"Elogio dell'ignoranza e dell'errore" è l'ultima fatica letteraria di Gianrico Carofiglio. Non mi permetterei mai di contestare le sue abilità letterarie e filosofiche. Ha creato dei personaggi interessantissimi ed affascinanti nei suoi romanzi "seriali": l'avvocato Guerrieri, il maresciallo Fenoglio e l'ex pubblico ministero Penelope Spada. Ha filosofato in numerosi suoi saggi. Ho letto tutte, o quasi, le sue opere ed è per questo che mi sento di dire che in questo libriccino di meno di cento pagine, Carofiglio ci evidenzia gli aspetti positivi dell'ignoranza e dello sbaglio, ma che tali concetti l'autore li ha già spiegati più volte in altri suoi scritti. Indubbiamente scorrevole, interessante e introspettivo, ma può risultare ripetitivo per chi già conosce i suoi scritti. Se siete dei fan di Carofiglio, potreste quindi restare delusi; al contrario, se non lo conoscete, godrete di un piccolo antipasto delle sue abilità.
Un pregio di questo scritto, che vale per tutti, è quello di sentirsi, al termine della lettura, un po' sollevati, con meno sensi di colpa per gli errori commessi.
L'educazione ricevuta da molti di noi si basa sulla condanna dell'errore e dell'ignoranza. E' sicuramente corretto cercare di evitare di sbagliare e colmare le proprie lacune, ma dobbiamo arrenderci davanti all'evidenza: impossibile non fallire mai, impossibile avere conoscenza di tutto. Ma lo sapete quante scoperte, quante vite cambiate (in positivo) sono frutto proprio di un errore? Carofiglio ne cita alcune. Lui stesso, deluso per un concorso andato male, ha chiuso la sua carriera di magistrato e si è dato alla scrittura ed i risultati sono sotto gli occhi di tutti...
"Fallire" è un termine che ha un valore talmente screditante che perfino la legge ha eliminato questa definizione per gli imprenditori. Ora le imprese non "falliscono" più, vengono "liquidate giudizialmente" e la ratio nel sopprimere questo termine è stata proprio quella di voler evitare la "marchiatura a vita" dell'imprenditore.
"Spesso siamo terrorizzati dai nostri errori e dal fatto che gli altri possano accorgersene e giudicarci in modo negativo. Invece gli errori, più di tutto, rendono gli uomini amabili, scriveva Goethe. [...] Il primo significato della frase, quello più ovvio, è che gli errori ci umanizzano agli occhi degli altri esattamente come pretendere di avere sempre ragione ci rende piuttosto odiosi. Ma forse il significato più profondo è che gli errori ci rendono amabili con noi stessi. Accettare l'idea che sbagliare non è una catastrofe ma un passaggio fondamentale dell'evoluzione. Una forma di armistizio con noi stessi.
Un modo per diventare persone migliori."
★★★☆☆
🍷 vino rosso
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"Donne che pensano troppo" è stato pubblicato in Italia nel 2023 a 10 anni dalla morte dell'autrice Susan Nolen-Hoeksema. Non si tratta di un romanzo, ma di un saggio, scritto da una psicologa, con l'intento di aiutare chi "pensa troppo", chi rumina. Negli Stati Uniti è stato letto moltissimo, divenendo un best seller.
Chi me lo ha regalato, due anni fa, forse pensava si trattasse di un romanzo con un titolo accattivante e una bella copertina. Non lo è, ma l'autrice narra episodi veri o inventati che servono da esemplificazioni e lo fa con dei brevi racconti, ben scritti e molto utili per comprendere la problematica, riconoscerci o riconoscere persone a noi vicine.
Il rimuginare è tipicamente femminile, ma nella mia famiglia, ad esempio, è caratteristica più maschile. "Quando si rumina, si continua a tornare ossessivamente sui pensieri e le emozioni negative, esaminandoli, mettendoli in discussione, lavorandoli come fossero un impasto."
Quello che più mi è piaciuto è il metodo utilizzato dall'autrice per far prendere coscienza del problema a chi ne soffre e le strategie suggerite per attenuare i disturbi, ma ancor di più ho apprezzato il suo "puntare il dito" verso la società attuale, prima vera fonte del problema. Le donne sono continuamente bombardate da informazioni e suggerimenti dai media, da internet, dalla stampa, dalla politica, dalla famiglia, dagli amici, dai colleghi, .... tutti a suggerire "come dovremmo comportarci, cosa dovremmo pensare, chi dovremmo ammirare e a che obiettivi dovremmo ambire." Finchè non si smetterà di chiedere troppo alle donne, caricandole di ogni sorta di senso di responsabilità, sarà ben difficile che possano realizzarsi in modo completo e vivere serenamente, senza finire per "sentirsi soffocare da pensieri, emozioni, preoccupazioni fuori controllo: Che cosa sto facendo della mia vita? Cosa pensano gli altri di me? Perché non sono soddisfatta? Sarò abbastanza in gamba? Il mio compagno è ancora interessato a me? Perché mio figlio mi risponde male? Perché mi sento così frustrata e ansiosa?".
