Uscirà il 5 maggio il nuovo romanzo giallo di Milka Gozzer, "Occhio per occhio". È il secondo della serie "I delitti di Capriata", dopo "Torna a casa, Viola!"
È inutile che cerchiate il paese di Capriata su google, è un posto inventato dall'autrice, ma collocato tra luoghi reali della Valsugana e ispirato (forse) a Vetriolo Terme.
In "Occhio per occhio" ritroviamo i protagonisti di "Torna a casa, Viola!": il barista Stefano, Viola (la pecora del Camerun), la figlia Betty, il Sergente Garcia, gli amici Roberto e Terry e i frequentatori del bar di Capriata che mi ricordano un po' i simpatici vecchietti del BarLume di Marco Malvaldi.
Non è però necessario aver letto il primo volume per leggere il secondo. Ogni episodio è autoconclusivo.
"A Capriata pare tornato finalmente il sereno, ma all’improvviso un nuovo atroce delitto arriva a turbare la quiete della montagna: la vittima in questo caso è una studentessa poco più che ventenne, Rosa Paladino, trovata morta nei boschi.
Nulla è come sembra.
E, mentre Stefano, il proprietario del bar del paesino, e i suoi amici sono impegnati a sbrogliare l’intricata matassa del mistero che avvolge il misero destino della ragazza, nuovi personaggi e colpi di scena finiscono per complicare non poco le indagini e le vite degli abitanti della zona.
Anche a casa Mattivi non mancano i segreti: Betty, la figlia di Stefano, sembra afflitta da mille preoccupazioni, ma non ne vuole fare parola con il padre. Intanto il pastore Roberto, amico d’infanzia del barista di Capriata, pare scomparso nel nulla.
Grazie all’insostituibile aiuto di Viola, la pecora del Camerun ormai divenuta la mascotte del gruppo, Stefano e il suo fidato Sergente Garcia riusciranno infine a giungere alla terribile verità che si cela dietro l’omicidio della giovane Rosa.
Ma la potranno davvero considerare una vittoria, questa volta?"
Molto belle le descrizioni dei luoghi e dei personaggi. Traspare l'amore dell'autrice per la sua terra, per le tradizioni popolari e la cucina tipica.Milka è sempre attenta ai particolari. L'uso frequente delle espressioni dialettali tradisce la sua passione per i luoghi, le tradizioni, il passato, la vita di montagna dove il progresso è rallentato rispetto alla città. Anche l'esperienza professionale giornalistica acquisita in passato dall'autrice caratterizza le trame dei suoi romanzi.
Il finale è aperto e questo ci lascia pensare e sperare che Milka abbia già in mente un seguito.
La copertina è artistica anche per questo secondo episodio dei "Delitti di Capriata". Si tratta di una rielaborazione grafica di un'opera dello scultore e pittore trentino Gianni Anderle intitolata "Trame". Molto bella.
Voi cosa fate il prossimo fine settimana? Io una gita tra Vetriolo Terme, Castel Selva, Panarotta e Monte Fravort... Mi è venuta voglia di visitare i luoghi in cui sono ambientati gli eventi del romanzo.
Nel blog potete leggere l'intervista all'autrice e la recensione di Torna a casa, Viola!, Racconti di viaggio Racconti di vita, Il gatto di Depero.
"Il barista osservava con un certo scetticismo il forestiero che aveva davanti.
Questi credono che salire una montagna sia come andare a fare la passeggiata sul lungomare!
★★★★☆
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🍾 spumante
"Il primo luglio del 2015, l’American Ballet Theatre di New York promuove Misty Copeland nel ruolo di principal dancer: è la prima volta nei 75 anni di storia della più importante compagnia di balletto USA che
un’afroamericana arriva così in alto. Da quel giorno il mondo della danza classica americana cambia per sempre, diventando meno elitario e più inclusivo. Tutto grazie al talento, allo spirito di sacrificio e alla resilienza di Misty Copeland. Nel libro l’autrice ripercorre le tappe più importanti della vita della ballerina: i racconti sono
arricchiti da interviste esclusive ad amici e colleghi di Misty Copeland: l’étoile Roberto Bolle, il fotografo e regista Fabrizio Ferri, la promessa della danza Virginia Lensi e Lauren Anderson, una delle prime ballerine
nere di successo e grande mentore di Misty."
Grazie alla bravura dell'autrice, la giornalista Cristina Sarto, "Misty Copeland" è un libro che una volta aperto si fatica a chiudere. Avvincente come un thriller, ti tiene incollato alle pagine con la voglia di continuare a leggere e allo stesso tempo la speranza che duri il più possibile.
Quella narrata è la vita di una ragazzina afroamericana, Misty Copeland, di famiglia molto povera, che a tredici anni comincia a danzare, scoprendo di avere un talento eccezionale. All'inizio gli ostacoli alla realizzazione del suo sogno di diventare ballerina professionista sono determinati dalla famiglia povera da cui proviene e dalle conseguenti difficoltà ad allenarsi ed acquisire una adeguata cultura coreutica (attività molto costose). In seguito la progressione della sua carriera sarà rallentata dal colore della sua pelle e dalle caratteristiche del suo corpo (muscoloso e prosperoso) che non rispecchiava gli standard richiesti. Grazie alla sua tenacia e determinazione, Misty diventerà una ballerina di successo, molto conosciuta e attivista per far riconoscere nel mondo della danza il diritto al proprio corpo senza imposizioni di colore della pelle o di taglie predefinite.
"Sarò chi voglio essere" è il motto di Misty che tutti dovremmo cercare di fare nostro.
Ringrazio Lorenzo Battaglia, l'editore di "Misty Copeland", per avermi suggerito di leggere questa appassionante biografia e avermi inviato una copia del libro.
Suggerisco la lettura a tutti (maschi e femmine, adulti e ragazzi), ma in particolare a mia nipote Jasmine, bellissima "ballerina moderna" con un passato da "ballerina classica", che come Misty ha sangue misto (italiano e sudamericano), la pelle color caffelatte, un corpo muscoloso, un bosco di capelli ricci e tanto talento per la danza.
"Misty Copeland sa bene che se la sua carriera di ballerina è un impegno a termine, dettato dai limiti dell'età, quello di attivista per i diritti degli afroamericani sarà per sempre".
L'autrice, Cristina Sarto, è una giornalista italiana. Ha vissuto per 12 anni a New York e ha collaborato per Donna Moderna, Io Donna, Style Magazine, Grazia, Flair, Glamour.
