"La bambina e il nazista" è un romanzo storico dietro al quale c'è un grande lavoro di documentazione a cura della co-autrice Scilla Bonfiglioli.
I fatti narrati sono realmente accaduti seppure siano stati romanzati nel racconto.
La storia della bambina è inventata, ma trae spunto da una vicenda vera, di cui c'è traccia nel processo di Norimberga. Un nazista viene scagionato da una bambina che dichiara di essere stata prigioniera nei campi di Sobibor e Majdanek e di essere stata salvata da un nazista. Il come e il perché sono frutto della fantasia dei due autori.
Tuttavia i fatti narrati di quanto accadeva nei campi di concentramento sono reali. Purtroppo la realtà supera la fantasia.
Il romanzo è scritto come un thriller, con ritmo incalzante, fluido, scorrevole, avvincente, nonostante l' orrore dei fatti narrati.
È ambientato in due campi di concentramento, Sobibor e Majdanek, tra i più feroci e spietati, in cui si attuava l'operazione Reinhard, il progetto di sterminio degli ebrei polacchi.
Ho trovato molto originale che la vicenda sia stata raccontata dal punto di vista del nazista. Ciò ha permesso un'indagine psicologica profonda del protagonista.
Un romanzo che mi ha lasciato molto. Vale davvero la pena di leggerlo. Scritto molto bene. Non si avvertono minimamente le "quattro mani".
Ho letto "La bambina e il nazista" per il Grande torneo letterario di Robinson.
Vedendola partire,Hans strinse i pugni. Avrebbe voluto che esistesse una giustizia, al di là degli uomini e degli eserciti, qualcosa di superiore che mandasse un fulmine ad abbattersi su di lei. Ma se c'era una cosa che aveva imparato a Majdanek e a Sobibor era che la giustizia non esisteva: chi aveva il braccio più forte poteva annientare creature innocenti senza che gli venisse chiesto di pagare alcun prezzo."
★★★★☆
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🥃 amaro digestivo
Milka Gozzer è la dimostrazione che ci sono molti scrittori bravi di cui difficilmente parla la stampa nazionale, semplicemente perché i loro scritti non sono pubblicati da case editrici famose che attuano metodi pubblicitari talvolta invadenti.
"Racconti di viaggio Racconti di vita" di Milka Gozzer, autopubblicato, nulla ha da invidiare al ben più pubblicizzato "Controvento" di Federico Pace.
Davvero un bel viaggio quello che ci fa fare Milka con la sua raccolta di racconti di viaggi in bicicletta in giro per il mondo!
Namibia, Kirghizistan, Bolivia, Parigi, Ghana, Giappone, Moldavia, Birmania, Taiwan sono solo alcuni dei luoghi di cui ci parla.
Tre storie sono frutto della fantasia, perchè, spiega l'autrice, "si può - si deve! - viaggiare anche con quella."
Il suo modo di raccontare posti, persone e fatti accaduti è sicuramente influenzato dalla professione giornalistica che ha svolto per tanti anni.
"Raccontare un viaggio è un problema di memoria. Porto sempre con me il quaderno degli appunti. Segno date, luoghi, distanze percorse, qualche impressione, notizie circa vitto e alloggio, scrivo con un taglio giornalistico e a tratti con una grafia incomprensibile - una pessima prosa che non si può neppure definire diario. Eppure quelle righe esteticamente brutte, rilette anche a distanza di anni, riescono a riattivare le immagini di un viaggio: come mettere singole lettere una accanto all'altra e vedere nascere una parola dotata di significato. Poi ci sono dettagli che ti rimangono nella memoria anche se sono passati anni."
Leggere questa raccolta, frutto di vent'anni di viaggi e di ricordi, vi strapperà più di un sorriso e vi farà anche riflettere molto.
I viaggi di Milka sono viaggi "estremi", lunghi e faticosi, in luoghi spesso inospitali e pericolosi: dal deserto della Namibia al Sani Pass in Lesotho, tanto per citarne un paio.
"Così trascorre la mia notte nel deserto, aspettando l'alba come non ho mai fatto, circondata da un branco di iene che ululano selvagge mentre continuano a rovistare tra le borse che abbiamo lasciato fuori dalla tenda.
Conservo ancora, come un cimelio, la borsa da bici con il segno delle unghie di una iena.
"Siamo gli unici bianchi sul tetto dell'Africa. Il pub è aperto, ma deserto. Non ci sono i gestori, ma c'è una donna gentile che ci cucina la cena e ci assegna una capanna a un centinaio di metri dal pub, dove riparare per la notte. Con il buio, la tormenta peggiora: il vento sibila in maniera assordante, piove ghiaccio e acqua. Nella capanna, gli spifferi sono così forti che spengono le candele."
Io che amo la bicicletta (ho anche gareggiato per qualche anno) non ho mai viaggiato in bici.
Mi è venuta voglia di provarci. Potrei cominciare con qualcosa di semplice. Un breve viaggio di alcuni giorni in Italia con una comoda gravel.
Milka afferma: "Ho la presunzione di credere che la bicicletta mi consenta di capire meglio un posto chiedendo in cambio un po' di fatica, che con l'esperienza diventa più sopportabile."