Sicuramente si tratta di un libro che è stato iperpubblicizzato (e non so se in Italia abbia avuto lo stesso successo che in America) e sopravvalutato. È molto ripetitivo nei concetti (ma forse serve, è più efficace? considerato lo scopo che intende raggiungere). Tuttavia non è un libro che non vale la pena di leggere, anzi! Se siete donne (o uomini) che pensano troppo, leggetelo! Vi aiuterà a trovare una strategia per vivere più sereni. Se avete vicino qualcuno che rimugina in continuazione, leggetelo! Vi aiuterà a comprendere l'altro e magari ad aiutarlo ad uscire da quel loop. Se invece non è così, leggete altro!
★★★☆☆
🍞 pane
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Sarà pubblicato il 12 febbraio in Italia "Donne che non si amano abbastanza" della stessa autrice.
"Noi donne non ci amiamo abbastanza: siamo straordinariamente dure con noi stesse e ci scervelliamo ad analizzare ogni singolo difetto, perdendo ore a chiederci “Sono una buona madre? Una buona compagna? Sono brava nel mio lavoro?. Ci preoccupiamo per mille cose e raggiungiamo livelli di rovello interiore che nessuno dal di fuori riesce a immaginare, un autosabotaggio in piena regola. Ma un modo per spezzare questo circolo vizioso c’è: riscoprire e usare i nostri peculiari e unici poteri."
Il Marquez che ho amato io è quello di "Cent'anni di solitudine", de "L'amore ai tempi del colera" e di "Cronaca di una morte annunciata", il Marquez del realismo magico.
Questo ultimo romanzo, uscito postumo, e che l'autore non avrebbe pubblicato, appartiene allo stile dei suoi ultimi anni.
Non mi era piaciuto "Memoria delle mie puttane tristi" e "Vediamoci in agosto" appartiene a quel genere. Non è il Marquez che amo, però apprezzo la scelta degli eredi di pubblicarlo, nonostante la contrarietà dello scrittore, e sono contenta di averlo letto. È pur sempre un romanzo di Marquez. Se dopo aver terminato un libro, nei giorni e nelle ore seguenti ci ripensi, significa che qualcosa ti ha lasciato.
Marquez era malato quando lo ha scritto. C'è chi dice che avesse l'Alzheimer, chi afferma fosse affetto da demenza senile. Quello che è certo è che lo ha riscritto cinque volte e non ne era soddisfatto. Lui stesso si lamentava di aver perso la memoria e che lo scritto aveva delle contraddizioni.
Si tratta di un romanzo triste e brevissimo, un centinaio di pagine. Si legge in un paio d'ore. Narra la storia di una donna cinquantenne che il sedici di agosto di ogni anno si reca sull'isola in cui è sepolta sua madre a portarle dei fiori e lì trascorre ogni anno una notte lontana dalla sua famiglia. E in quelle notti accade qualcosa...
"Tornò sull'isola il venerdì sedici agosto con il traghetto delle tre del pomeriggio. Indossava un paio di jeans, una camicia scozzese a quadri, scarpe semplici con il tacco basso e senza calze, un parasole di raso, la borsa e, come unico bagaglio, una sacca da spiaggia. Alla fila dei taxi del molo andò dritta verso un vecchio modello roso dalla salsedine. L'autista la accolse con un saluto da amico e la portò a sobbalzi attraverso il paese indigente, con case di legno, canne e fango, tetti di palma amara e strade di arena ardente di fronte a un mare in fiamme."
★★★☆☆
🥃 amaro digestivo
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Pubblico oggi la recensione de "La cuoca segreta di Frida", per ricordare la pittrice Frida Kahlo morta esattamente settant'anni fa. Si tratta di un romanzo di Florencia Etcheves che ho iniziato a leggere molti mesi fa con entusiasmo, per poi arenarmi. Il personaggio Frida mi ha sempre appassionata, molto prima della "kahlomania" e su di lei ho letto numerose biografie. Ero consapevole che leggendo questo romanzo avrei aggiunto poco in termini di conoscenza sulla pittrice messicana, però mi intrigava l'idea di scoprire magari qualche aneddoto che non conoscevo e mi piaceva anche rileggere la sua storia.