Oggi si occupa anche di comunicazione e produzioni video.
★★★★★
🐣 uovo di Pasqua
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Clip della partecipazione di Misty Copeland nel film Disney "Lo schiaccianoci e i quattro regni"
Da un'idea di Misty Copelan nata durante il lockdown viene realizzato il video "Swans for Relief" con finalità di raccolta fondi a favore di chi è in difficoltà
Misty Copeland
Cristina Sarto
È uscito il mese scorso "Correre in aria" di Larissa Iapichino, Mondadori editore.
Larissa, primatista mondiale under 20 indoor di salto in lungo, è la figlia quasi ventenne (classe 2002, generazione Z, nativa digitale) di Fiona May e Gianni Iapichino.
La madre conosciutissima sia nel mondo dell'atletica (due titoli mondiali e due medaglie d'argento alle olimpiadi e primatista italiana di salto in lungo) che dello spettacolo come attrice e ballerina.
Il padre, ex astista (tre titoli italiani vinti in carriera), ex golfista professionista, musicista per passione e ora allenatore di Larissa.
Nonostante io appartenga alla generazione X come i suoi genitori e solitamente non mi piaccia leggere le biografie di chi ha ancora tutta una vita davanti da vivere, questo libro mi ha incuriosita proprio perché mi chiedevo che tipo di romanzo fosse.
Al termine della lettura ho concluso che si tratta di un libro molto indicato per le ragazzine. Il mondo raccontato è quello della scuola, delle amicizie nate sui campi di atletica, degli amori nati sui social, dei vestiti da indossare la mattina e il colore dello smalto da scegliere e abbinare all'outfit.
Larissa tiene a sottolineare che lei è anche una "ragazza normale".
Se siete amanti dell'atletica e adulti, scordatevi di trovare dettagli tecnici nel libro. Nemmeno una parola sull'allenatore. Sembra quasi che Larissa si alleni da sola.
Ma non è una biografia, Larissa è troppo giovane per scriverla e davanti ha ancora tanta vita.
Si tratta più di un racconto a metà strada tra la favola e il diario romanzato di alcuni mesi della vita di Larissa, quelli trascorsi tra il record del mondo e l'infortunio ai campionati italiani di Rovereto, passando per la maturità, una serie di pensieri "in libertà" alla ricerca di se stessa in cui affronta il tema della sua "autodeterminazione". Non ci sta Larissa a sentirsi definire "predestinata". Sì certo, i suoi geni sono buoni, ma il resto (scelte, determinazione, rinunce, fatica) è opera sua.
Chi ha scritto veramente il romanzo?
Se è tutta farina del suo sacco, Larissa ha talento anche per la scrittura.
La narrazione è molto scorrevole e utilizza un linguaggio semplice e simpatico.
Se l'editor le ha dato una mano a mettere ordine tra i suoi pensieri - che per come si descrive lei è facile siano usciti fuori dalla sua penna come un fiume in piena - ha fatto un ottimo lavoro.
"Ero predestinata a diventare quel che sono, a fare quel che faccio?
Ho letto questa parola così tante volte, dopo quell'incredibile record di Ancona con cui ho eguagliato il record di mia madre a Valencia, nel 1986.
Eguagliato: capito? Significa uguale fino all'ultimo dei 691 centimetri di salto."
"A me piace pensare che tutto ciò che faccio dipenda da me, che non devo e non ho bisogno di accettare a priori una posizione, un'etichetta, un destino, ma che posso sempre guardarmi intorno, cercare ciò che è meglio e più giusto e andare a prendermelo saltando sempre un po' più in là."
"Certe volte vorrei dimenticare tutto anche solo per un giorno e spegnermi senza dormire, lasciare spazio alle cose che non chiedono impegni e scadenze, rigore e determinazione.
Alle cose che semplicemente accadono e non importa sapere precisamente quando e dove. Basterebbe quello."
★★★☆☆
🍨 mousse alla fragola
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"Il nome scomparso" di Fiorella Malchiodi Albedi è un originale romanzo che trae spunto da un bellissimo racconto di Dino Buzzati: "Inviti superflui", pubblicato per la prima volta sulla rivista "I libri del giorno" nel 1946 e successivamente incluso nella raccolta "Paura alla scala", una dichiarazione d'amore a una donna con la consapevolezza che il suo carattere e le sue passioni sono agli antipodi rispetto a quelle del narratore. Lui sentimentale e sognatore, lei attratta dai beni materiali.
La prima cosa che ho fatto quando l'autrice mi ha inviato il romanzo, dopo aver letto la trama, è stato leggere il racconto di Buzzati, attorno al quale si snoda l'intreccio. E consiglio di farlo anche voi a questo link
Alberto viene invitato ad una mostra di fotografi dilettanti. Rimane colpito da un solo scatto che ritrae le mani di una persona anziana, incrociate su un libro aperto. Le colleghe Michela e Ada a cui Alberto mostra la foto dell'opera che lo ha colpito riconoscono che le frasi del libro appartengono ad un racconto di Dino Buzzati, "Inviti superflui", ma che la versione del racconto ritratta nella foto non coincide con quella della edizione corrente. Nella foto appare il nome della donna a cui gli inviti sono rivolti, nella versione corrente non c'è. Il nome è scomparso. Incuriositi, i tre amici iniziano ad indagare.
Questo breve romanzo mi è piaciuto molto. L'ho letto velocemente, in quanto avvincente.
E' scritto bene, è scorrevole e a tratti divertente, ma per nulla banale. Molto moderna e attuale è la narrazione, in cui internet, le mail e i social sono presenti tanto quanto lo sono nelle nostre vite.
La descrizione dei personaggi e lo scavo psicologico degli stessi sono molto efficaci.
Si tratta di un romanzo breve che mescola un po' i generi. Non è un giallo, ma un romanzo che mischia vicende sentimentali con un mistero da risolvere.
L'autrice di professione è anatomopatologa (quanti medici hanno la passione per la scrittura!) e ha scoperto questo amore non in giovanissima età. Una collega l'ha convinta a scrivere un racconto, risultato poi vincitore di un concorso letterario.
Una raccolta di suoi racconti è stata pubblicata nel 2019, "Caldo cosmico e altri racconti" (Eretica edizioni).
"Il nome scomparso" è il suo primo romanzo.
Curiosità: il romanzo è stato pubblicato da Bookabook.
