Quanto può essere difficile parlare della morte di un genitore? E quanto può essere terapeutico farlo? Mettere su carta i propri sentimenti, le proprie paure, i dubbi, ripercorrere con il pensiero ciò che è stato e non potrà più essere, guardare gli eventi da un altro punto di vista?
"Ricucendo con te" è il romanzo d'esordio di Valentina Barbiero, "liberamente tratto" dalla vita dell'autrice e della madre. Valentina di professione è assistente sociale. È a contatto con il dolore ogni giorno. La scrittura e il cucito sono per lei momenti di evasione.
Il romanzo parla di un dolore enorme: la perdita "violenta" della madre. La narrazione avviene in prima persona. Viviana è l'io narrante. Con la madre ha avuto un rapporto conflittuale. Si è sempre, inspiegabilmente, sentita rifiutata, non apprezzata. Dopo la sua morte, Viviana sente il bisogno di scavare nel passato per capire chi era veramente la madre, quale era la causa del suo profondo malessere.
Valentina mi ha detto che questo romanzo lo ha scritto per sé stessa, per chiudere un capitolo doloroso della sua vita, ma lo ha fatto anche "per tutti quei figli che non si sentono pensati, perché possano sbrigliarsi da legami familiari malati e riescano a costruire la propria identità credendo in loro stessi e nei loro sogni."
Vi confesso che quando ho letto le ultime pagine del romanzo e la postfazione dell'autrice mi sono emozionata ed ho pianto molto.
Anche nella mia vita c'è stato un evento drammatico e traumatico simile a quello vissuto da Viviana, un evento che ha riguardato una persona a me molto vicina.
Leggere questo memoir intimo e profondo, come è stato leggere "Fai bei sogni" di Massimo Gramellini, mi è servito a comprendere il gesto, a capire che chi rinuncia alla vita non lo fa perché chi gli è vicino non è "abbastanza", ma lo fa perché non riesce più a tollerare la profonda sofferenza che lo divora.
"Mia madre era stata ad un passo da realizzare tanti dei suoi sogni e poi non c'era riuscita. Non ha avuto la grinta necessaria per combattere per loro e si è lasciata travolgere dal malessere di sua madre e dalle imposizioni sociali di quegli anni."
"Mi sentivo salire le lacrime agli occhi pensando che, se mia madre mi avesse raccontato un po' della sua storia, forse avrei capito tante cose sostenendola, invece che darle addosso. Non potrò mai sapere perché non si sia fidata di me."
★★★☆☆
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Chi ama percorrere in bicicletta i passi di montagna non potrà non rimanere affascinato dal titolo del memoir di Giacomo Pellizzari "Tornanti e altri incantesimi".
Adoro le serpentine che portano ai passi alpini. Apprezzo la fatica che si fa per raggiungerli. I pensieri, mentre si sale, corrono liberi e la soddisfazione nel raggiungere la meta ripaga di ogni sforzo, cancella come per un incantesimo la stanchezza.
Quello di Giacomo, scrittore e giornalista, è il racconto di due viaggi paralleli: uno in bici, l'altro di riflessione sulla vita.
È il resoconto che Pellizzari fa dell'impresa compiuta l'anno scorso in bicicletta quando, in compagnia dell'amico Max, compie l'epica impresa di percorrere in soli due giorni un anello di 370 km e 12.000 metri di dislivello, Les 7 Majeurs, i sette principali passi delle Alpi Marittime tra Italia e Francia, tutti al di sopra dei 2.000 metri (Fauniera, Lombarda, Bonette, Vars, Izoard, Agnel, Sampeyre).
Innumerevoli gli aneddoti, le citazioni letterarie e musicali, le curiosità storiche e culturali.
Mentre scalerete con Giacomo e Max le sette grandi montagne del Tour de France e del Giro d'Italia vi sentirete personalmente coinvolti nell'impresa e seguirete i pensieri dell'autore che, con passione ed empatia, ricorderà altre epiche imprese, amicizie, episodi intimi della propria vita.
Ho letto "Tornanti e altri incantesimi" di Giacomo Pellizzari, Enrico Damiani editore, con calma, per gustarmelo, una salita al giorno.
Sono convinta che chi lo leggerà, quando arriverà all'ultima pagina, avrà voglia di provarci a salire Les 7 Majeurs, magari con tempi diversi, con più calma, oppure si porrà un obiettivo da raggiungere, un'impresa da compiere.
"Il grande giorno monterai in sella, con le prime luci dell'alba, sentirai quello schiocc gentile delle tacchette che si infilano nei pedali e inizierai a fare quella cosa che tanto ami."
Condivido in pieno l'amore di Pellizzari per la bicicletta, per le imprese faticose.
Dissento invece sull'affermazione di Giacomo: "Se mi trasferissi qui definitivamente, forse cesserebbe l'incantesimo. Questo posto diventerebbe casa. Il luogo meno incantato per eccellenza. Se queste valli, queste salite, questi ruscelli diventassero il mio paesaggio quotidiano, ciò che vedo ogni giorno aprendo la finestra, se pedalassi su queste strade tutti i giorni, non sarei più felice. Perchè si trasformerebbero in un punto di arrivo e non di fuga."
Io vivo in Trentino, terra di grandi salite e passi dolomitici. Vado in bici quasi ogni giorno e non fuggirei mai da qui, perchè l'incantesimo si rinnova ad ogni uscita.
"Si sceglie di andare in bicicletta verso l'alto per cercare qualcosa che più in basso non si trova. O, almeno, io ho iniziato per questo motivo. Non ho mai potuto concepire la bicicletta senza le salite. Odio la pianura, mi sembra una sorta di spinning o cyclette all'aria aperta, una perdita di tempo bella e buona, propedeutica al massimo a raggiungere la località dove inizia la salita. Al contrario, quando la strada si inclina, provo subito un senso di piacere, di soddisfazione. La strada tortuosa che sale mi conferma il sospetto che pedalare non sia tanto una questione di attività fisica, quanto piuttosto un viaggio mentale, in cui si esplorano, spesso per la prima volta, territori sconosciuti."
★★★★☆
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Avevo già apprezzato la scrittura poetica ed intima di Giacomo Pellizzari ne "Il ciclista curioso".