Il romanzo è ben strutturato e alterna un capitolo ambientato ai giorni nostri ad un altro ai tempi di Frida. La "cuoca segreta" che dà il titolo all'opera è finzione, il giallo che viene narrato nei capitoli "odierni" è anche pura invenzione. Di vero c'è la biografia di Frida Kahlo.
Ciò che mi ha bloccata nella lettura è stato un presunto "errore storico". Cito testualmente: "Dopo aver sistemato la spesa su uno scaffale di legno trasformato in dispensa, Caridad prese la scopa che qualcuno aveva lasciato appoggiata al lavello di metallo e scopò il pavimento di cemento levigato. Ammucchiò le bucce di patate, le briciole di pane e qualche mozzicone di sigaretta. Infilò il tutto in un sacchetto di plastica e buttò la spazzatura in un contenitore metallico accanto alla porta che collegava la stanza al giardino."
A voi risulta che nel 1940 esistessero i sacchetti di plastica in Messico o in altre parti del mondo? Secondo Wikipedia: "Le domande di brevetto americane ed europee relative alla produzione di sacchetti di plastica per la spesa risalgono ai primi anni '50, ma si riferiscono a costruzioni composite con manici fissati al sacchetto in un processo di produzione secondario. Il moderno sacchetto leggero per la spesa è un'invenzione dell'ingegnere svedese Sten Gustaf Thulin. Il progetto di Thulin fu brevettato in tutto il mondo da Celloplast nel 1965."
Un errore tutto sommato perdonabile, ma che mi ha fatto sorgere il dubbio che l'autrice non abbia voluto perdere troppo tempo nel documentarsi e che si sia presa anche altre "licenze".
Dopo mesi di stop l'ho ripreso in mano e terminato. Il finale non mi è piaciuto. La chiusura è sbrigativa e lascia aperte molte vicende.
Mi sono piaciute molto le parti in cui vengono descritte dettagliatamente le tradizioni culinarie messicane e i costumi delle “Tehuanas”, le donne di Tehuantepec, famose per i lavori di ricamo coloratissimi e gli abiti composti dallo huipil e da una gonna molto ampia.
Frida amava indossare l'abito da tehuana che tanto piaceva a Diego Rivera.
Complessivamente il romanzo non è male e può essere molto interessante per chi non conosce la vita di Frida Kahlo e il suo turbolento amore per Diego Rivera.
Se deciderete di leggerlo, vi terrà compagnia per quasi 600 pagine.
"Non voglio che Diego mi dia un soldo . Non voglio niente da quel grosso rospo, niente di niente. Questo lo devi imparare anche tu. Non accettare mai in vita tua soldi da un uomo. Devi riuscire a procurarteli da sola."
★★★☆☆
🍞 pane
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In questa domenica meteorologicamente iniziata con temperature basse e cielo grigio e via via migliorata fino ad arrivare a temperature estive e cielo azzurro, in condizioni di salute precarie a causa di un dente capriccioso che mi sta facendo dannare e quindi non in grado di fare un giro in bici o di corsa (meglio evitare!), messa davanti alla scelta di come trascorrere il pomeriggio e in particolare a due opzioni: aprire il tomo di diritto di mille pagine che mi sta impegnando negli ultimi mesi o leggere un sottile libricino appena pubblicato che parla di Frida e scriverne sul mio blog, ho scelto la seconda opzione, perchè amo leggere, scrivere e adoro Frida Kahlo.
Su di lei negli anni ho letto diverse pubblicazioni: "Frida. Una biografia di Frida Kahlo" di Hayden Herrera, "Viva la vida!" di Pino Cacucci, "Frida Kahlo" di Andrea Kettenmann; ho visto il film interpretato dalla bellissima Salma Hayek e ho visitato qualche anno fa a Bologna una mostra di sue opere, foto e oggetti, ma del personaggio Frida mi sono innamorata prima di vedere il film, prima che tutte le ragazzine circolassero con la sua immagine stampata sulla maglietta e sulle borse. Mi ha inizialmente attirata per le sue caratteristiche sopracciglia e la sua scelta di non "toccarle" mai. Pur non essendo io dotata di monociglio, le mie erano molto folte e in anni in cui per essere alla moda bisognava avere sopracciglia sottilissime, io ho fatto una scelta "di carattere" e non le ho assottigliate. Questa sua caratteristica fisica che ci accumunava mi ha fatto avvicinare al personaggio Frida Kahlo, conoscere la sua vita, le sue opere, scoprire la sua resilienza e caparbietà ed anche le sue fragilità. Di lei ho amato sicuramente la sua indipendenza, la sua forza, il suo femminismo. Quello che ho sempre faticato a capire è il suo rapporto con Diego Rivera, sicuramente un amore immenso da parte di Frida, ricambiato in modo "originale" da Diego. Lui stesso ha dichiarato di aver capito troppo tardi che la parte più bella della sua esistenza era l'amore che provava per lei.