Bookabook nasce nel 2014 da un’idea semplice: trasformare il lettore da consumatore a parte attiva della vita del libro.
La selezione qualitativa è fatta dagli editor e prescinde da qualsiasi giudizio di commerciabilità. Il pubblico dichiarerà interesse o meno per il manoscritto, preordinandolo sulla base della lettura della sinossi e dell'anteprima. Se lo scritto riscuote un certo successo di interesse, valutato in base al numero di preordini, il libro sarà pubblicato.
"Tu pensi mai alla morte?"
"No, non direi."
"Neanch'io, eppure è strano, è sempre lì con noi, dal nostro primo giorno. Me la immagino guardarci da dietro lo stipite di una porta, paziente, mentre noi viviamo ogni giorno la nostra vita, come se non esistesse. Sappiamo che è lì, ma facciamo finta di niente. Poi, a un certo punto, diventa reale."
★★★☆☆
🍨 mousse alla fragola
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L'idea di scrivere "Elogio del gregario" è venuta a Marco Pastonesi un giorno in cui, a causa di una foratura, si è imbattuto per caso nella bottega da ciclista dei fratelli Renzo, Valeriano e Mario Zanazzi, ex gregari professionisti ai tempi di Coppi e Bartali. Mentre riparava la gomma bucata, Valeriano raccontava a Marco episodi della passata vita da gregario.
Ex ciclista ed ex giocatore di rugby di serie A, l'autore è stato giornalista della «Gazzetta dello Sport» per moltissimi anni e da cronista ha seguito dodici Giri d’Italia, nove Tour de France e un’Olimpiade, ma anche due Giri del Ruanda e uno del Burkina Faso.
Ai suoi sport preferiti ha dedicato numerosissimi libri. L'ultimo è "Elogio del gregario".
Il titolo è eloquente. Si tratta di un chiaro riconoscimento al gregario.
In realtà gli elogi sono molti, come anche i gregari, a cui Marco Pastonesi dedica racconti e aneddoti con lo scopo di riconoscere l'importanza del ruolo del gregario che, quasi sempre, sgobba per il capitano tutta la gara e appena dopo il traguardo nessuno ricorda più.
Il primo racconto è dedicato proprio ai fratelli Zanazzi, a cui ne fanno seguito molti altri.
Una raccolta molto interessante, imperdibile per gli amanti del ciclismo, soprattutto del passato.
Curiosità: Marco Pastonesi fa parte del Comitato scientifico della Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza.
La Biblioteca della bicicletta è nata nel 2012 da un’idea di Fernanda Pessolano e un progetto dell’associazione Ti con Zero, è un luogo di raccolta di quello che riguarda la bicicletta in tutte le sue forme e i suoi modi, ma è anche un luogo di lettura e studio aperto a tutti.
La Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza possiede circa 2300 titoli, tra testi, riviste, cd e dvd, mappe e itinerari.
"Il mio gregario ideale è un centauro, metà uomo (o donna) e metà bici, e deve avere una carriera pulita, linda, immacolata da vittorie. In due parole: vittorie zero. Perché la vittoria è una sirena al cui canto bisogna saper resistere con lentezza, se non fermezza. Perché la vittoria è una cattiva consigliera, ingannevole ed effimera. [...] La sconfitta, nel ciclismo, non esiste, al massimo la si sfiora quando si abbandona la gara. Il mio gregario ideale dà tutto prima. Così quell’undici novembre 2018 ci rimasi da bestia. Giuda, pensai, non avrebbe potuto fare di peggio. Un colpo sotto la cintura, una pugnalata alle spalle. Un tradimento bello e buono, uno strappo alle regole. Un salto mortale, un peccato capitale. Dopo dieci anni di esemplare professionismo – zero vittorie in carriera –, proprio nell’ultima corsa da stipendiato, in piena zona Cesarini, ormai a tempo scaduto, Alan Marangoni cedette alla tentazione e fece quello che non aveva mai fatto e che non avrebbe mai dovuto fare. Vincere. [...]
Nel 2018, l’anno dell’addio alle corse da immacolato (Nippo-Vini Fantini-Europa Ovini), 8761,06 km in settantuno giorni di corsa, Marangoni perse la testa. Dopo aver messo in crisi mistica chi credeva in lui con due settimi posti (seconda tappa e classifica finale) nella Hammer Stavanger, peccò con un quarto posto nella nona e ultima tappa del Tour of Hainan, finché l’ultimo giorno con il dorsale cedette anche al comune senso del pudore e osò vincere il Tour – ma si tratta della corsa di un giorno, anche se stavolta nefasto – de Okinawa. Perdipiù aggravando la tragica situazione festeggiandosi, osannandosi, celebrandosi, felicitandosi, battendosi ripetutamente il pugno destro sul cuore. Non mi rimase altro che processarlo per direttissima ed emettere il duro verdetto: espulso. Espulso e squalificato a vita dalla mia squadra. Di cui lui, Alan Marangoni, romagnolo di Cotignola, era – ma tu pensa – il capitano morale, il leader naturale, il comandante esemplare.
E per rispetto verso chi era rimasto ai patti, a nulla sarebbero mai valsi inevitabili ripensamenti e tardivi pentimenti. Amen.
Ognuno ha la sua squadra. La Bianchi o la Legnano, la Salvarani o la Molteni, la Mercatone o la Mapei, la Tenax o la Flaminia, la Zalf o la Colpack. La mia squadra è trasversale e universale, indipendente e rivoluzionaria, composta esclusivamente da corridori senza vittorie. Ogni anno si arricchisce di nuove illusioni e si valorizza di nuove delusioni, si fortifica di eterni secondi e terzi mondi, si moltiplica di maglie nere e lanterne rosse, puntando e lanciando gli atleti regolari e completi, cioè quelli che – come si recita nel mondo del ciclismo – vanno piano dappertutto."
★★★☆☆
🍞 pane
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Adoro le protagoniste dei romanzi di Isabel Allende, forti, determinate, a volte sfrontate, coraggiose, anticonformiste, femministe e imperfette. Quante di noi vorrebbero essere una di loro, saper prendere coraggiosamente scelte difficili e controcorrente!
Anche Violeta, la protagonista del suo ultimo romanzo, incarna perfettamente tutte queste caratteristiche. Vita non facile la sua, in un'alternanza di ricchezza e povertà, dolore e amore.
