CRONACHE DA BERGAMO - PREMIO LETTERATURA D'IMPRESA

Le mie cronache letterarie hanno sempre una componente tragicomica, perché nonostante io cerchi di programmare le mie trasferte in modo maniacale con l'obiettivo di ottimizzare i tempi e fare un milione e mezzo di cose in ventiquattro ore, succede sempre qualcosa a sparigliare le carte in tavola. La trasferta a Bergamo era in programma fin da agosto e precisamente da quando la mia candidatura a giurato del premio letteratura d'impresa è stata accettata. Da quel momento, oltre alla lettura dei cinque libri finalisti, è iniziata la programmazione degli eventi da seguire nelle 24h che avevo a disposizione. Tra il pomeriggio di venerdì 18 e la mattina del 19, all'interno del Festival Città Impresa, erano previste le presentazioni dei libri finalisti. Ma vuoi andare a Bergamo e rinchiuderti al Centro Congressi senza mettere più fuori il naso? Certo che no! Anche perché di letteratura sono appassionata, ma di imprese ed economia proprio no. Quindi tra un incontro con Romano Prodi e una visitina a Bergamo alta cosa fai? Bergamo alta! A costo di rientrare in hotel a piedi di notte perché i mezzi pubblici hanno smesso di circolare. Tanto più se scopri che proprio in quella zona Antonio Manzini presenta il suo ultimo romanzo. E così è successo che questo fine settimana l'ho passato su e giù da Bergamo Bassa a Bergamo Alta e viceversa.
La partenza è stata ritardata dallo scoppio di un raffreddore. Giovedì pomeriggio, inspiegabilmente, è arrivato. Non lo avevo programmato ovviamente e mi ha mandato nel pallone, perché al giorno d'oggi se ti arrischi ad uscire di casa con il naso che cola il linciaggio è assicurato. Quindi l'unico modo per partire in sicurezza era fare un tampone e iniziare il più presto possibile a mettere in pratica il maggior numero di rimedi della nonna anti raffreddore. Ventiquattro ore dopo ero negativa e quasi guarita, quindi pronti , attenti, via! Si parte! Direzione Bergamo. La partenza ritardata ha comportato la perdita di due presentazioni letterarie, fortunatamente quelle relative ai due libri che mi erano piaciuti meno, ottimamente rimpiazzate dall'incontro con Antonio Manzini, brillante e affascinante come sempre. Un evento al di fuori del festival, organizzato al Circolino nello splendido centro storico.
Ma veniamo ora alla cronaca seria dell'evento. Il premio letteratura d'impresa che si è concluso ieri a Bergamo con la proclamazione del vincitore (Nina sull'argine) è stato organizzato da ItalyPost, in collaborazione con l'università di Bergamo, all'interno del Festival Città Impresa con lo scopo di favorire una crescita culturale e promuovere una moderna cultura d'impresa. Io ero uno dei circa duecento giurati chiamati a scegliere il migliore tra i cinque, divenuti poi quattro, finalisti. Per me è stata una scelta difficilissima tra i primi due classificati. I due che mi sono piaciuti meno (Cosa vuoi di più dalla vita? e Partecipare all’impresa globale) sono gli stessi due che sono piaciuti meno anche al resto dei giurati. Nina sull'argine e L'album dei sogni li ho trovati entrambi molto belli. Il primo è un romanzo autobiografico ambientato nel settore del pubblico impiego. Il secondo è una interessante saga familiare (quella della famiglia Panini), dove c'è moltissimo di reale e pochissimo di inventato. Purtroppo non era possibile sceglierne due. Per me, pur essendo molto diversi per stile, lunghezza, ambientazione, il giudizio sarebbe stato lo stesso: quattro stelle! Alla fine ho scelto L'album dei sogni con la giustificazione che mi è parso fosse più attinente con lo scopo del premio di promuovere una moderna cultura d'impresa. Ha vinto Nina sull'argine con 4 punti di vantaggio e io non posso che esserne felice. Scegliere tra i due non era facile. E' stato un po' come tirare la monetina.
Seguono le descrizioni "ufficiali" dei quattro libri finalisti. Pubblicherò presto le mie recensioni complete.
Nina sull’argine, di Veronica Galletta, edito da Minimum Fax Caterina è al suo primo incarico importante: ingegnere responsabile dei lavori per la costruzione dell'argine di Spina, piccolo insediamento dell'alta pianura padana. Giovane, in un ambiente di soli uomini, si confronta con difficoltà di ogni sorta: ostacoli tecnici, proteste degli ambientalisti, responsabilità per la sicurezza degli operai. Giorno dopo giorno, tutto diventa cantiere: la sua vita sentimentale, il rapporto con la Sicilia terra d'origine, il suo ruolo all'interno dell'ufficio. A volte si sente svanire nella nebbia, come se anche il tempo diventasse scivoloso e non si potesse opporre nulla alla forza del fiume in piena. Alla ricerca di un posto dove stare, la prima ad avere bisogno di un argine è lei stessa. È tentata di abbandonare, dorme poco e male. Ma, piano piano, l'anonima umanità che la circonda – geometri, assessori, gruisti, vedove di operai – acquista un volto. Così l'argine viene realizzato, in un movimento continuo di stagioni e paesaggi, fino al giorno del collaudo, quando Caterina, dopo una notte in cui fa i conti con tutti i suoi fantasmi, si congeda da quel mondo.
