Il Marquez che ho amato io è quello di "Cent'anni di solitudine", de "L'amore ai tempi del colera" e di "Cronaca di una morte annunciata", il Marquez del realismo magico.
Questo ultimo romanzo, uscito postumo, e che l'autore non avrebbe pubblicato, appartiene allo stile dei suoi ultimi anni.
Non mi era piaciuto "Memoria delle mie puttane tristi" e "Vediamoci in agosto" appartiene a quel genere. Non è il Marquez che amo, però apprezzo la scelta degli eredi di pubblicarlo, nonostante la contrarietà dello scrittore, e sono contenta di averlo letto. È pur sempre un romanzo di Marquez. Se dopo aver terminato un libro, nei giorni e nelle ore seguenti ci ripensi, significa che qualcosa ti ha lasciato.
Marquez era malato quando lo ha scritto. C'è chi dice che avesse l'Alzheimer, chi afferma fosse affetto da demenza senile. Quello che è certo è che lo ha riscritto cinque volte e non ne era soddisfatto. Lui stesso si lamentava di aver perso la memoria e che lo scritto aveva delle contraddizioni.
Si tratta di un romanzo triste e brevissimo, un centinaio di pagine. Si legge in un paio d'ore. Narra la storia di una donna cinquantenne che il sedici di agosto di ogni anno si reca sull'isola in cui è sepolta sua madre a portarle dei fiori e lì trascorre ogni anno una notte lontana dalla sua famiglia. E in quelle notti accade qualcosa...
"Tornò sull'isola il venerdì sedici agosto con il traghetto delle tre del pomeriggio. Indossava un paio di jeans, una camicia scozzese a quadri, scarpe semplici con il tacco basso e senza calze, un parasole di raso, la borsa e, come unico bagaglio, una sacca da spiaggia. Alla fila dei taxi del molo andò dritta verso un vecchio modello roso dalla salsedine. L'autista la accolse con un saluto da amico e la portò a sobbalzi attraverso il paese indigente, con case di legno, canne e fango, tetti di palma amara e strade di arena ardente di fronte a un mare in fiamme."
★★★☆☆
🥃 amaro digestivo
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Pubblico oggi la recensione de "La cuoca segreta di Frida", per ricordare la pittrice Frida Kahlo morta esattamente settant'anni fa. Si tratta di un romanzo di Florencia Etcheves che ho iniziato a leggere molti mesi fa con entusiasmo, per poi arenarmi. Il personaggio Frida mi ha sempre appassionata, molto prima della "kahlomania" e su di lei ho letto numerose biografie. Ero consapevole che leggendo questo romanzo avrei aggiunto poco in termini di conoscenza sulla pittrice messicana, però mi intrigava l'idea di scoprire magari qualche aneddoto che non conoscevo e mi piaceva anche rileggere la sua storia.
Il romanzo è ben strutturato e alterna un capitolo ambientato ai giorni nostri ad un altro ai tempi di Frida. La "cuoca segreta" che dà il titolo all'opera è finzione, il giallo che viene narrato nei capitoli "odierni" è anche pura invenzione. Di vero c'è la biografia di Frida Kahlo.
Ciò che mi ha bloccata nella lettura è stato un presunto "errore storico". Cito testualmente: "Dopo aver sistemato la spesa su uno scaffale di legno trasformato in dispensa, Caridad prese la scopa che qualcuno aveva lasciato appoggiata al lavello di metallo e scopò il pavimento di cemento levigato. Ammucchiò le bucce di patate, le briciole di pane e qualche mozzicone di sigaretta. Infilò il tutto in un sacchetto di plastica e buttò la spazzatura in un contenitore metallico accanto alla porta che collegava la stanza al giardino."
A voi risulta che nel 1940 esistessero i sacchetti di plastica in Messico o in altre parti del mondo? Secondo Wikipedia: "Le domande di brevetto americane ed europee relative alla produzione di sacchetti di plastica per la spesa risalgono ai primi anni '50, ma si riferiscono a costruzioni composite con manici fissati al sacchetto in un processo di produzione secondario. Il moderno sacchetto leggero per la spesa è un'invenzione dell'ingegnere svedese Sten Gustaf Thulin. Il progetto di Thulin fu brevettato in tutto il mondo da Celloplast nel 1965."
Un errore tutto sommato perdonabile, ma che mi ha fatto sorgere il dubbio che l'autrice non abbia voluto perdere troppo tempo nel documentarsi e che si sia presa anche altre "licenze".
Dopo mesi di stop l'ho ripreso in mano e terminato. Il finale non mi è piaciuto. La chiusura è sbrigativa e lascia aperte molte vicende.
Mi sono piaciute molto le parti in cui vengono descritte dettagliatamente le tradizioni culinarie messicane e i costumi delle “Tehuanas”, le donne di Tehuantepec, famose per i lavori di ricamo coloratissimi e gli abiti composti dallo huipil e da una gonna molto ampia.
Frida amava indossare l'abito da tehuana che tanto piaceva a Diego Rivera.
Complessivamente il romanzo non è male e può essere molto interessante per chi non conosce la vita di Frida Kahlo e il suo turbolento amore per Diego Rivera.
Se deciderete di leggerlo, vi terrà compagnia per quasi 600 pagine.
"Non voglio che Diego mi dia un soldo . Non voglio niente da quel grosso rospo, niente di niente. Questo lo devi imparare anche tu. Non accettare mai in vita tua soldi da un uomo. Devi riuscire a procurarteli da sola."
★★★☆☆
🍞 pane
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In questa domenica meteorologicamente iniziata con temperature basse e cielo grigio e via via migliorata fino ad arrivare a temperature estive e cielo azzurro, in condizioni di salute precarie a causa di un dente capriccioso che mi sta facendo dannare e quindi non in grado di fare un giro in bici o di corsa (meglio evitare!), messa davanti alla scelta di come trascorrere il pomeriggio e in particolare a due opzioni: aprire il tomo di diritto di mille pagine che mi sta impegnando negli ultimi mesi o leggere un sottile libricino appena pubblicato che parla di Frida e scriverne sul mio blog, ho scelto la seconda opzione, perchè amo leggere, scrivere e adoro Frida Kahlo.