L'amore è sempre protagonista nei romanzi di Isabel: amori sbagliati, amori passionali, amori "tranquilli" e l'amore della vita (che non è detto che sia quello in grado di garantire la felicità).
Ritornano temi a lei cari: orfani abbandonati e accolti con amore in altre case, figli illegittimi, famiglie allargate e, se non ricordo male, per la prima volta affronta il tema dell'omosessualità.
Di femminismo la Allende se ne è sempre occupata. In questo romanzo affronta anche la violenza domestica.
Tantissimi personaggi secondari, ma molto importanti, sono presenti - nel suo tipico stile - e ne conosciamo le vite attraverso il racconto.
Molto originale la narrazione: una lunghissima lettera di Violeta a Camilo, che scoprirete chi è verso la metà del romanzo. Il racconto della sua vita, lungo cento anni, dal 1920 al 2020, da una pandemia all'altra passando per guerre e colpi di stato, periodi di benessere ad altri di carestia, gioie e dolori. Un'altalena di alti e bassi, come è la vita.
Dopo aver letto tutti i romanzi di Isabel Allende e conoscendo la biografia dell'autrice posso affermare che molto di autobiografico c'è nel romanzo.
Gli amori di Violeta hanno molto in comune con quelli di Isabel, il dolore della morte di un figlio per una madre l'autrice lo conosce bene avendo perso una giovane figlia, il periodo della dittatura cilena e il forzato esilio hanno toccato di persona la Allende. Il tema della dipendenza da droga, già affrontato ne "Il quaderno di Maya", torna in "Violeta" e la Allende ha vissuto sulla propria pelle i problemi di tossicodipendenza della figlia del suo secondo marito.
La Fondazione presente nella storia inventata è molto simile alla vera Fondazione Isabel Allende, costituita in memoria della figlia Paula, morta molto giovane a causa di una malattia rara.
Elena Liverani, la traduttrice, ha dichiarato che "la cosa più bella di questo libro è che la protagonista non è collocata dalla parte giusta, politicamente. È una donna conservatrice, molto benestante, che quindi si lascia un po’ scivolare sulla pelle gli avvenimenti. All'inizio non sembra avere precisa contezza dei drammi che si stanno svolgendo e arriva a capire le cose quando gli eventi iniziano a toccarla personalmente."
La Liverani, storica traduttrice di Isabel Allende, ha con lei un rapporto di amicizia.
Come Ilide Carmignani, che ha dato la voce italiana a Luis Sepulveda e stretto con lui un rapporto intenso, Elena Liverani ritiene che la conoscenza personale con l'autore sia di grande aiuto nella traduzione.
"C'è un tempo per vivere e un tempo per morire. E tra i due, c'è il tempo per ricordare. È quel che ho fatto nel silenzio di questi giorni in cui ho potuto scrivere i dettagli mancanti per completare le pagine che ti scrivo, un testamento sentimentale più che disposizioni di ordine materiale."
"Sono nata nel 1920, durante la pandemia della spagnola, e morirò nel 2020, durante la pandemia da coronavirus."
★★★★★
🍾 spumante
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Nel blog potete leggere anche la recensione di Lungo petalo di mare della stessa autrice.
I gialli di Cristina Cassar Scalia sono sempre piacevoli. L'autrice siciliana scrive bene, sa tenere alta l'attenzione e con la vicequestore Vanina Guarrasi ha creato un personaggio molto interessante.
Negli ultimi anni sono state molto apprezzate "le serie gialle" come il commissario Montalbano, Rocco Schiavone, Saverio Lamanna, i vecchietti del Barlume, Carlo Monterossi, tutte trasformate in serie tv. Presto dovrebbe diventarlo anche la storia di Vanina.
Pagina dopo pagina, episodio dopo episodio, il personaggio principale si fa conoscere meglio, evolve ed i lettori si affezionano a lui.
È così anche per Vanina. Noi lettori amiamo il suo intuito e il suo decisionismo sul lavoro e comprendiamo la sua indecisione in campo amoroso. E molti di noi invidiano a Vanina la fortuna, vivendo in Sicilia, di poter gustare squisiti piatti siciliani che l'autrice cita in abbondanza con dovizia di succulenti particolari.
Nell'ultimo romanzo "Il talento del cappellano", il quinto della serie, Vanina si trova, in periodo natalizio, ad indagare su un duplice delitto: due assassinati, a distanza di poche ore, ritrovati insieme. Apparentemente tra loro scollegati: una dottoressa e un religioso.
Nelle indagini Vanina è aiutata dal commissario in pensione Patanè, presente ormai in tutte le indagini della vicequestore e da una squadra sempre più affiatata.
False piste, colpi di scena e infine la soluzione del caso.
Nel frattempo la storia d'amore tra Vanina e il magistrato Paolo Malfitano procede con un passo avanti e due indietro.
Cristina Cassar Scalia ha da poco annunciato che sta scrivendo la prossima avventura. Speriamo che nel prossimo romanzo Vanina faccia due passi avanti, si chiarisca un po' le idee. Lo spasimante pediatra, rivale del magistrato, saprebbe forse dare a Vanina un po' di serenità.
Nel blog potete leggere, della stessa autrice, anche le recensioni di: La salita dei saponari, L'uomo del porto e Tre passi per un delitto.
"Aveva smesso di nevicare da un paio d'ore e il cielo s'era riempito di tutte le stelle che l'occhio umano è in grado di distinguere. Ai bordi della strada che si inerpicava su per la muntagna, cumuli di neve seppellivano i muretti di pietra lavica. Così imbiancato, il paesaggio intorno, invisibile nel buio della notte, doveva essere uno spettacolo."
★★★☆☆
🍨 mousse alla fragola
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Molto intimo questo scritto di Chiara Gamberale, che ha la forma di un breve "diario" del periodo del lockdown. Di lei avevo letto alcuni romanzi. Non conoscevo l'aspetto fragile della sua personalità, i problemi di depressione con cui è costretta a convivere. Che bella persona è! Ha saputo trasformare le sue debolezze in forza, facendo volontariato, aiutando i malati. Brava Chiara Gamberale!
Come Chiara anch'io, per certi aspetti, ho apprezzato il lockdown .
Mi mancavano alcune persone, affetti, ma ho gradito la riduzione dei contatti . Sono "un'orsetta " e a casa, a fare il pane, senza troppi obblighi sociali, ci stavo bene. Forse perché, comunque, la mia numerosa famiglia era tutta riunita.
Ho letto questo romanzo per il torneo letterario di Robinson.
