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Sara Fruner è una poetessa, scrittrice e traduttrice trentina. Nata a Riva del Garda. Ha frequentato il liceo Maffei nella sua cittadina natale e l'università Ca' Foscari a Venezia. Dal 2017 vive e lavora a New York. Ha esordito con la narrativa due anni fa pubblicando "L'istante largo". Quest'anno il suo secondo romanzo: "La notte del bene". Due romanzi bellissimi. André Aciman l'ha definita una maga della parola. Concordo. Sara sa scegliere con cura ogni vocabolo. Merito forse della sua professione di traduttrice e/o del talento che esprime anche nella poesia. Nei suoi romanzi si "respira" molta arte. Non solo per le sue capacità letterarie, ma anche per gli ambienti in cui si sviluppano le sue storie. Quello della pittura ne "L'istante largo", quello dell'architettura ne "La notte del bene", quello della fotografia (ha dichiarato Sara in un'intervista) nel suo prossimo romanzo. Sara è empatica e solare, trasmette passione. L'ho incontrata il mese scorso a Riva del Garda, "dove tutto, letteralmente, principiò" - ha detto lei. Ho assistito ad un'appassionata presentazione de "La notte del bene". A dialogare con lei c'era Giuseppina Coali. Il suo secondo romanzo non lo avevo ancora letto, l'ho fatto in questi giorni. Sara non mi ha delusa. Ancora una volta mi sento di paragonare la sua scrittura a quella di Isabel Allende. Per la sua capacità di scegliere con cura le parole, per le mille storie che si intrecciano nella storia principale - una sorta di romanzo nel romanzo - per la presenza nei suoi racconti di donne che hanno avuto grandi dolori, ma che hanno vissuto anche grandi passioni. Protagonisti de "La notte del bene" sono Ettore, Elena, Enea e Matilde, personaggio secondario che acquista sempre più importanza nella storia a mano a mano che il romanzo procede. Matilde è il personaggio che ho amato di più. Un giorno Ettore e Elena si incontrano in treno e subito si innamorano. Ettore è stato abbandonato neonato dalla madre e adottato a cinque anni. Elena, molto piccola, è sparita per tre giorni e poi ritornata a casa (ma senza che nessuno scoprisse mai dove e con chi era stata). Enea, il figlio, arriva troppo presto, non programmato, a sconvolgere il loro equilibro e i loro progetti. Elena rinuncia al dottorato. Ettore a tentare una carriera appagante in un importante studio di architettura. Accetta invece un impiego in un pubblico ufficio e lì incontra Matilde. A Sara piace usare una prosa originale. Se ne "L'istante largo" il racconto ruotava attorno ai messaggi scritti dalla nonna di Macondo, ne "La notte del bene" Matilde ci narra la sua vita scrivendo una sorta di diario del suo passato. Due capitoli costituiscono il romanzo. Il primo lunghissimo ("dal fondo") e il secondo cortissimo ("al principio"). Non fate l'errore di leggere il secondo per primo, vi rovinereste davvero una storia molto bella. Il finale ti lascia senza parole. Il titolo lo comprenderete solo in quel momento e, ancora una volta, come è stato per "L'istante largo", è azzeccatissimo. Non vi dirò che Sara Fruner affronta il tema della maternità "non cercata" e della depressione post partum. Sarebbe riduttivo. Sara ci parla di rapporti di sangue e non, di come si può vivere la maternità e la paternità, del peso delle aspettative degli altri su di noi. "Stavo tentando l'impossibile per condurre una vita tradizionale. Ma non si possono costruire piccole palizzate bianche per tenere lontani gli incubi." ANNE SEXTON ★★★★☆ 🥃 amaro digestivo scopri come valuto i libri