Su di lei negli anni ho letto diverse pubblicazioni: "Frida. Una biografia di Frida Kahlo" di Hayden Herrera, "Viva la vida!" di Pino Cacucci, "Frida Kahlo" di Andrea Kettenmann; ho visto il film interpretato dalla bellissima Salma Hayek e ho visitato qualche anno fa a Bologna una mostra di sue opere, foto e oggetti, ma del personaggio Frida mi sono innamorata prima di vedere il film, prima che tutte le ragazzine circolassero con la sua immagine stampata sulla maglietta e sulle borse. Mi ha inizialmente attirata per le sue caratteristiche sopracciglia e la sua scelta di non "toccarle" mai. Pur non essendo io dotata di monociglio, le mie erano molto folte e in anni in cui per essere alla moda bisognava avere sopracciglia sottilissime, io ho fatto una scelta "di carattere" e non le ho assottigliate. Questa sua caratteristica fisica che ci accumunava mi ha fatto avvicinare al personaggio Frida Kahlo, conoscere la sua vita, le sue opere, scoprire la sua resilienza e caparbietà ed anche le sue fragilità. Di lei ho amato sicuramente la sua indipendenza, la sua forza, il suo femminismo. Quello che ho sempre faticato a capire è il suo rapporto con Diego Rivera, sicuramente un amore immenso da parte di Frida, ricambiato in modo "originale" da Diego. Lui stesso ha dichiarato di aver capito troppo tardi che la parte più bella della sua esistenza era l'amore che provava per lei.
Luca Nannipieri analizza in questo suo brevissimo lavoro l'immagine iconica della coppia Frida Kahlo e Diego Rivera, "non solo due amanti, di essi la storia ne enumera ormai migliaia di milioni, e l'amore, si sa, ha albergato almeno una volta nella coltre di ogni creatura che ha messo piede in terra. No: un'icona. Almeno per il secolo che ci è dato di vivere, Kahlo e Diego non sono soltanto due pittori messicani. Incarnano una storia che ha tutte le azzeccate fattezze, le precise metrature, i più impensabili avvelenamenti dell'anima, per divenire quello: mythos. Mitologia."
Lo stesso autore precisa in una nota che "questo libro non è un saggio perchè non ha una tesi da esporre e documentare. Anzi ha un finale da compiere."
Sul finale da compiere sono d'accordo e lascio a voi scoprire di che cosa si tratta. Contesto invece che questo libricino non abbia una tesi. Ce l'ha e a parere mio è l'idea di icona di coppia di Frida e Diego. Un'idea che a me non piace molto. E' Frida l'icona ed ha trascinato con sé Diego, come avrebbe trascinato chiunque gravitasse intorno alla sua figura.
Ad ogni modo questo libro, pubblicato da Skira il mese scorso, merita di essere letto. Nannipieri è un critico d'arte che scrive con passione e poesia ciò che pensa.
★★★☆☆
🍞 pane
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Antonia Dalpiaz è trentina, scrittrice di poesie, di commedie dialettali e di romanzi. Ha pubblicato una trilogia dedicata alle donne e un e-book per ragazzi sul bullismo e infine "L'impronta dei giorni smarriti" con protagonista un uomo, Giulio.
Le sue storie nascono mentre cammina, le elabora passeggiando, poi le riporta sulla carta.
Ho assistito alla presentazione di questo romanzo presso la biblioteca di Arco. Il direttore Alessandro Demartin ha introdotto il libro e l'autrice.
Demartin ha trovato nelle fasi iniziali del romanzo il protagonista respingente e la casa in cui ha vissuto da bambino quasi una casa da film horror.
Per me nulla di tutto questo. Io come Anita (un'amica del protagonista che avrà un ruolo importantissimo nel romanzo) ho trovato Giulio indifeso, fragile e spaventato. Ho compreso il suo stato d'animo fin da subito e sono entrata in empatia con lui.
Questo dimostra quanto possono essere diverse le impressioni che un romanzo può suscitare.
Giulio è un quarantenne che piace alle donne. Ragioniere. Lavora in banca. Serio, appare affidabile agli altri, tanto che molti si rivolgono a lui per risolvere problemi e chiedere consiglio. Lui non vede l'ora di isolarsi dal mondo e passare il tempo dopo il lavoro davanti alla tv con una birra in mano e non pensare a nulla per dimenticare il suo passato, la sua infanzia dolorosa.
Molti sono i personaggi secondari: i clienti della banca, i colleghi, le donne che frequenta, i fratelli e Anita (una donna conosciuta da poco, più vecchia di lui, con cui si trova subito a suo agio e inizia ad aprirsi, perchè forse è più facile farlo con una sconosciuta).
La madre è morta da molti anni. Giulio l'ha amata molto e la sua presenza si avverte in tutto il romanzo. Lei è al centro della storia, tutto ruota intorno a lei. Quando alla fine del romanzo emergerà tutta la verità e l'alone di mistero che avvolgeva l'infanzia di Giulio svanirà, tutti i tasselli della vicenda andranno al loro posto.
Il racconto si sviluppa in modo originale, attraverso i punti di vista diversi dei vari personaggi. Un capitolo ciascuno. Ciò dà modo al lettore di farsi un'idea di quello che accade in modo più completo. Consente di ascoltare "più campane"
La copertina è molto bella, il titolo azzeccatissimo e la storia avvincente. Peccato per i molti refusi, davvero fastidiosi, presenti nel romanzo e che non dipendono certo dall'autrice. Spero che nelle successive ristampe ci si ponga rimedio.
Il cellulare manda il suo segnale di chiamata ma non risponde. Non gli interessa nemmeno sapere chi lo sta cercando. Sa che fuori da quelle stanze non c'è nessuno e niente che gli importi veramente.
★★★☆☆
🥃 amaro digestivo
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Pubblicato circa un anno fa in Italia, "Cattivi presagi" è il primo libro di una quadrilogia fantasy scritta da L.A. Di Paolo - autore americano con ascendenti italiani - e tradotta in italiano da Paolo Pilati.
"Cattivi presagi", a cui ha fatto seguito "Prima eruzione", è stato preceduto dalla pubblicazione di "Ronin", un breve racconto che narra l'antefatto della vicenda.
I racconti sono ambientati nell'universo dei Conquistatori di K'tara e narrano la storia di un popolo che vive in un tempo futuro su un pianeta distante nella galassia circa tremila anni. Le condizioni uniche di K'Tara hanno permesso lo sviluppo di una società umanoide superiore e altamente civilizzata.