★★★☆☆
🍷 vino rosso
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Scritto molto bene, ma di una noia mortale. Non mi ha coinvolta per nulla la "questione dei cavalli" e del western da girare a Venezia. Mi è piaciuto Momo, il ragazzino forse autistico, che aspettavo di incontrare nelle pagine scritte da Arianna Ulian.
Mi sarebbe piaciuto conoscere meglio questo ragazzino. Tutti i particolari sulla fallita registrazione del western a Venezia invece mi hanno annoiata.
Ho letto questo romanzo per il torneo letterario di Robinson.
★★☆☆☆
🍕 pizza
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E' uscito esattamente un mese fa l'undicesimo episodio di Rocco Schiavone "Le Ossa parlano", edito da Sellerio. Nonostante le indagini siano avvincenti e Antonio Manzini, in questo suo ultimo romanzo, abbia dato spazio quasi esclusivo al giallo, ciò che mi interessa maggiormente è l'evoluzione del personaggio, che episodio dopo episodio evolve e si fa amare sempre di più, con le sue debolezze, il lutto non completamente elaborato, le delusioni e la depressione.
Rocco, con la vendita dell'appartamento romano, lascia per sempre la capitale. Si porta via un solo oggetto: lo specchio di Marina, dalla quale non riesce a distaccarsi.
Al ritorno ad Aosta si ritrova ad indagare su delle ossa umane scoperte in un bosco. Sono i resti di un bambino scomparso sei anni prima. L'indagine è dolorosissima per tutta la squadra del vicequestore. Emerge una realtà tristissima, una storia di violenza, di infanzia negata, un mondo sommerso che una volta emerso si fatica a scrollarsi di dosso.
Nonostante Manzini abbia riservato al caso la quasi totalità del racconto, la solitudine e la tristezza di Rocco si avvertono in ogni pagina. Sentimentalmente Rocco appare combattuto tra la giornalista Sandra e la collega Caterina, vuole una, l'altra o nessuna. E Marina è sempre nel suo cuore.
Io vi confesso che faccio il tifo per Caterina. Mi è sempre piaciuta. Manzini lo sa già dove vuole arrivare. Ha più volte affermato che quello di Schiavone è un unico grande romanzo diviso in molte puntate. Io aspetto con ansia il prossimo episodio. E voi?
L'indagine di questo romanzo mi ha ricordato Anime trasparenti di Daniele Bresciani, che ha come tema quello della pedofilia.
Curiosità: si è svolto a dicembre presso la Facoltà di scienze cognitive a Rovereto un interessantissimo incontro tra lo scrittore Antonio Manzini e gli studenti del corso di Psicologia dinamica. Guidati dalla professoressa Paola Venuti, gli universitari hanno delineato il profilo psicologico di Rocco Schiavone: personaggio dai tratti schizoidi e borderline, introverso, ritirato e solitario, emozionalmente freddo e socialmente distante, con difficoltà a mostrare le emozioni, impulsivo, con scatti di rabbia immotivata ed intensa, affettivamente instabile. Tuttavia adattivo e funzionale, in progressivo miglioramento e in fase di eleborazione del lutto. Nel complesso non disturbato e mediamente sano.
"Avrebbe voluto essere come Michela Gambino, con le sue folli certezze in un mondo lontano dalla realtà e dalle sue imperfezioni. Chissà, si domandò, ognuno si difende dalle botte della vita come può, magari costruendosi un universo parallelo a propria immagine e per la propria sicurezza, evitando le domande senza risposta e la paura della morte e della solitudine. Anche se Rocco non aveva paura della morte né della solitudine. L'abbandono, quello temeva da sempre. E più lo temeva, più la vita lo puniva. Amici, amori, famiglia, affetti sembravano allontanarsi da lui come calamite di segno opposto. Non sapeva come interrompere questa catena, si sentiva impotente e preda della crudeltà del destino. Forse, pensava, se riuscissi a superare il dolore del distacco, non soffrirei più, non succederà più che perda le persone a cui tengo."
★★★★☆
🍋 limone
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"Questo giorno che incombe" di Antonella Lattanzi, vincitore del premio Scerbanenco 2021, è un noir molto coinvolgente ed avvincente, ma anche inquietante, soprattutto per chi ha bambini piccoli.
Una famigliola felice, composta di quattro persone, due giovani genitori in carriera e due figlie piccole, si trasferisce in una nuova casa alla periferia di Roma. Tutto sembra magnifico, finchè dal cortile del condominio sparisce una bambina.
Nel romanzo, molto lungo, si trovano riferimenti a quasi tutti i peggiori crimini commessi sui bambini negli ultimi 20/30 anni in Italia (Cogne, Avetrana, Denise Pipitone, ...).
Tanti i colpi di scena e gli stravolgimenti, tipici dei thriller, ma alla fine, a parte il colpevole, troppe questioni sono lasciate in sospeso. E a me questo non è piaciuto. In alcuni punti, inoltre, ho avuto l'impressione che l'autrice avrebbe potuto evitare di dilatare troppo gli eventi. Tuttavia il romanzo è molto bello, molto introspettivo. Vale la pena di leggerlo.
Mi resta una curiosità: la casa che parla è la coscienza della protagonista? O dell'autrice? O semplicemente un disturbo psichiatrico?
Dalla prefazione sembra di capire che la storia trae origine da un fatto realmente accaduto nella vita della scrittrice e che ha segnato la sua esistenza.
"Lo chiamavano tutti così, lì. L'incidente.
Era successo nel nostro condominio. Nel nostro palazzo.
Io ero troppo piccola per capire. Avevo otto mesi. Anche mia sorella era troppo piccola. Aveva quattro anni. Però che qualcosa non andava lì lo capimmo molto presto."
★★★☆☆
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🍋 limone
Nel romanzo "Il sentiero dei nidi di ragno", pubblicato nel 1947 da Einaudi, Italo Calvino affronta il tema della lotta partigiana. Lo fa utilizzando un approccio molto originale. Il punto di vista è quello di un ragazzino, Pin, un orfano, povero, rozzo che vive con la sorella prostituta.
Pin, dopo alcune peripezie, trova rifugio in un accampamento partigiano. E Calvino inizia a narrare le vicende della "scalcagnata" banda attraverso gli occhi del ragazzino.