Sara Fruner a Riva del Garda "dove tutto, letteralmente, principiò"
Antonia Dalpiaz è trentina, scrittrice di poesie, di commedie dialettali e di romanzi. Ha pubblicato una trilogia dedicata alle donne e un e-book per ragazzi sul bullismo e infine "L'impronta dei giorni smarriti" con protagonista un uomo, Giulio. Le sue storie nascono mentre cammina, le elabora passeggiando, poi le riporta sulla carta. Ho assistito alla presentazione di questo romanzo presso la biblioteca di Arco. Il direttore Alessandro Demartin ha introdotto il libro e l'autrice. Demartin ha trovato nelle fasi iniziali del romanzo il protagonista respingente e la casa in cui ha vissuto da bambino quasi una casa da film horror. Per me nulla di tutto questo. Io come Anita (un'amica del protagonista che avrà un ruolo importantissimo nel romanzo) ho trovato Giulio indifeso, fragile e spaventato. Ho compreso il suo stato d'animo fin da subito e sono entrata in empatia con lui. Questo dimostra quanto possono essere diverse le impressioni che un romanzo può suscitare. Giulio è un quarantenne che piace alle donne. Ragioniere. Lavora in banca. Serio, appare affidabile agli altri, tanto che molti si rivolgono a lui per risolvere problemi e chiedere consiglio. Lui non vede l'ora di isolarsi dal mondo e passare il tempo dopo il lavoro davanti alla tv con una birra in mano e non pensare a nulla per dimenticare il suo passato, la sua infanzia dolorosa. Molti sono i personaggi secondari: i clienti della banca, i colleghi, le donne che frequenta, i fratelli e Anita (una donna conosciuta da poco, più vecchia di lui, con cui si trova subito a suo agio e inizia ad aprirsi, perchè forse è più facile farlo con una sconosciuta). La madre è morta da molti anni. Giulio l'ha amata molto e la sua presenza si avverte in tutto il romanzo. Lei è al centro della storia, tutto ruota intorno a lei. Quando alla fine del romanzo emergerà tutta la verità e l'alone di mistero che avvolgeva l'infanzia di Giulio svanirà, tutti i tasselli della vicenda andranno al loro posto. Il racconto si sviluppa in modo originale, attraverso i punti di vista diversi dei vari personaggi. Un capitolo ciascuno. Ciò dà modo al lettore di farsi un'idea di quello che accade in modo più completo. Consente di ascoltare "più campane" La copertina è molto bella, il titolo azzeccatissimo e la storia avvincente. Peccato per i molti refusi, davvero fastidiosi, presenti nel romanzo e che non dipendono certo dall'autrice. Spero che nelle successive ristampe ci si ponga rimedio. Il cellulare manda il suo segnale di chiamata ma non risponde. Non gli interessa nemmeno sapere chi lo sta cercando. Sa che fuori da quelle stanze non c'è nessuno e niente che gli importi veramente. ★★★☆☆ 🥃 amaro digestivo scopri come valuto i libri
"La figlia oscura" è un brevissimo romanzo di Elena Ferrante caratterizzato da un profondo scavo psicologico. Leda è un’insegnante, divorziata, madre di due ragazze grandi. Rimasta sola a casa, in un'estate in cui le figlie hanno deciso di trascorrere del tempo col padre in America, la protagonista parte per una vacanza al mare in un paesino del sud. Dopo i primi giorni tranquilli, l’incontro con una chiassosa famiglia scatena una serie di spiacevoli eventi. Il romanzo prende il ritmo di un thriller. L'atteggiamento della protagonista diventa inquietante. I ricordi del suo passato difficile emergono. Leda, la protagonista, è una mamma che ha avvertito come schiacciante il peso della responsabilità di essere madre. Ed ora che le figlie sono grandi e lontane si sente sollevata. Si sente però in colpa di provare questo sentimento di sollievo. Leda amava le sue figlie, ma ha