Luca Nannipieri analizza in questo suo brevissimo lavoro l'immagine iconica della coppia Frida Kahlo e Diego Rivera, "non solo due amanti, di essi la storia ne enumera ormai migliaia di milioni, e l'amore, si sa, ha albergato almeno una volta nella coltre di ogni creatura che ha messo piede in terra. No: un'icona. Almeno per il secolo che ci è dato di vivere, Kahlo e Diego non sono soltanto due pittori messicani. Incarnano una storia che ha tutte le azzeccate fattezze, le precise metrature, i più impensabili avvelenamenti dell'anima, per divenire quello: mythos. Mitologia."
Lo stesso autore precisa in una nota che "questo libro non è un saggio perchè non ha una tesi da esporre e documentare. Anzi ha un finale da compiere."
Sul finale da compiere sono d'accordo e lascio a voi scoprire di che cosa si tratta. Contesto invece che questo libricino non abbia una tesi. Ce l'ha e a parere mio è l'idea di icona di coppia di Frida e Diego. Un'idea che a me non piace molto. E' Frida l'icona ed ha trascinato con sé Diego, come avrebbe trascinato chiunque gravitasse intorno alla sua figura.
Ad ogni modo questo libro, pubblicato da Skira il mese scorso, merita di essere letto. Nannipieri è un critico d'arte che scrive con passione e poesia ciò che pensa.
★★★☆☆
🍞 pane
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Antonia Dalpiaz è trentina, scrittrice di poesie, di commedie dialettali e di romanzi. Ha pubblicato una trilogia dedicata alle donne e un e-book per ragazzi sul bullismo e infine "L'impronta dei giorni smarriti" con protagonista un uomo, Giulio.
Le sue storie nascono mentre cammina, le elabora passeggiando, poi le riporta sulla carta.
Ho assistito alla presentazione di questo romanzo presso la biblioteca di Arco. Il direttore Alessandro Demartin ha introdotto il libro e l'autrice.
Demartin ha trovato nelle fasi iniziali del romanzo il protagonista respingente e la casa in cui ha vissuto da bambino quasi una casa da film horror.
Per me nulla di tutto questo. Io come Anita (un'amica del protagonista che avrà un ruolo importantissimo nel romanzo) ho trovato Giulio indifeso, fragile e spaventato. Ho compreso il suo stato d'animo fin da subito e sono entrata in empatia con lui.
Questo dimostra quanto possono essere diverse le impressioni che un romanzo può suscitare.
Giulio è un quarantenne che piace alle donne. Ragioniere. Lavora in banca. Serio, appare affidabile agli altri, tanto che molti si rivolgono a lui per risolvere problemi e chiedere consiglio. Lui non vede l'ora di isolarsi dal mondo e passare il tempo dopo il lavoro davanti alla tv con una birra in mano e non pensare a nulla per dimenticare il suo passato, la sua infanzia dolorosa.
Molti sono i personaggi secondari: i clienti della banca, i colleghi, le donne che frequenta, i fratelli e Anita (una donna conosciuta da poco, più vecchia di lui, con cui si trova subito a suo agio e inizia ad aprirsi, perchè forse è più facile farlo con una sconosciuta).
La madre è morta da molti anni. Giulio l'ha amata molto e la sua presenza si avverte in tutto il romanzo. Lei è al centro della storia, tutto ruota intorno a lei. Quando alla fine del romanzo emergerà tutta la verità e l'alone di mistero che avvolgeva l'infanzia di Giulio svanirà, tutti i tasselli della vicenda andranno al loro posto.
Il racconto si sviluppa in modo originale, attraverso i punti di vista diversi dei vari personaggi. Un capitolo ciascuno. Ciò dà modo al lettore di farsi un'idea di quello che accade in modo più completo. Consente di ascoltare "più campane"
La copertina è molto bella, il titolo azzeccatissimo e la storia avvincente. Peccato per i molti refusi, davvero fastidiosi, presenti nel romanzo e che non dipendono certo dall'autrice. Spero che nelle successive ristampe ci si ponga rimedio.
Il cellulare manda il suo segnale di chiamata ma non risponde. Non gli interessa nemmeno sapere chi lo sta cercando. Sa che fuori da quelle stanze non c'è nessuno e niente che gli importi veramente.
★★★☆☆
🥃 amaro digestivo
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