La storia può essere letta su più piani: quello del bambino solo che non si trova a suo agio nè con i coetanei nè con gli adulti ed è alla disperata ricerca di un amico e quello della vicenda storica della lotta partigiana. Tra le righe emergono le contraddizioni di entrambe le parti in lotta. Chi ha scelto di combattere? È perché proprio da quella parte?
Il linguaggio è scorrevole e semplice, tranne l'uso di termini dialettali che inizialmente può mettere in difficoltà rallentando un po' la lettura.
"Pin sale per il carrugio, già quasi buio; e si sente solo e sperduto in quella storia di sangue e corpi nudi che è la vita degli uomini"
★★★☆☆
🍞 pane
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"Quando tornerò" di Marco Balzano è un romanzo che affronta il tema delle badanti straniere, per lo più dell'est, che lasciano la propria famiglia e si trasferiscono in Italia, per accudire bambini ed anziani. Ho scoperto esistere una vera e propria sindrome, il "mal d'Italia", che molto frequentemente colpisce le madri costrette a lasciare i figli per lavorare nel nostro paese. Per non parlare del disagio dei minori lasciati a casa, che spesso vivono la partenza come un abbandono. E' un romanzo importante che ci fa riflettere sulla vita di chi si prende cura dei soggetti deboli della nostra società. Nessuno pensa mai al sacrificio che queste madri fanno per lavorare.
Quello di Balzano è un romanzo familiare, diviso in tre parti e la voce narrante cambia.
Nella prima parte (DOVE SEI), Manuel (figlio di Daniela, emigrata in Italia per permettere ai figli, con il suo stipendio, di vivere dignitosamente in patria) racconta dal suo punto di vista, in ordine cronologico, i fatti accaduti e le sue emozioni da quando la madre è "scappata" fino all'incidente.
Nella seconda parte (LONTANA) la voce narrante è quella di Daniela che racconta, con continui salti temporali tra il periodo in cui Manuel è in rianimazione e il periodo in cui lavorava in Italia come badante, il suo punto di vista e va a colmare, in questo modo, le lacune narrative del racconto di Manuel.
Nella terza parte (BOOMERANG) la voce narrante è quella della figlia maggiore, Angelica, che prosegue la narrazione, anche da un punto di vista temporale.
Ciascun personaggio compie delle scelte, subisce quelle altrui e rivendica necessità, bisogni e aspirazioni. Manuel si sente abbandonato, non ha saputo accettare la situazione. Daniela si sente in colpa e Angelica si carica di responsabilità altrui.
Il romanzo è strutturato in modo originale, affronta un tema molto importante ed è scritto bene. Pone domande e svela situazioni a cui molto spesso chi assume una badante nemmeno pensa.
Ho trovato analogie con Lacci di Domenico Starnone per la costruzione del romanzo: tre personaggi/tre punti di vista.
Ho trovato somiglianze con L'acqua del lago non è mai dolce di Giulia Caminito, in particolare analogie tra le madri: forti, determinate, in grado di sostenere enormi sacrifici per permettere ai figli di studiare riconoscendo alla cultura la possibilità di determinare un riscatto sociale.
Il finale mi è parso un po' sbrigativo e pertanto non ho trovato il romanzo di Balzano all'altezza dei suoi precedenti: L'ultimo arrivato e Resto qui.
"Ragazzi miei, ho trovato lavoro in Italia. Devo andare, altrimenti non potrete più studiare e a momenti neanche mangiare come si deve. Io invece voglio che viviate con le stesse possibilità degli altri. Discutere con vostro padre è inutile, per questo sono andata via così. Non è un bel modo, lo so, ma se non mi fossi precipitata ne avrebbero preso un'altra. Comunque spero di stare via poco. Manderò un po' di soldi a papà e un po' a nonna Rosa, loro vi daranno quel che vi serve. Tu, Manuel, studia e abbi fiducia in me. Tu, Angelica, occupati di tuo padre e di tuo fratello e non volermi male per i sacrifici che ti chiederò. Vi voglio un bene che non so dire. A presto, Mamma."
★★★☆☆
🥃 amaro digestivo
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A Natale ho ricevuto in regalo "Alfonsina e la strada", la biografia romanzata della ciclista italiana Alfonsa Rosa Maria Morini, coniugata Strada, unica donna ad aver corso il Giro d'Italia nel 1924.
La vita di Alfonsina ci viene raccontata in modo molto coinvolgente da Simona Baldelli, scrittrice e appassionata di sport, che ha subìto il fascino della ciclista ed ha voluto scriverne un romanzo per omaggiarla.
Soprannominata la regina della pedivella, Alfonsina, negli anni della prima guerra mondiale, chiese ed ottenne di gareggiare con i maschi nel Giro di Lombardia. In quegli anni tutte le gare femminili erano state soppresse ed Alfonsina lo riteneva ingiusto. "Maschi e femmine sputavano sangue sui pedali tale e quale" diceva.
A sostenerla nelle sue sfide c'era il marito che le aveva costruito anche "un marchingegno con pedali e molle perché lei potesse allenarsi in casa anche nei giorni in cui nevicava o pioveva troppo per andare in strada."
Ammiro Alfonsina che ha saputo farsi valere, non rinunciare ai propri sogni per il solo fatto di essere una donna.
Ciò che ha sempre cercato è il proprio limite, per superarlo e spostarlo più in là.
Nata in un'epoca e in luoghi in cui, per una donna, era disonorevole praticare sport, Alfonsina ha contribuito tantissimo con la sua caparbietà a far sì che tutte noi oggi possiamo correre felici in bici per le strade, senza essere additate come delle puttane, delle matte o il diavolo in gonnella.
Quando, a quindici anni, io ho iniziato ad allenarmi per gareggiare nel mezzofondo, dove vivo non c'era una società di atletica leggera con un vivaio giovanile. Io mi allenavo con ragazzi (maschi) più grandi di me e mio padre, all'inizio, non era molto contento che corressi in pantaloncini corti per le strade. Poi se ne fece una ragione. Ma l'idea che lo sport fosse da riservare agli uomini, nelle periferie e nei ceti medio-bassi, è sopravvissuta a lungo.
Alle perplessità degli organizzatori di fronte alla sua richiesta di poter gareggiare con gli uomini, Alfonsina osservò: "La gente farebbe chiasso perché sono la prima. Ma io potrei dare l'esempio. In futuro non lo noteranno nemmeno."
Oggi Alfonsina è considerata una delle pioniere della parificazione di genere in campo sportivo. È stata una femminista inconsapevole.