Si tratta di un fantasy quindi, ma con un pizzico di fantascienza.
Protagonisti delle vicende sono il Gran Principe Aithen e il Principe Toras che si ritrovano a combattere contro una terribile Serpe dagli intenti distruttivi.
Battaglie, colpi di scena e un numero infinito di personaggi secondari caratterizzano il racconto.
La trama è avvincente e complessa a tal punto da richiedere numerose appendici da consultare nel caso ci si dimentichi del ruolo di un personaggio o del significato di un termine.
Si possono consultare anche le mappe del Regno per orientarsi meglio.
Peccato che, per ora, non sia possibile leggere l'intera quadrilogia. In Italia risultano pubblicati i primi due libri, più un breve racconto che consiste nell'antefatto.
Chi è abituato a leggere romanzi fantasý, conosce bene le dinamiche di lettura di questi romanzi lunghissimi, suddivisi in numerosi libri.
Io, prima d'ora, escluso l'urban fantasy 1Q84 di Murakami - che però ho letto tutto d'un fiato dopo la pubblicazione del terzo libro - non ho mai dovuto attendere con impazienza di poter leggere il seguito di una storia. Non mi resta che aspettare che Di Paolo completi la stesura della saga e che Paolo Pilati termini la traduzione.
Il traduttore è originario di Arco di Trento. Appassionato di letteratura, poesia e musica, suona nella band Electric Circus. Attualmente vive a Torino.
Qui potete leggere la mia intervista al traduttore trentino.
Curiosità: presso la biblioteca di Arco è disponibile per il prestito una copia di "Cattivi presagi" autografata dall'autore.
"Le improvvise urla di Toras spezzarono la calma piatta del mezzogiorno. La sua pelle stava venendo straziata e ustionata dai raggi spietati dei Soli Gemelli , ai quali non importava né dell'identità della loro vittima, né del motivo per cui Toras giacesse disteso, mentre si apprestavano a raggiungere lo zenit del loro viaggio quotidiano attraverso il cielo di K'Tara.
Eppure, non era quello il giorno in cui il giovane umano avrebbe permesso ai soli di consumare la sua carne.
Nonostante urlasse di dolore, con il cuore a mille per il panico, la mente offuscata dal caldo e le gambe ancora vacillanti, Toras si alzò e corse verso il bosco più veloce che poteva.
Provò un immediato senso di sollievo quando la boscaglia lo avvolse con un'aria fresca e umida."
★★★☆☆
🍾 spumante
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Ho faticato un po' all'inizio ad entrare nella trama del romanzo giallo "La pista" di Anne Holt. Alla fine però l'ho apprezzato e in particolare mi è piaciuta molto la protagonista, che ho trovato per molti aspetti un personaggio simile alla Penelope di Carofiglio.
Una sciatrice viene accusata di doping a pochi mesi dalle Olimpiadi. Uno sciatore viene ritrovato morto in circostanze poco chiare. Selma Falck, ex atleta di fama mondiale ed ex avvocatessa di successo, ha perso lavoro, marito e figli a causa di un vizio che l'ha rovinata finanziariamente. La sua vita precipita nel baratro della solitudine e della disperazione, fino a quando il padre della campionessa accusata di doping, convinto si tratti di un sabotaggio, chiede a Selma di trovare le prove per scagionare la figlia. Selma è obbligata dalla sua situazione personale ad accettare l'incarico e inizia a investigare.
Questo romanzo giallo è il primo con protagonista Selma Falck, a cui hanno fatto seguito "La tormenta" e "Lo sparo".
"Le persone parlavano. Con i coniugi. Con gli amici più intimi. A letto. Da ubriache. Ovunque. Come mezzo di ingraziarsi qualcuno. Rendersi interessanti. "Non dirlo a nessuno" era probabilmente la richiesta che era stata e continuava a essere infranta con più frequenza nella storia dell'umanità."
★★★☆☆
🍞 pane
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"La figlia oscura" è un brevissimo romanzo di Elena Ferrante caratterizzato da un profondo scavo psicologico.
Leda è un’insegnante, divorziata, madre di due ragazze grandi. Rimasta sola a casa, in un'estate in cui le figlie hanno deciso di trascorrere del tempo col padre in America, la protagonista parte per una vacanza al mare in un paesino del sud.
Dopo i primi giorni tranquilli, l’incontro con una chiassosa famiglia scatena una serie di spiacevoli eventi.
Il romanzo prende il ritmo di un thriller. L'atteggiamento della protagonista diventa inquietante. I ricordi del suo passato difficile emergono.
Leda, la protagonista, è una mamma che ha avvertito come schiacciante il peso della responsabilità di essere madre. Ed ora che le figlie sono grandi e lontane si sente sollevata. Si sente però in colpa di provare questo sentimento di sollievo.
Leda amava le sue figlie, ma ha vissuto male la condizione di madre. Si sentiva non più libera, limitata nella possibilità di fare carriera.
Si tratta di una protagonista respingente. Caratteristiche solitamente presenti negli antagonisti.
Ho trovato un personaggio simile in "Questo giorno che incombe" di Antonella Lattanzi.
E' il primo romanzo che leggo di Elena Ferrante. L'ho trovato interessante e molto ben scritto.
La volontà dell'autrice di mantenere la sua identità sconosciuta, usando uno pseudonimo e non rivelandosi mai, nemmeno dopo l'enorme successo ottenuto, mi avevano reso antipatica la scrittrice (o scrittore?) e non avevo mai letto, prima d'ora, nulla di scritto da lei. L'occasione si è presentata con un gruppo di lettura. Mi dispiace molto non conoscere la biografia dell'autrice, perchè solitamente io mi documento sulla vita dello scrittore e spesso ciò mi aiuta a comprendere meglio le sue opere.
Parlando con una mia amica psicologa di questa opera, di cui lei ha visto la trasposizione cinematografica, abbiamo concluso che molto debba esserci di autobiografico in questo romanzo, per il modo in cui è scritto, per la particolarità di alcuni dettagli che difficilmente possono essere descritti se non vissuti. La nostra idea è che Leda sia stata ispirata dalla madre della scrittrice. Chissà, forse un giorno scopriremo se la nostra tesi è corretta.