vissuto male la condizione di madre. Si sentiva non più libera, limitata nella possibilità di fare carriera. Si tratta di una protagonista respingente. Caratteristiche solitamente presenti negli antagonisti. Ho trovato un personaggio simile in "Questo giorno che incombe" di Antonella Lattanzi. E' il primo romanzo che leggo di Elena Ferrante. L'ho trovato interessante e molto ben scritto. La volontà dell'autrice di mantenere la sua identità sconosciuta, usando uno pseudonimo e non rivelandosi mai, nemmeno dopo l'enorme successo ottenuto, mi avevano reso antipatica la scrittrice (o scrittore?) e non avevo mai letto, prima d'ora, nulla di scritto da lei. L'occasione si è presentata con un gruppo di lettura. Mi dispiace molto non conoscere la biografia dell'autrice, perchè solitamente io mi documento sulla vita dello scrittore e spesso ciò mi aiuta a comprendere meglio le sue opere. Parlando con una mia amica psicologa di questa opera, di cui lei ha visto la trasposizione cinematografica, abbiamo concluso che molto debba esserci di autobiografico in questo romanzo, per il modo in cui è scritto, per la particolarità di alcuni dettagli che difficilmente possono essere descritti se non vissuti. La nostra idea è che Leda sia stata ispirata dalla madre della scrittrice. Chissà, forse un giorno scopriremo se la nostra tesi è corretta. "All'origine c'era un mio gesto privo di senso del quale, proprio perchè insensato, decisi subito di non parlare con nessuno. Le cose più difficili da raccontare sono quelle che noi stessi non riusciamo a capire." ★★★☆☆ scopri come valuto i libri 🥃 amaro digestivo
"La bambina e il nazista" è un romanzo storico dietro al quale c'è un grande lavoro di documentazione a cura della co-autrice Scilla Bonfiglioli. I fatti narrati sono realmente accaduti seppure siano stati romanzati nel racconto. La storia della bambina è inventata, ma trae spunto da una vicenda vera, di cui c'è traccia nel processo di Norimberga. Un nazista viene scagionato da una bambina che dichiara di essere stata prigioniera nei campi di Sobibor e Majdanek e di essere stata salvata da un nazista. Il come e il perché sono frutto della fantasia dei due autori. Tuttavia i fatti narrati di quanto accadeva nei campi di concentramento sono reali. Purtroppo la realtà supera la fantasia. Il romanzo è scritto come un thriller, con ritmo incalzante, fluido, scorrevole, avvincente, nonostante l' orrore dei fatti narrati. È ambientato in due campi di concentramento, Sobibor e Majdanek, tra i più feroci e spietati, in cui si attuava l'operazione Reinhard, il progetto di sterminio degli ebrei polacchi. Ho trovato molto originale che la vicenda sia stata raccontata dal punto di vista del nazista. Ciò ha permesso un'indagine psicologica profonda del protagonista. Un romanzo che mi ha lasciato molto. Vale davvero la pena di leggerlo. Scritto molto bene. Non si avvertono minimamente le "quattro mani". Ho letto "La bambina e il nazista" per il Grande torneo letterario di Robinson. Vedendola partire,Hans strinse i pugni. Avrebbe voluto che esistesse una giustizia, al di là degli uomini e degli eserciti, qualcosa di superiore che mandasse un fulmine ad abbattersi su di lei. Ma se c'era una cosa che aveva imparato a Majdanek e a Sobibor era che la giustizia non esisteva: chi aveva il braccio più forte poteva annientare creature innocenti senza che gli venisse chiesto di pagare alcun prezzo." ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🥃 amaro digestivo
