ha ispirato la frazione "inventata" di Santo Stefano. Il bar di Bella è il vero bar Alfio. Cristina Cassar Scalia è originaria di Noto. Medico, vive e lavora a Catania. Ha raggiunto il successo con i romanzi Sabbia nera, La logica della lampara, La Salita dei Saponari, tutti con protagonista il vicequestore Vanina Guarrasi. E' in progetto la realizzazione di una serie tv tratta dai romanzi con protagonista Vanina. Sicuramente a questo romanzo ne seguiranno altri. Giovanna Guarrasi è una sorta di versione femminile di Salvo Montalbano. "Disse che la coscienza umana ha una soglia, che varia in maniera inversamente proporzionale all'entità dei pesi che contiene. Se uno ci vuole convivere serenamente, deve sgombrarla da quelli più grossi. A costo di scavare nella polvere e di smuoverne tanta da andare a disturbare le coscienze altrui." ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🍾 spumante
Chi ama percorrere in bicicletta i passi di montagna non potrà non rimanere affascinato dal titolo del memoir di Giacomo Pellizzari "Tornanti e altri incantesimi". Adoro le serpentine che portano ai passi alpini. Apprezzo la fatica che si fa per raggiungerli. I pensieri, mentre si sale, corrono liberi e la soddisfazione nel raggiungere la meta ripaga di ogni sforzo, cancella come per un incantesimo la stanchezza. Quello di Giacomo, scrittore e giornalista, è il racconto di due viaggi paralleli: uno in bici, l'altro di riflessione sulla vita. È il resoconto che Pellizzari fa dell'impresa compiuta l'anno scorso in bicicletta quando, in compagnia dell'amico Max, compie l'epica impresa di percorrere in soli due giorni un anello di 370 km e 12.000 metri di dislivello, Les 7 Majeurs, i sette principali passi delle Alpi Marittime tra Italia e Francia, tutti al di sopra dei 2.000 metri (Fauniera, Lombarda, Bonette, Vars, Izoard, Agnel, Sampeyre). Innumerevoli gli aneddoti, le citazioni letterarie e musicali, le curiosità storiche e culturali. Mentre scalerete con Giacomo e Max le sette grandi montagne del Tour de France e del Giro d'Italia vi sentirete personalmente coinvolti nell'impresa e seguirete i pensieri dell'autore che, con passione ed empatia, ricorderà altre epiche imprese, amicizie, episodi intimi della propria vita. Ho letto "Tornanti e altri incantesimi" di Giacomo Pellizzari, Enrico Damiani editore, con calma, per gustarmelo, una salita al giorno. Sono convinta che chi lo leggerà, quando arriverà all'ultima pagina, avrà voglia di provarci a salire Les 7 Majeurs, magari con tempi diversi, con più calma, oppure si porrà un obiettivo da raggiungere, un'impresa da compiere. "Il grande giorno monterai in sella, con le prime luci dell'alba, sentirai quello schiocc gentile delle tacchette che si infilano nei pedali e inizierai a fare quella cosa che tanto ami." Condivido in pieno l'amore di Pellizzari per la bicicletta, per le imprese faticose. Dissento invece sull'affermazione di Giacomo: "Se mi trasferissi qui definitivamente, forse cesserebbe l'incantesimo. Questo posto diventerebbe casa. Il luogo meno incantato per eccellenza. Se queste valli, queste salite, questi ruscelli diventassero il mio paesaggio quotidiano, ciò che vedo ogni giorno aprendo la finestra, se pedalassi su queste strade tutti i giorni, non sarei più felice. Perchè si trasformerebbero in un punto di arrivo e non di fuga." Io vivo in Trentino, terra di grandi salite e passi dolomitici. Vado in bici quasi ogni giorno e non fuggirei mai da qui, perchè l'incantesimo si rinnova ad ogni uscita. "Si sceglie di andare in bicicletta verso l'alto per cercare qualcosa che più in basso non si trova. O, almeno, io ho iniziato per questo motivo. Non ho mai potuto concepire la bicicletta senza le salite. Odio la pianura, mi sembra una sorta di spinning o cyclette all'aria aperta, una perdita di tempo bella e buona, propedeutica al massimo a raggiungere la località dove inizia la salita. Al contrario, quando la strada si inclina, provo subito un senso di piacere, di soddisfazione. La strada tortuosa che sale mi conferma il sospetto che pedalare non sia tanto una questione di attività fisica, quanto piuttosto un viaggio mentale, in cui si esplorano, spesso per la prima volta, territori sconosciuti." ★★★★☆ scopri come valuto i libri Avevo già apprezzato la scrittura poetica ed intima di Giacomo Pellizzari ne "Il ciclista curioso".
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Mi chiamo Cristiana Bresciani, sono una mamma lavoratrice, sportiva e mangiatrice di libri. Vivo in Trentino, sul Lago di Garda. Amo viaggiare con la testa tra nuvole di libri e nel mondo con i piedi agganciati ai pedali di una bicicletta.

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