"All'origine c'era un mio gesto privo di senso del quale, proprio perchè insensato, decisi subito di non parlare con nessuno. Le cose più difficili da raccontare sono quelle che noi stessi non riusciamo a capire."
★★★☆☆
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🥃 amaro digestivo
L'autore del romanzo fantascientifico "La finale olimpica" è Marco Giacomantonio, docente universitario di Economia Aziendale e atleta agonista (vanta sui 100m il primato di 10"7).
La prefazione è di Andrea Benatti e la postfazione di Salvino Tortu, entrambi amici dell'autore e conosciutissimi nel mondo dell'atletica. Il primo, atleta master agonista e co-fondatore del notissimo sito web "Queen Atletica" e il secondo, allenatore e padre del fortissimo sprinter azzurro Filippo Tortu.
Grande amante della letteratura fantascientifica, Marco Giacomantonio, prima di "La finale olimpica", ha pubblicato altri due romanzi dello stesso genere: "Più veloce della luce" e "Fantasia - Improvviso".
"La finale olimpica" è stato scritto e pubblicato prima della vittoria di Marcell Jacobs alle Olimpiadi di Tokyo nei 100 metri piani (primo italiano nella storia a riuscirci), quindi si può dire che questo romanzo sia stato di buon auspicio per Marcell.
I personaggi sono quasi tutti realmente esistenti e gli eventi narrati si svolgono durante le Olimpiadi di Las Vegas del 2092.
Alessandro, il protagonista del romanzo, durante la semifinale olimpica dei 100m si infortuna ed è costretto a disertare la finale. Dopo anni di sacrifici e duro allenamento, il sogno di una vita sembra svanire.
Forse però c'è un'altra possibilità: attraversare il tempo e lottare per la medaglia.
In verità il viaggio nella quarta dimensione non è ritenuto possibile nemmeno nel XXI secolo e anche se lo fosse, Alessandro si interroga sulla correttezza nei confronti degli altri concorrenti.
Correrà Alessandro la finale olimpica?
Un romanzo fantascientifico ambientato nel mondo dell'atletica leggera, in cui le nuove tecnologie non hanno intaccato quelli che sono sempre stati i valori fondanti di questo sport: passione, sano agonismo e una continua sfida con sé stessi.
Dopo un primo momento di spaesamento dovuto al fatto di non avere mai letto nulla di fantascientifico e non essere quindi abituata a fare i conti con multiverso, nanotecnologie e connessioni mentali, mi sono divertita un sacco. Il romanzo è avvincente e simpatico.
Da ex atleta sono stata totalmente catturata dalla finale olimpica. Conosco molto bene quelle che sono le sensazioni, i riti e i pensieri pre e post gara. Un mondo, quello delle gare, che mi manca molto. Non mi dispiacerebbe poter fare un salto temporaneo in un mondo parallelo in cui poter di nuovo gareggiare.
"L'atletica, come tutti sappiamo, è uno sport individuale: in gara sei da solo contro tutti e, anche in occasioni come le staffette o i campionati a squadre, è comunque la prestazione del singolo ad essere sotto i riflettori. Tuttavia, qui come nella vita, il lavoro in team è fondamentale: fare parte di un gruppo affiatato aiuta a crescere, a migliorare, a imparare gli uni dagli altri. Motiva e sprona a perseguire gli obiettivi con tenacia e determinazione."
★★★☆☆
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🍨 mousse alla fragola
Ho intervistato Marco Giacomantonio in occasione di un meeting di atletica svoltosi ad Arco (TN).
È uscito il mese scorso "Correre in aria" di Larissa Iapichino, Mondadori editore.
Larissa, primatista mondiale under 20 indoor di salto in lungo, è la figlia quasi ventenne (classe 2002, generazione Z, nativa digitale) di Fiona May e Gianni Iapichino.
La madre conosciutissima sia nel mondo dell'atletica (due titoli mondiali e due medaglie d'argento alle olimpiadi e primatista italiana di salto in lungo) che dello spettacolo come attrice e ballerina.
Il padre, ex astista (tre titoli italiani vinti in carriera), ex golfista professionista, musicista per passione e ora allenatore di Larissa.
Nonostante io appartenga alla generazione X come i suoi genitori e solitamente non mi piaccia leggere le biografie di chi ha ancora tutta una vita davanti da vivere, questo libro mi ha incuriosita proprio perché mi chiedevo che tipo di romanzo fosse.
Al termine della lettura ho concluso che si tratta di un libro molto indicato per le ragazzine. Il mondo raccontato è quello della scuola, delle amicizie nate sui campi di atletica, degli amori nati sui social, dei vestiti da indossare la mattina e il colore dello smalto da scegliere e abbinare all'outfit.
Larissa tiene a sottolineare che lei è anche una "ragazza normale".
Se siete amanti dell'atletica e adulti, scordatevi di trovare dettagli tecnici nel libro. Nemmeno una parola sull'allenatore. Sembra quasi che Larissa si alleni da sola.
Ma non è una biografia, Larissa è troppo giovane per scriverla e davanti ha ancora tanta vita.
Si tratta più di un racconto a metà strada tra la favola e il diario romanzato di alcuni mesi della vita di Larissa, quelli trascorsi tra il record del mondo e l'infortunio ai campionati italiani di Rovereto, passando per la maturità, una serie di pensieri "in libertà" alla ricerca di se stessa in cui affronta il tema della sua "autodeterminazione". Non ci sta Larissa a sentirsi definire "predestinata". Sì certo, i suoi geni sono buoni, ma il resto (scelte, determinazione, rinunce, fatica) è opera sua.
Chi ha scritto veramente il romanzo?
Se è tutta farina del suo sacco, Larissa ha talento anche per la scrittura.
La narrazione è molto scorrevole e utilizza un linguaggio semplice e simpatico.
Se l'editor le ha dato una mano a mettere ordine tra i suoi pensieri - che per come si descrive lei è facile siano usciti fuori dalla sua penna come un fiume in piena - ha fatto un ottimo lavoro.
"Ero predestinata a diventare quel che sono, a fare quel che faccio?
Ho letto questa parola così tante volte, dopo quell'incredibile record di Ancona con cui ho eguagliato il record di mia madre a Valencia, nel 1986.
Eguagliato: capito? Significa uguale fino all'ultimo dei 691 centimetri di salto."