"Dolores Claiborne" è il primo libro di Stephen King che leggo. Ho molto apprezzato la sua capacità di scrivere un monologo femminile. Sicuramente non facile per un uomo. Molto credibile. Non si percepisce minimamente che l'autore è un maschio. Dolores Claiborne è una donna non più giovane, sospettata di aver ucciso la sua ricca datrice di lavoro e che si trova a doversi discolpare davanti alla polizia. Dolores si difende raccontando la sua vita e confessa invece un altro omicidio avvenuto trent'anni prima durante un'eclissi totale. Dolores è una donna di cultura modesta. Si sente dal linguaggio usato nel monologo, sgrammaticato e a tratti un po' volgare. All'inizio ho faticato un po', poi mi sono immersa nel romanzo e quello di Dolores è un personaggio davvero bello. Compie un terribile omicidio, tuttavia non si riesce a percepire la sua vendetta come malvagia, piuttosto come una forma sui generis di giustizia. Della serie: "Ben fatto, Dolores!" Dal romanzo è stato tratto il film "L'ultima eclissi" di Taylor Hackford con Kathy Bates nei panni di Dolores. Ho letto questo romanzo con il gruppo di lettura online di Immersioni letterarie. "Io non ho ammazzato quella carogna di Vera Donovan e ora come ora voialtri potete pensare quello che vi pare, ma vi giuro che vi faccio cambiare idea. io non l'ho spinta giù per quella scala del cavolo. Va bene se mi volete sbattere dentro per l'altra storia, ma io non ho le mani sporche del sangue di quella stronza. E penso proprio che ne sarete convinti anche voi ora che avrò finito, Andy." ★★★★☆ scopri come valuto i libri 🥃 amaro digestivo
"Le assaggiatrici" è un romanzo di Rosella Postorino, pubblicato nel 2018, ispirato alla vera storia di Margot Wölk, una delle 15 assaggiatrici di Hitler. La Postorino ha deciso di scrivere un romanzo con un personaggio immaginario (Rosa Sauer) perché non ha mai avuto la possibilità di conoscere la Wölk, deceduta nel 2014, poco prima che riuscisse ad incontrarla. Il romanzo, vincitore del Premio Campiello 2018, narra le vicende di Rosa e altre nove assaggiatrici di Gross-Partsch, un villaggio vicino alla Tana del Lupo, il quartier generale di Hitler nascosto nella foresta. Rosa viene reclutata nel '43, appena arrivata da Berlino a casa dei suoceri per sfuggire ai bombardamenti. Il marito sta combattendo sul fronte russo. Rosa e le altre assaggiatrici mangiano i piatti che escono dalle cucine del cuoco di Hitler, per scongiurare avvelenamenti. Tra le giovani donne s’intrecciano amicizie e rivalità. Rosa instaurerà con il comandante un rapporto molto stretto. Ho letto molte recensioni negative. Io dissento. Il romanzo mi è piaciuto molto. All'inizio l'ho trovato un po' lento, poi diventa più avvincente. I pensieri, le emozioni di Rosa sono coinvolgenti. Sembra di essere con lei in mensa, sul pulmino con le colleghe, nel fienile... Io ho apprezzato il modo lieve in cui la Postorino accenna agli orrori del regime nazista. Forse è proprio questa mancanza di crudeltà nelle descrizioni che l'ha fatta criticare negativamente, confondendo la delicatezza con superficialità. Vale la pena di leggerlo per conoscere la storia delle "assaggiatrici di Hitler" e mettersi nei panni di chi, per sopravvivere, ha dovuto accettare di rischiare la propria vita per tutelare quella del dittatore, seppure con sensi di colpa e vergogna. "Come si diventa amiche? Ora che ne riconoscevo le espressioni, che addirittura le anticipavo, i volti delle mie compagne mi sembravano diversi da quelli che avevo visto il primo giorno. Succede a scuola, o sul posto di lavoro, nei luoghi in cui si è obbligati a passare tante ore della propria esistenza. Si diventa amiche nella coercizione." "Tutto quello che ho imparato, dalla vita, è sopravvivere." "Sei responsabile del regime che tolleri." ★★★☆☆ scopri come valuto i libri 🥃 amaro digestivo