Più di tutto ha sofferto per le carenze affettive e la mancanza di comprensione da parte della sua famiglia. Degli insulti degli estranei non le importava.
Povertà affettiva e materiale, fama ed oblio. Queste le tre fasi della vita di Alfonsina che non merita assolutamente di essere dimenticata.
Lei è stata anche la detentrice del record del mondo di velocità femminile, 37km/h, stabilito nel 1911, quando aveva vent’anni e nel 1938, a 47 anni, conquistò il record femminile dell’ora a Longchamp, in Francia, fissandolo a 35,28 chilometri. Nello stesso anno stabilì il record mondiale femminile delle 12 ore correndo per 325 km.
Leggere questa biografia è stato per me molto bello. Mi sono immedesimata in Alfonsina. Ho lottato, sofferto e gioito con lei.
Chi mi conosce sa quanto mi è pesato abbandonare l'agonismo nella corsa e nel duathlon e che, nonostante siano passati esattamente tre anni dalla mia ultima gara, io non mi sono arresa. Ci credo ancora di poter tornare a gareggiare.
★★★★★
🐣 uovo di Pasqua
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Mario Calabresi racconta in modo molto coinvolgente, quasi fosse un romanzo, la vita di Carlo Saronio, giovane benestante rapito negli anni Settanta dal gruppo di estrema sinistra Potere operaio.
Saronio stesso ne aveva fatto parte, ma fu tradito dagli amici con cui aveva condiviso idee politiche e battaglie.
A voler far emergere il ricordo di Carlo è stata la figlia Marta, nata otto mesi e mezzo dopo la morte del padre, avvenuta il giorno stesso del rapimento a causa di un errato uso del narcotizzante da parte dei rapitori. Per quarantacinque anni Marta non ha chiesto nulla a nessuno di suo padre. Temeva che far affiorare i ricordi potesse essere troppo doloroso per la madre e la nonna. Un giorno parla con il cugino Piero, missionario, e insieme decidono che è arrivato il momento di capire chi era veramente Carlo Saronio, di scoprire "quello che non ti dicono". Piero e Marta hanno entrambi letto "La mattina dopo" di Mario Calabresi. Concordano che lui sia la persona in grado di aiutarli a fare luce sulla vita di Carlo. Piero scrive a Calabresi una mail, Marta si presenta a lui al termine di un evento letterario. Dopo una iniziale incertezza, Mario Calabresi comincia ad aprire armadi, sfogliare album di foto, visitare i luoghi in cui Carlo viveva, studiava, incontrava gli amici. Calabresi è costretto a tornare agli anni settanta, a fatti che lo toccano in prima persona. Anche lui, come Marta, ha perso il padre per mano di terroristi.
Mario Calabresi, giornalista, è stato direttore di "La Stampa" e "La Repubblica". Oltre a "Quello che non ti dicono" ha scritto: "Spingendo la notte più in là", "La fortuna non esiste", "Cosa tiene accese le stelle", "Non temete per noi, la nostra vita sarà meravigliosa" e "La mattina dopo".
“Quello che non ti dicono, alla fine te lo vai a cercare.”
★★★★☆
🍷 vino rosso
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Moltissimi trentini non conoscono la protagonista, tranne forse gli appassionati di tennis ai tempi di Lea Pericoli o gli alpinisti che hanno frequentato il Gran Sasso o le Dolomiti negli anni '60.
Tuttavia "LA LIBERTÀ È TUTTO - Chiaretta Ramorino, tante vite in una" è un libro che vale la pena di leggere.
Autrice è Francesca Colesanti, nata a Firenze, vive a Roma, giornalista, traduttrice, ex istruttrice del CAI, amica della Ramorino.
Nella prefazione di Carlo Alberto Pinelli (regista, alpinista, ambientalista) scopriamo che Maria Chiara Ramorino - che ha novant'anni, è nata a Torino e vive a Roma - è stata una campionessa di tennis di livello nazionale, primatista regionale nel mezzofondo, stella del basket, alpinista, istruttrice di arrampicata, sciatrice da competizione, campionessa di orienteering e scienziata.
Laureata in fisica, ha lavorato per molti anni al Comitato nazionale per l'energia Nucleare (ora Enea) ed è stata per 14 anni nel team di ricerca italiano in Antartide. Un ghiacciaio porta il suo nome in suo onore. Andata in pensione a 67 anni, per 20 anni ha continuato a collaborare recandosi due volte a settimana al Centro ricerche Casaccia.
"La libertà è tutto" è una sorta di biografia ricostruita attraverso interviste alla protagonista, lettura degli appunti delle sue vecchie agendine e testimonianze di colleghi, amici e avversari sportivi (Lea Pericoli, Reinhold Messner ... ).
Partendo da questo collage di informazioni, la giornalista, nel suo racconto, ci trasmette perfettamente l'idea di chi era e chi è la Ramorino: una donna forte e determinata, che ha inseguito e raggiunto i suoi sogni. Ha avuto anche dolori e affrontato difficoltà, ma il bilancio della sua vita è nettamente in positivo. Maria Chiara ha messo la libertà davanti a tutto.
Una storia interessante, una vita da prendere ad esempio.
Il suo amore per lo sport all'aria aperta non può che essere da me condiviso. E i suoi successi un po' invidiati (in senso buono).
Un unico difetto: non ama leggere.
"L'unica cosa che ho sempre desiderato è stato poter fare quello che volevo: in una parola libertà. Con mia grande fortuna, l'ho realizzata."
★★★☆☆
🍞 pane
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"LA LIBERTÀ È TUTTO - Chiaretta Ramorino, tante vite in una" di Francesca Colesanti,
Edizioni del Gran Sasso, ha vinto il Premio Speciale Dolomiti UNESCO 2021 di Pordenonelegge.
Chi di voi mi legge da un po' di tempo, sa che nei miei consigli di lettura non rivelo mai troppo della trama del romanzo.
Anche in questa occasione non mi dilungherò. Ne "Il gatto di Depero" di Milka Gozzer la vita del pittore futurista trentino Fortunato Depero ci viene raccontata da un falegname morto: Mario Nicoluzzi, in vita esperto nella lavorazione del legno con il tornio, suonatore di basso, maratoneta, amante delle frasi palindrome.
A Milka Gozzer non piace categorizzare i suoi romanzi e "Il gatto di Depero" infatti è un mix di generi: un po' storia vera, un po' invenzione e un "giallo" da risolvere.