"A me piace pensare che tutto ciò che faccio dipenda da me, che non devo e non ho bisogno di accettare a priori una posizione, un'etichetta, un destino, ma che posso sempre guardarmi intorno, cercare ciò che è meglio e più giusto e andare a prendermelo saltando sempre un po' più in là."
"Certe volte vorrei dimenticare tutto anche solo per un giorno e spegnermi senza dormire, lasciare spazio alle cose che non chiedono impegni e scadenze, rigore e determinazione.
Alle cose che semplicemente accadono e non importa sapere precisamente quando e dove. Basterebbe quello."
★★★☆☆
🍨 mousse alla fragola
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"Il nome scomparso" di Fiorella Malchiodi Albedi è un originale romanzo che trae spunto da un bellissimo racconto di Dino Buzzati: "Inviti superflui", pubblicato per la prima volta sulla rivista "I libri del giorno" nel 1946 e successivamente incluso nella raccolta "Paura alla scala", una dichiarazione d'amore a una donna con la consapevolezza che il suo carattere e le sue passioni sono agli antipodi rispetto a quelle del narratore. Lui sentimentale e sognatore, lei attratta dai beni materiali.
La prima cosa che ho fatto quando l'autrice mi ha inviato il romanzo, dopo aver letto la trama, è stato leggere il racconto di Buzzati, attorno al quale si snoda l'intreccio. E consiglio di farlo anche voi a questo link
Alberto viene invitato ad una mostra di fotografi dilettanti. Rimane colpito da un solo scatto che ritrae le mani di una persona anziana, incrociate su un libro aperto. Le colleghe Michela e Ada a cui Alberto mostra la foto dell'opera che lo ha colpito riconoscono che le frasi del libro appartengono ad un racconto di Dino Buzzati, "Inviti superflui", ma che la versione del racconto ritratta nella foto non coincide con quella della edizione corrente. Nella foto appare il nome della donna a cui gli inviti sono rivolti, nella versione corrente non c'è. Il nome è scomparso. Incuriositi, i tre amici iniziano ad indagare.
Questo breve romanzo mi è piaciuto molto. L'ho letto velocemente, in quanto avvincente.
E' scritto bene, è scorrevole e a tratti divertente, ma per nulla banale. Molto moderna e attuale è la narrazione, in cui internet, le mail e i social sono presenti tanto quanto lo sono nelle nostre vite.
La descrizione dei personaggi e lo scavo psicologico degli stessi sono molto efficaci.
Si tratta di un romanzo breve che mescola un po' i generi. Non è un giallo, ma un romanzo che mischia vicende sentimentali con un mistero da risolvere.
L'autrice di professione è anatomopatologa (quanti medici hanno la passione per la scrittura!) e ha scoperto questo amore non in giovanissima età. Una collega l'ha convinta a scrivere un racconto, risultato poi vincitore di un concorso letterario.
Una raccolta di suoi racconti è stata pubblicata nel 2019, "Caldo cosmico e altri racconti" (Eretica edizioni).
"Il nome scomparso" è il suo primo romanzo.
Curiosità: il romanzo è stato pubblicato da Bookabook.
Bookabook nasce nel 2014 da un’idea semplice: trasformare il lettore da consumatore a parte attiva della vita del libro.
La selezione qualitativa è fatta dagli editor e prescinde da qualsiasi giudizio di commerciabilità. Il pubblico dichiarerà interesse o meno per il manoscritto, preordinandolo sulla base della lettura della sinossi e dell'anteprima. Se lo scritto riscuote un certo successo di interesse, valutato in base al numero di preordini, il libro sarà pubblicato.
"Tu pensi mai alla morte?"
"No, non direi."
"Neanch'io, eppure è strano, è sempre lì con noi, dal nostro primo giorno. Me la immagino guardarci da dietro lo stipite di una porta, paziente, mentre noi viviamo ogni giorno la nostra vita, come se non esistesse. Sappiamo che è lì, ma facciamo finta di niente. Poi, a un certo punto, diventa reale."
★★★☆☆
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L'idea di scrivere "Elogio del gregario" è venuta a Marco Pastonesi un giorno in cui, a causa di una foratura, si è imbattuto per caso nella bottega da ciclista dei fratelli Renzo, Valeriano e Mario Zanazzi, ex gregari professionisti ai tempi di Coppi e Bartali. Mentre riparava la gomma bucata, Valeriano raccontava a Marco episodi della passata vita da gregario.
Ex ciclista ed ex giocatore di rugby di serie A, l'autore è stato giornalista della «Gazzetta dello Sport» per moltissimi anni e da cronista ha seguito dodici Giri d’Italia, nove Tour de France e un’Olimpiade, ma anche due Giri del Ruanda e uno del Burkina Faso.
Ai suoi sport preferiti ha dedicato numerosissimi libri. L'ultimo è "Elogio del gregario".
Il titolo è eloquente. Si tratta di un chiaro riconoscimento al gregario.
In realtà gli elogi sono molti, come anche i gregari, a cui Marco Pastonesi dedica racconti e aneddoti con lo scopo di riconoscere l'importanza del ruolo del gregario che, quasi sempre, sgobba per il capitano tutta la gara e appena dopo il traguardo nessuno ricorda più.
Il primo racconto è dedicato proprio ai fratelli Zanazzi, a cui ne fanno seguito molti altri.
Una raccolta molto interessante, imperdibile per gli amanti del ciclismo, soprattutto del passato.
Curiosità: Marco Pastonesi fa parte del Comitato scientifico della Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza.
La Biblioteca della bicicletta è nata nel 2012 da un’idea di Fernanda Pessolano e un progetto dell’associazione Ti con Zero, è un luogo di raccolta di quello che riguarda la bicicletta in tutte le sue forme e i suoi modi, ma è anche un luogo di lettura e studio aperto a tutti.
La Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza possiede circa 2300 titoli, tra testi, riviste, cd e dvd, mappe e itinerari.