La vita di Lafanu Brown è legata al mese di febbraio: nella notte tra il 5 e 6 febbraio del 1859 accadde "l'incidente" che segnerà la sua vita. A febbraio del 1887 in Italia giunse la notizia che a Dogali, in Eritrea, cinquecento soldati italiani furono uccisi dalle truppe etiopi nel tentativo di respingere l'invasione coloniale. In quel momento Lafanu, afroamericana, si trovava a Roma e su di lei si riversò la rabbia della folla in quanto di colore, finché un uomo la portò in salvo. E Igiaba Scego ha scelto febbraio per pubblicare il suo romanzo "La linea del colore" che narra le vicende di Lafanu Brown, pittrice che a Roma a fine '800 ha trovato la libertà. 
Nel racconto la scrittrice intreccia le vicende attuali di una ragazza che cerca di fuggire dalla Somalia. 

Romanzo che tratta i temi del colonialismo, del razzismo, dell'emigrazione e della violenza sulle donne. 
Scritto benissimo, avvincente, profondo. 

Curiosità: Lafanu Brown è un personaggio inventato, ma ispirato a due donne realmente esistite: la scultrice Edmonia Lewis e l’ostetrica Sarah Parker Remond, un’attivista abolizionista contro la schiavitù. Entrambe nere che viaggiarono molto e vissero in Italia. Per certi aspetti questo romanzo mi ricorda "La figlia della fortuna" e "Ritratto in seppia" di Isabel Allende. Al centro delle storie ci sono donne dall'infanzia infelice, orfane o abbandonate, di origine meticcia, capaci di riscatto sociale grazie a doti artistiche notevoli in epoche in cui le donne contavano nulla. 


Igiaba Scego spiega: "Mi riempiva di orgoglio e anche di stupore sapere che due donne nere si fossero sentite libere proprio in Italia. Un paese che oggi invece si è incattivito verso chi considera "altro" e si è lasciato andare a un' infelicità che rende crudeli." 


"Ma non capite, branco di cretini, che i veri patrioti sono gli abissini?"


★★★★☆
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Ho letto "Il colibrì" di Sandro Veronesi, incuriosita dal fatto che "La lettura", inserto del Corriere della sera che si occupa di critica letteraria, lo abbia proclamato il miglior romanzo del 2019. Mi è piaciuto: è scritto molto bene, ma onestamente non lo trovo affatto il miglior libro dell'anno passato. Inoltre ho provato un po' di delusione nello scoprire che alcune parti che mi avevano colpito molto, in realtà sono state "prese in prestito" da altri libri, da altri autori... Marco Carrera, il protagonista, è il colibrì, soprannome affibbiatogli dalla sua famiglia quando, da bambino, a causa di una patologia, la sua crescita era rallentata. E lo rappresenta bene anche da adulto, ormai cresciuto anche in altezza, per la caratteristica che lo accomuna al piccolo uccellino: quella di restare immobile nonostante lo sbattere di ali frenetico. Tutta la sua vita è caratterizzata da perdite e dolore e dal tentativo di Carrera di restare fermo, di mantenere immutato il suo mondo. La prima parte del libro è scorrevole. L'autore racconta le vicende familiari della famiglia Carrera, spostandosi nel tempo avanti e indietro e in modo simpatico, nonostante i lutti e le tristezze che narra. L'ultima parte, ambientata nel futuro, mi è piaciuta poco. L'ho trovata decisamente irreale, forzata. "Per andare dove non sai, devi passare per dove non sai". ★★★☆☆ 🥃 amaro digestivo
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De “La ragazza con la Leica” di Helena Janeczek , vincitrice del premio strega 2018, avevo molto sentito parlare, sia in positivo che in negativo. Non conoscevo Gerda Taro, la protagonista del libro, fotografa tedesca, nota per i suoi reportage di guerra, compagna di Robert Capa, deceduta giovanissima travolta da un carro armato. Scoprirla in questa biografia romanzata che la descrive attraverso la narrazione delle persone a lei vicine (l’amica del cuore e due suoi ex amanti) facendomela amare, è stato arricchente. Come mi era capitato leggendo la biografia di Frida Kahlo, sono rimasta affascinata dalla sua personalità forte, rivoluzionaria, indipendente. Entrambe furono donne emancipate che vissero le loro brevissime vite anticipando l'evoluzione del ruolo della donna nella società di almeno 100 anni. Devo però ammettere che il romanzo non è stato di facile lettura, nonostante sia scritto molto bene e l’interesse per la vita della protagonista che mi ha suscitato.

Curiosità - Al festival della letteratura di Riva del Garda (settembre 2019) ho ascoltato di persona l’autrice. Ha parlato della sua vita e di quella dei suoi genitori (ebrei, sopravvissuti ai campi di concentramento). Sentirla parlare è stato come leggere un romanzo...

“Così, osservandola, Ruth aveva avuto un'intuizione: guardala, aveva pensato, questa piccola donna che attrae tutti gli sguardi, questa incarnazione di eleganza, femminilità, coquetterie, di cui nessuno sospetterebbe mai che ragiona, sente e agisce come un uomo.”


Chi è Gerda Taro, la ragazza con la Leica


★★★☆☆

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Chi sono

Mi chiamo Cristiana Bresciani, sono una mamma lavoratrice, sportiva e mangiatrice di libri. Vivo in Trentino, sul Lago di Garda. Amo viaggiare con la testa tra nuvole di libri e nel mondo con i piedi agganciati ai pedali di una bicicletta.

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