Fin da subito si intuisce che un malinteso legato "al gatto di Depero" ha rovinato il rapporto di amicizia tra il famoso pittore futurista e l'abile falegname roveretano. Nel raccontare l'origine e l'evoluzione di questo malinteso, l'autrice ripercorre la storia del Trentino dalla prima guerra mondiale agli anni Sessanta e l'intera vita dell'artista.
Questo romanzo ha il grande pregio di farci conoscere Fortunato Depero e ci aiuta a comprendere le sue scelte, molto criticate per la sua presunta vicinanza al fascismo.
Milka Gozzer ha una scrittura estremamente avvincente e coinvolgente.
Se iniziate un suo romanzo, mettete subito in conto che non riuscirete tanto facilmente ad interromperlo per fare altro. Sa coinvolgere a tal punto che tutto il resto passa in secondo piano.
"Può sembrare strano, ma quando sei morto non nutri rancore. I fatti belli e brutti ti appaiono come sulle pagine di un romanzo. Spesso mi sorprendo di aver vissuto quello che ho vissuto senza che io lo avessi cercato, a differenza di Fortunato che invece si dannava come un ossesso. Un fuoco aveva dentro, avrebbe potuto incendiare la mia bottega e tutto il legname ammonticchiato, se solo avesse voluto. Adesso che sono morto vedo chiaramente la natura di quel fuoco e penso ancora a quel dannato gatto. Sì, un gatto di legno. Rifletto spesso su quante possibilità ci fossero. Passo il mio tempo a formulare ipotesi, così, per non annoiarmi. Con il senno di poi è pieno il cimitero, diceva mio padre. Appunto."
Qui potete leggere l'intervista a Milka Gozzer.
★★★★☆
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🍞 pane
È in corso al Mart di Rovereto la mostra "Depero New Depero", una grande esposizione dedicata a Fortunato Depero che esplora la modernità delle sue sperimentazioni e l'influenza delle sue ricerche negli ambiti dell'arte, della moda, del design e del fumetto dagli anni Settanta ad oggi. Esposti circa 500 lavori tra opere, disegni, mobili, oggetti, manifesti, fotografie, libri e riviste; una decina di video e film realizzati negli ultimi venti anni; fumetti e oggetti di design, oltre ai famosi bozzetti pubblicitari Campari.
Ho ascoltato il racconto "Cattedrale" (che dà il titolo all'omonima raccolta di Raymond Carver) su "Ad Alta voce", letto da Fausto Paravidino (voce molto particolare e adattissima al personaggio narrante). Tempo di ascolto: 45 minuti.
C’era questo cieco, un vecchio amico di mia moglie, che doveva arrivare per passare la notte da noi. Gli era appena morta la moglie. E così era andato a trovare i parenti di lei in Connecticut. Aveva chiamato mia moglie da casa loro. Avevano preso accordi. Sarebbe arrivato in treno, un viaggio di cinque ore, e mia moglie sarebbe andata a prenderlo alla stazione. Non l’aveva più visto da quando aveva lavorato per lui un’estate a Seattle, dieci anni prima. Comunque, lei e il cieco si erano tenuti in contatto. Registravano dei nastri e se li spedivano per posta avanti e indietro. Non è che fossi entusiasta di questa visita. Era un tizio che non conoscevo affatto. E il fatto che fosse cieco mi dava un po’ di fastidio. L’idea che avevo della cecità me l’ero fatta al cinema. Nei film i ciechi si muovono lentamente e non ridono mai. A volte sono accompagnati dai cani-guida. Insomma, avere un cieco per casa non è che fosse proprio il primo dei miei pensieri."
★★★☆☆
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🍷 vino rosso
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"Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street" è un racconto di Herman Melville scritto nel 1853.
L'ho ascoltato su "Ad alta voce".
Ho apprezzato molto la maestria dell'autore nel saper tenere alta la curiosità. Voce narrante è l'avvocato presso cui Bartleby lavora come scrivano.
Si tratta di un breve racconto. Si ascolta in due ore.
Molteplici sono le interpretazioni che la critica ha dato di quest'opera. Italo Calvino avrebbe dovuto dedicare a Bartleby l’ultima delle "Lezioni Americane di Italo Calvino", ma la morte dello scrittore ha impedito la stesura del capitolo. Quasi tutta la critica concorda si tratti di un esempio di resistenza passiva e di denuncia dell'alienazione da lavoro.
Volete che vi racconti qualcosa di Bartleby lo scrivano?
"Preferirei di no" (“I would prefer not to).... leggetelo! o, come ho fatto io, ascoltatelo e scoprirete il motivo di questa risposta.
★★★☆☆
🍞 pane
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Qui sotto una rivisitazione moderna del racconto
La pista di ghiaccio di Roberto Bolano è un romanzo giallo molto avvincente. La storia è originale e interessante. Tutto ruota attorno alle vicende di tre innamorati e un cadavere ritrovato.
Tre voci si alternano nella narrazione dei fatti: quella di un messicano in esilio, innamorato di Caridad, clandestina che vive in un campeggio a "Zeta" (non sarà mai svelato il nome vero della città) e che circola sempre con un coltello nascosto sotto la maglia; quella del gestore del campeggio che ha una storia con la campionessa di pattinaggio Nuria e quella di un grasso funzionario socialista, innamorato della bellissima pattinatrice, che utilizzando fondi pubblici, farà costruire una pista di ghiaccio dentro una grande villa abbandonata di proprietà comunale.
Ascoltatelo o leggetelo! Ne vale veramente la pena.
Ore di lavoro davanti al computer negli ultimi giorni mi hanno affaticato gli occhi e fatto passare la voglia di leggere la sera, ma non quella di immergermi in un racconto. Quindi, prendendo spunto dai suggerimenti ascoltati al festival letterario "Intermittenze" di Riva del Garda da parte di due redattrici storiche del programma "Ad alta voce", ho "letto con le orecchie" ascoltando il romanzo di Roberto Bolano.
"Ad alta voce" è un programma di Radio3, nato nel 2002 per dare voce e suono ai romanzi. Un format che ha anticipato quello degli audiolibri.
Tutte le puntate sono ascoltabili sul sito RaiPlay.
Ve lo consiglio!
★★★★☆
🍾 spumante
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Al termine di ogni mia recensione troverete un numero di stelline che corrispondono ad un mio giudizio complessivo sul libro e uno o più simboli di cibo che evocano le emozioni suscitatemi.
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