"Il mio gregario ideale è un centauro, metà uomo (o donna) e metà bici, e deve avere una carriera pulita, linda, immacolata da vittorie. In due parole: vittorie zero. Perché la vittoria è una sirena al cui canto bisogna saper resistere con lentezza, se non fermezza. Perché la vittoria è una cattiva consigliera, ingannevole ed effimera. [...] La sconfitta, nel ciclismo, non esiste, al massimo la si sfiora quando si abbandona la gara. Il mio gregario ideale dà tutto prima. Così quell’undici novembre 2018 ci rimasi da bestia. Giuda, pensai, non avrebbe potuto fare di peggio. Un colpo sotto la cintura, una pugnalata alle spalle. Un tradimento bello e buono, uno strappo alle regole. Un salto mortale, un peccato capitale. Dopo dieci anni di esemplare professionismo – zero vittorie in carriera –, proprio nell’ultima corsa da stipendiato, in piena zona Cesarini, ormai a tempo scaduto, Alan Marangoni cedette alla tentazione e fece quello che non aveva mai fatto e che non avrebbe mai dovuto fare. Vincere. [...]
Nel 2018, l’anno dell’addio alle corse da immacolato (Nippo-Vini Fantini-Europa Ovini), 8761,06 km in settantuno giorni di corsa, Marangoni perse la testa. Dopo aver messo in crisi mistica chi credeva in lui con due settimi posti (seconda tappa e classifica finale) nella Hammer Stavanger, peccò con un quarto posto nella nona e ultima tappa del Tour of Hainan, finché l’ultimo giorno con il dorsale cedette anche al comune senso del pudore e osò vincere il Tour – ma si tratta della corsa di un giorno, anche se stavolta nefasto – de Okinawa. Perdipiù aggravando la tragica situazione festeggiandosi, osannandosi, celebrandosi, felicitandosi, battendosi ripetutamente il pugno destro sul cuore. Non mi rimase altro che processarlo per direttissima ed emettere il duro verdetto: espulso. Espulso e squalificato a vita dalla mia squadra. Di cui lui, Alan Marangoni, romagnolo di Cotignola, era – ma tu pensa – il capitano morale, il leader naturale, il comandante esemplare.
E per rispetto verso chi era rimasto ai patti, a nulla sarebbero mai valsi inevitabili ripensamenti e tardivi pentimenti. Amen.
Ognuno ha la sua squadra. La Bianchi o la Legnano, la Salvarani o la Molteni, la Mercatone o la Mapei, la Tenax o la Flaminia, la Zalf o la Colpack. La mia squadra è trasversale e universale, indipendente e rivoluzionaria, composta esclusivamente da corridori senza vittorie. Ogni anno si arricchisce di nuove illusioni e si valorizza di nuove delusioni, si fortifica di eterni secondi e terzi mondi, si moltiplica di maglie nere e lanterne rosse, puntando e lanciando gli atleti regolari e completi, cioè quelli che – come si recita nel mondo del ciclismo – vanno piano dappertutto."
★★★☆☆
🍞 pane
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I gialli di Cristina Cassar Scalia sono sempre piacevoli. L'autrice siciliana scrive bene, sa tenere alta l'attenzione e con la vicequestore Vanina Guarrasi ha creato un personaggio molto interessante.
Negli ultimi anni sono state molto apprezzate "le serie gialle" come il commissario Montalbano, Rocco Schiavone, Saverio Lamanna, i vecchietti del Barlume, Carlo Monterossi, tutte trasformate in serie tv. Presto dovrebbe diventarlo anche la storia di Vanina.
Pagina dopo pagina, episodio dopo episodio, il personaggio principale si fa conoscere meglio, evolve ed i lettori si affezionano a lui.
È così anche per Vanina. Noi lettori amiamo il suo intuito e il suo decisionismo sul lavoro e comprendiamo la sua indecisione in campo amoroso. E molti di noi invidiano a Vanina la fortuna, vivendo in Sicilia, di poter gustare squisiti piatti siciliani che l'autrice cita in abbondanza con dovizia di succulenti particolari.
Nell'ultimo romanzo "Il talento del cappellano", il quinto della serie, Vanina si trova, in periodo natalizio, ad indagare su un duplice delitto: due assassinati, a distanza di poche ore, ritrovati insieme. Apparentemente tra loro scollegati: una dottoressa e un religioso.
Nelle indagini Vanina è aiutata dal commissario in pensione Patanè, presente ormai in tutte le indagini della vicequestore e da una squadra sempre più affiatata.
False piste, colpi di scena e infine la soluzione del caso.
Nel frattempo la storia d'amore tra Vanina e il magistrato Paolo Malfitano procede con un passo avanti e due indietro.
Cristina Cassar Scalia ha da poco annunciato che sta scrivendo la prossima avventura. Speriamo che nel prossimo romanzo Vanina faccia due passi avanti, si chiarisca un po' le idee. Lo spasimante pediatra, rivale del magistrato, saprebbe forse dare a Vanina un po' di serenità.
Nel blog potete leggere, della stessa autrice, anche le recensioni di: La salita dei saponari, L'uomo del porto e Tre passi per un delitto.
"Aveva smesso di nevicare da un paio d'ore e il cielo s'era riempito di tutte le stelle che l'occhio umano è in grado di distinguere. Ai bordi della strada che si inerpicava su per la muntagna, cumuli di neve seppellivano i muretti di pietra lavica. Così imbiancato, il paesaggio intorno, invisibile nel buio della notte, doveva essere uno spettacolo."
★★★☆☆
🍨 mousse alla fragola
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Molto intimo questo scritto di Chiara Gamberale, che ha la forma di un breve "diario" del periodo del lockdown. Di lei avevo letto alcuni romanzi. Non conoscevo l'aspetto fragile della sua personalità, i problemi di depressione con cui è costretta a convivere. Che bella persona è! Ha saputo trasformare le sue debolezze in forza, facendo volontariato, aiutando i malati. Brava Chiara Gamberale!
Come Chiara anch'io, per certi aspetti, ho apprezzato il lockdown .
Mi mancavano alcune persone, affetti, ma ho gradito la riduzione dei contatti . Sono "un'orsetta " e a casa, a fare il pane, senza troppi obblighi sociali, ci stavo bene. Forse perché, comunque, la mia numerosa famiglia era tutta riunita.
Ho letto questo romanzo per il torneo letterario di Robinson.
★★★☆☆
🍷 vino rosso
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"Questo giorno che incombe" di Antonella Lattanzi, vincitore del premio Scerbanenco 2021, è un noir molto coinvolgente ed avvincente, ma anche inquietante, soprattutto per chi ha bambini piccoli.