L’album dei sogni, di Luigi Garlando, edito da Mondadori C'è un momento cruciale, in questa storia. E c'è un "prima", e c'è un "dopo". Il momento cruciale è verso la fine della Seconda guerra mondiale, quando Olga, vedova di Antonio Panini, decide, insieme ai suoi otto figli, di acquistare l'edicola di corso Duomo, nel centro di Modena. Il "prima" è la storia di Antonio Panini, scampato miracolosamente alla Grande Guerra, combattuta in trincea; del suo amore infinito per Olga, detta "la Caserèina", perché figlia del casaro; e di come nel durissimo momento tra le due guerre i due abbiano costruito una famiglia tanto numerosa quanto movimentata. Fino alla sua morte prematura, a quarantaquattro anni, nel 1941. Il "dopo" è una grande saga famigliare, la storia di una delle più affascinanti avventure imprenditoriali italiane, fatta di spirito d'iniziativa, fiuto per gli affari, passione, lavoro, inventiva. Una storia che poteva avvenire solo nell'Italia che rinasce dopo la guerra, e nell'Emilia Romagna del boom economico, della Ferrari e della Maserati e delle prime lotte operaie, delle donne "di zigomo forte" e del calcio che diventa fenomeno popolare, e che poteva avere come protagonista solo una famiglia come quella dei Panini. Dal più vecchio, Giuseppe, al "piccolo" Franco Cosimo, passando per tutti gli altri fratelli e sorelle, in quegli anni crescono, imparano, si innamorano, fanno figli, si ammalano, guariscono, e soprattutto lavorano, e l'edicola di corso Duomo si ingrandisce, le nuove idee si susseguono, fino a quando non arriva "l'idea" che cambierà tutto, le figurine che hanno fatto sognare milioni di italiani.
Cosa vuoi di più dalla vita? Amaro Lucano: storia di un’Italia dal bicchiere mezzo pieno, di Francesco Vena e Emiliano Maria Capuccitti, edito da Rubbettino È la domanda delle domande. Lo slogan pubblicitario entrato "a gamba tesa" nelle case (e nella testa) degli italiani, fino a diventare un'espressione comune, un modo di dire che sopravvive negli anni e tra le generazioni. Con risposte sempre diverse. Perché tutti coltiviamo dei sogni, le nostre ambizioni, e poi ci confrontiamo con la realtà. Cosa vogliamo di più dalla vita? Questo libro racconta una storia, tessendone la trama attraverso una serie di altre storie, piccole e grandi. Storie di una Lucania di fine Ottocento, di un popolo e di un'invenzione, tramandata anch'essa tra generazioni di "amarocentrici". Un viaggio tra passato e presente, tra antiche tradizioni e tecnologie moderne, che è anche la storia di un bicchiere mezzo pieno in un Paese che non resterà mai vuoto. E oggi, cosa vogliamo di più dalla vita? In epoca di pandemia, anche isolati come api nelle proprie celle, abbiamo l'opportunità, se vogliamo, di ricostruire, mattone dopo mattone (proprio come 80 anni fa), un futuro all'altezza di reggere le conseguenze di quanto ci è piovuto addosso. Partendo dalla nostra mentalità, e dal lavoro. Allora, questo libro non è solo storia, o ambizione. È un contributo per ripensare l'Italia, facendone non solo il Paese più bello del mondo, ma anche il più forte. Cosa vogliamo di più dalla vita?
Partecipare all’impresa globale. Una ricerca antropologica in Automobili Lamborghini, di Fulvia D’Aloisio, edito da Franco Angeli Il volume colloca sotto la lente antropologica il famoso brand italiano di auto supersportive di lusso, Automobili Lamborghini, fondato da Ferruccio nel 1963 all'interno della motor valley emiliana. L'azienda, divenuta proprietà del Gruppo Volkswagen sotto la holding Audi nel 1998, ha conosciuto una crescita tale che, dalle poche centinaia di lavoratori della storica fabbrica, si contano oggi 1.400 dipendenti, con tre linee di produzione per due modelli di supersportcar e un nuovo super-SUV. Grazie a un accordo di ricerca triennale con Lamborghini, che ha autorizzato un'etnografia nei luoghi di lavoro, il progetto ha messo a fuoco taluni aspetti della strategia complessiva dell'azienda e dei suoi lavoratori. In particolare il sistema di relazioni industriali, ispirato al modello vigente nella casa madre Audi VW (mitbestimmung), costituisce un asse centrale dell'organizzazione complessiva del lavoro e, dal punto di vista della proprietà, un aspetto ineludibile della produzione. Il transito e il sincretismo di principi, competenze e valori partecipativi di matrice tedesca, la loro traduzione e applicazione nel contesto emiliano, disegnano uno scenario organizzativo originale, ma consentono anche di leggere il ruolo che il sito di Sant'Agata Bolognese ha assunto all'interno del network di produzione globale del colosso dell'auto, nonché il progressivo posizionamento nel quadro delle catene globali di valore del Gruppo VW. Lo studio etnografico svolto in azienda, poi esteso nella sede Audi di Ingolstadt e in quella di VW a Wolfsburg, il dialogo intessuto con lavoratori, sindacalisti e manager hanno concorso a realizzare, nel loro insieme, un percorso di ricerca peculiare, autonomo ma interagito con l'azienda, che si inserisce nel quadro dell'antropologia dell'impresa e del lavoro globalizzato.

0 commenti