Una famigliola felice, composta di quattro persone, due giovani genitori in carriera e due figlie piccole, si trasferisce in una nuova casa alla periferia di Roma. Tutto sembra magnifico, finchè dal cortile del condominio sparisce una bambina.
Nel romanzo, molto lungo, si trovano riferimenti a quasi tutti i peggiori crimini commessi sui bambini negli ultimi 20/30 anni in Italia (Cogne, Avetrana, Denise Pipitone, ...).
Tanti i colpi di scena e gli stravolgimenti, tipici dei thriller, ma alla fine, a parte il colpevole, troppe questioni sono lasciate in sospeso. E a me questo non è piaciuto. In alcuni punti, inoltre, ho avuto l'impressione che l'autrice avrebbe potuto evitare di dilatare troppo gli eventi. Tuttavia il romanzo è molto bello, molto introspettivo. Vale la pena di leggerlo.
Mi resta una curiosità: la casa che parla è la coscienza della protagonista? O dell'autrice? O semplicemente un disturbo psichiatrico?
Dalla prefazione sembra di capire che la storia trae origine da un fatto realmente accaduto nella vita della scrittrice e che ha segnato la sua esistenza.
"Lo chiamavano tutti così, lì. L'incidente.
Era successo nel nostro condominio. Nel nostro palazzo.
Io ero troppo piccola per capire. Avevo otto mesi. Anche mia sorella era troppo piccola. Aveva quattro anni. Però che qualcosa non andava lì lo capimmo molto presto."
★★★☆☆
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🍋 limone
Nel romanzo "Il sentiero dei nidi di ragno", pubblicato nel 1947 da Einaudi, Italo Calvino affronta il tema della lotta partigiana. Lo fa utilizzando un approccio molto originale. Il punto di vista è quello di un ragazzino, Pin, un orfano, povero, rozzo che vive con la sorella prostituta.
Pin, dopo alcune peripezie, trova rifugio in un accampamento partigiano. E Calvino inizia a narrare le vicende della "scalcagnata" banda attraverso gli occhi del ragazzino.
La storia può essere letta su più piani: quello del bambino solo che non si trova a suo agio nè con i coetanei nè con gli adulti ed è alla disperata ricerca di un amico e quello della vicenda storica della lotta partigiana. Tra le righe emergono le contraddizioni di entrambe le parti in lotta. Chi ha scelto di combattere? È perché proprio da quella parte?
Il linguaggio è scorrevole e semplice, tranne l'uso di termini dialettali che inizialmente può mettere in difficoltà rallentando un po' la lettura.
"Pin sale per il carrugio, già quasi buio; e si sente solo e sperduto in quella storia di sangue e corpi nudi che è la vita degli uomini"
★★★☆☆
🍞 pane
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"Quando tornerò" di Marco Balzano è un romanzo che affronta il tema delle badanti straniere, per lo più dell'est, che lasciano la propria famiglia e si trasferiscono in Italia, per accudire bambini ed anziani. Ho scoperto esistere una vera e propria sindrome, il "mal d'Italia", che molto frequentemente colpisce le madri costrette a lasciare i figli per lavorare nel nostro paese. Per non parlare del disagio dei minori lasciati a casa, che spesso vivono la partenza come un abbandono. E' un romanzo importante che ci fa riflettere sulla vita di chi si prende cura dei soggetti deboli della nostra società. Nessuno pensa mai al sacrificio che queste madri fanno per lavorare.
Quello di Balzano è un romanzo familiare, diviso in tre parti e la voce narrante cambia.
Nella prima parte (DOVE SEI), Manuel (figlio di Daniela, emigrata in Italia per permettere ai figli, con il suo stipendio, di vivere dignitosamente in patria) racconta dal suo punto di vista, in ordine cronologico, i fatti accaduti e le sue emozioni da quando la madre è "scappata" fino all'incidente.
Nella seconda parte (LONTANA) la voce narrante è quella di Daniela che racconta, con continui salti temporali tra il periodo in cui Manuel è in rianimazione e il periodo in cui lavorava in Italia come badante, il suo punto di vista e va a colmare, in questo modo, le lacune narrative del racconto di Manuel.
Nella terza parte (BOOMERANG) la voce narrante è quella della figlia maggiore, Angelica, che prosegue la narrazione, anche da un punto di vista temporale.
Ciascun personaggio compie delle scelte, subisce quelle altrui e rivendica necessità, bisogni e aspirazioni. Manuel si sente abbandonato, non ha saputo accettare la situazione. Daniela si sente in colpa e Angelica si carica di responsabilità altrui.
Il romanzo è strutturato in modo originale, affronta un tema molto importante ed è scritto bene. Pone domande e svela situazioni a cui molto spesso chi assume una badante nemmeno pensa.
Ho trovato analogie con Lacci di Domenico Starnone per la costruzione del romanzo: tre personaggi/tre punti di vista.
Ho trovato somiglianze con L'acqua del lago non è mai dolce di Giulia Caminito, in particolare analogie tra le madri: forti, determinate, in grado di sostenere enormi sacrifici per permettere ai figli di studiare riconoscendo alla cultura la possibilità di determinare un riscatto sociale.
Il finale mi è parso un po' sbrigativo e pertanto non ho trovato il romanzo di Balzano all'altezza dei suoi precedenti: L'ultimo arrivato e Resto qui.
"Ragazzi miei, ho trovato lavoro in Italia. Devo andare, altrimenti non potrete più studiare e a momenti neanche mangiare come si deve. Io invece voglio che viviate con le stesse possibilità degli altri. Discutere con vostro padre è inutile, per questo sono andata via così. Non è un bel modo, lo so, ma se non mi fossi precipitata ne avrebbero preso un'altra. Comunque spero di stare via poco. Manderò un po' di soldi a papà e un po' a nonna Rosa, loro vi daranno quel che vi serve. Tu, Manuel, studia e abbi fiducia in me. Tu, Angelica, occupati di tuo padre e di tuo fratello e non volermi male per i sacrifici che ti chiederò. Vi voglio un bene che non so dire. A presto, Mamma."
★★★☆☆
🥃 amaro digestivo
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Moltissimi trentini non conoscono la protagonista, tranne forse gli appassionati di tennis ai tempi di Lea Pericoli o gli alpinisti che hanno frequentato il Gran Sasso o le Dolomiti negli anni '60.
Tuttavia "LA LIBERTÀ È TUTTO - Chiaretta Ramorino, tante vite in una" è un libro che vale la pena di leggere.
Autrice è Francesca Colesanti, nata a Firenze, vive a Roma, giornalista, traduttrice, ex istruttrice del CAI, amica della Ramorino.
Nella prefazione di Carlo Alberto Pinelli (regista, alpinista, ambientalista) scopriamo che Maria Chiara Ramorino - che ha novant'anni, è nata a Torino e vive a Roma - è stata una campionessa di tennis di livello nazionale, primatista regionale nel mezzofondo, stella del basket, alpinista, istruttrice di arrampicata, sciatrice da competizione, campionessa di orienteering e scienziata.
Laureata in fisica, ha lavorato per molti anni al Comitato nazionale per l'energia Nucleare (ora Enea) ed è stata per 14 anni nel team di ricerca italiano in Antartide. Un ghiacciaio porta il suo nome in suo onore. Andata in pensione a 67 anni, per 20 anni ha continuato a collaborare recandosi due volte a settimana al Centro ricerche Casaccia.
"La libertà è tutto" è una sorta di biografia ricostruita attraverso interviste alla protagonista, lettura degli appunti delle sue vecchie agendine e testimonianze di colleghi, amici e avversari sportivi (Lea Pericoli, Reinhold Messner ... ).
Partendo da questo collage di informazioni, la giornalista, nel suo racconto, ci trasmette perfettamente l'idea di chi era e chi è la Ramorino: una donna forte e determinata, che ha inseguito e raggiunto i suoi sogni. Ha avuto anche dolori e affrontato difficoltà, ma il bilancio della sua vita è nettamente in positivo. Maria Chiara ha messo la libertà davanti a tutto.
Una storia interessante, una vita da prendere ad esempio.
Il suo amore per lo sport all'aria aperta non può che essere da me condiviso. E i suoi successi un po' invidiati (in senso buono).
Un unico difetto: non ama leggere.
"L'unica cosa che ho sempre desiderato è stato poter fare quello che volevo: in una parola libertà. Con mia grande fortuna, l'ho realizzata."
★★★☆☆
🍞 pane
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"LA LIBERTÀ È TUTTO - Chiaretta Ramorino, tante vite in una" di Francesca Colesanti,
Edizioni del Gran Sasso, ha vinto il Premio Speciale Dolomiti UNESCO 2021 di Pordenonelegge.
Ho ascoltato il racconto "Cattedrale" (che dà il titolo all'omonima raccolta di Raymond Carver) su "Ad Alta voce", letto da Fausto Paravidino (voce molto particolare e adattissima al personaggio narrante). Tempo di ascolto: 45 minuti.
C’era questo cieco, un vecchio amico di mia moglie, che doveva arrivare per passare la notte da noi. Gli era appena morta la moglie. E così era andato a trovare i parenti di lei in Connecticut. Aveva chiamato mia moglie da casa loro. Avevano preso accordi. Sarebbe arrivato in treno, un viaggio di cinque ore, e mia moglie sarebbe andata a prenderlo alla stazione. Non l’aveva più visto da quando aveva lavorato per lui un’estate a Seattle, dieci anni prima. Comunque, lei e il cieco si erano tenuti in contatto. Registravano dei nastri e se li spedivano per posta avanti e indietro. Non è che fossi entusiasta di questa visita. Era un tizio che non conoscevo affatto. E il fatto che fosse cieco mi dava un po’ di fastidio. L’idea che avevo della cecità me l’ero fatta al cinema. Nei film i ciechi si muovono lentamente e non ridono mai. A volte sono accompagnati dai cani-guida. Insomma, avere un cieco per casa non è che fosse proprio il primo dei miei pensieri."
★★★☆☆
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🍷 vino rosso
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"Bartleby lo scrivano: una storia di Wall Street" è un racconto di Herman Melville scritto nel 1853.
L'ho ascoltato su "Ad alta voce".
Ho apprezzato molto la maestria dell'autore nel saper tenere alta la curiosità. Voce narrante è l'avvocato presso cui Bartleby lavora come scrivano.
Si tratta di un breve racconto. Si ascolta in due ore.
Molteplici sono le interpretazioni che la critica ha dato di quest'opera. Italo Calvino avrebbe dovuto dedicare a Bartleby l’ultima delle "Lezioni Americane di Italo Calvino", ma la morte dello scrittore ha impedito la stesura del capitolo. Quasi tutta la critica concorda si tratti di un esempio di resistenza passiva e di denuncia dell'alienazione da lavoro.
Volete che vi racconti qualcosa di Bartleby lo scrivano?
"Preferirei di no" (“I would prefer not to).... leggetelo! o, come ho fatto io, ascoltatelo e scoprirete il motivo di questa risposta.
★★★☆☆
🍞 pane
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Qui sotto una rivisitazione moderna del racconto
Tre autori e tre protagonisti.
A Roma, in un lussuoso appartamento, viene ritrovata morta la giovane e bellissima esperta d'arte Giada Colonna.
I tre personaggi coinvolti forniscono versioni diverse.
Giancarlo De Cataldo è la voce narrante di Davide Brandi, capace e ambizioso commissario che conduce le indagini; Maurizio de Giovanni di Marco Valerio Guerra, uomo d'affari ricco e spregiudicato, l'amante della vittima; Cristina Cassar Scalia di Anna Carla Santucci, moglie di Marco Valerio Guerra,
Le tre versioni messe insieme costituiranno tre piccoli passi per arrivare alla soluzione del caso.
Classico giallo da leggere in viaggio o al calduccio davanti ad un caminetto acceso. Lettura piacevole e non troppo impegnativa.
Le voci di Cristina Cassar Scalia e Giancarlo De Cataldo mi sono piaciute, meno Maurizio de Giovanni.
"Si deve diffidare delle intuizioni: possono creare suggestioni alle quali si resta avvinti a rischio del fallimento dell'indagine. Le intuizioni sono fuorvianti. Il mio mestiere richiede freddezza, distacco, professionalità. Eppure, nello stesso istante in cui qualcuno decide di sopprimere un essere umano, nel perimetro territoriale che delinea la competenza dell'ufficio a me assegnato, la comunità esige che io dia un volto e un nome all'assassino."
★★★☆☆
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