★★★★☆
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🍾 spumante
"Gli ultimi giorni di quiete" è un romanzo di Antonio Manzini, la cui scrittura trae spunto da un fatto realmente accaduto.
Manzini spiega di aver incontrato molti anni fa un signore sconosciuto che gli raccontò un fatto agghiacciante, accadutogli alcuni anni prima: l'incontro in treno con l'assassino di suo figlio, uscito di carcere dopo aver scontato una pena di pochi anni, nonostante il terribile crimine commesso.
Manzini rimase colpito da questa confessione e per anni immaginò quali potessero essere state le reazioni del padre, della madre e dello stesso assassino in seguito a quell'incontro. Ora, a distanza di anni dall'episodio, scrive "Gli ultimi giorni di quiete".
Nora, mentre sta tornando a casa in treno riconosce, seduto nello stesso vagone, Paolo Dainese, il ragazzo che sei anni prima, durante una rapina nel tabacchino di famiglia, ha ucciso Corrado, il suo unico figlio. Da quel giorno la sua vita e quella di suo marito non è stata più la stessa. Il loro rapporto si è svuotato. In comune ora hanno soltanto il dolore per la perdita del figlio.
Nora non si capacita di come possa essere accaduto che un assassino, dopo pochi anni dalla condanna, sia libero di circolare e di rifarsi una vita. Trova ingiusto che ciò che a suo figlio è stato impedito, sia, per legge, consentito al suo assassino.
Dal momento in cui è avvenuto l'incontro, Nora ha in mente soltanto di mettere in atto una sua giustizia personale.
Il marito Pasquale, dopo aver appreso dalla moglie la notizia, cerca anche lui un modo per risolvere la questione.
Tre sono i personaggi: Nora la madre di Corrado, Pasquale il padre di Corrado e Paolo l'assassino di Corrado.
Tre sono i punti di vista, tre le diverse reazioni alla vicenda.
Manzini è bravissimo a farci entrare in tutti e tre i personaggi, attraverso un profondo scavo psicologico. Tutti e tre hanno ragione, dal loro punto di vista.
La voce narrante si mescola ai pensieri in prima persona dei protagonisti, rendendo il lettore ancora più coinvolto.
Il personaggio che mi è piaciuto di più è Pasquale, perché alla fine riesce a svoltare, andare avanti.
Ho trovato Nora un personaggio tristissimo.
Paolo mi fa pena.
Tante le domande sollevate, nessuna risposta, perché non c'è una soluzione, un giusto punto di vista.
L'epilogo è inaspettato. Il romanzo è profondo, intenso, coinvolgente.
Antonio Manzini ex attore, scrittore conosciuto soprattutto per aver creato il personaggio di Rocco Schiavone, dimostra con questo romanzo di avere doti letterarie al di là del genere giallo.
"Un uomo è condannato per sempre, allora? Fine pena mai? A cosa servono i processi, le leggi, la galera? Lui aveva capito, aveva capito tutto. Gli errori commessi, la voglia di ricominciare, lasciarsi alle spalle quello che era una volta. Voltare pagina e provare ad essere un uomo migliore. Uno che lavora, che porta a casa uno stipendio, che magari fa anche un figlio che...
Un figlio.
Quello gli hai tolto. E nessuno glielo restituirà più. Quindi forse sì, fine pena mai per me, per la donna e anche per suo marito. Non c'era uscita né soluzione. Un solo gesto inchioda quattro persone per sempre, a quel giorno di marzo di quasi sei anni prima. La sua vita s'era fermata insieme a quella di Corrado Camplone, di sua madre e di suo padre."
★★★★☆
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🍷 vino rosso
"Vecchie conoscenze" di Antonio Manzini é il decimo romanzo con protagonista il vicequestore Rocco Schiavone.
Manzini ha creato un personaggio che è quasi impossibile non amare.
In questo episodio le indagini restano quasi in sottofondo. Sofia Martinet, professoressa in pensione, viene ritrovata morta nel suo appartamento, colpita alla testa con un oggetto pesante.
A mano a mano che l'indagine procede, anche le vicende umane di Schiavone e degli altri personaggi evolvono e scopriamo sempre di più di loro. Questa volta l'autore ha affrontato, tra le altre cose, anche il problema dell'emarginazione dei gay.
La presenza di Marina torna a farsi sentire frequentemente, segno che Rocco é infelice e non sta bene. Rocco é acciaccato, stanco, stufo di avere a che fare con la parte peggiore dell'umanità.
Gabriele, il ragazzo ex vicino di casa di Rocco che il vicequestore aveva ospitato in casa sua, con la madre, per un breve periodo, é partito per Milano. Rocco si sente solo. Gabriele è entrato nel suo cuore e ormai è quasi un figlio per lui.
"Non siamo amici, non lo siamo mai stati, e forse non lo saremo mai. Lavoriamo insieme. A volte ci avviciniamo, poi ci allontaniamo, come branchi di pesci in mezzo all'oceano. Ma la sapete la cosa strana? Mi siete rimasti solo voi. Per quanto sia dura e difficile ammetterlo, non ho altri che voi..."
Il finale è davvero sorprendente, inaspettato.
Molte vecchie conoscenze si faranno vive. Gran parte del passato di Rocco si chiarirà.
Manzini questa volta non mi ha delusa nemmeno un po'. "Vecchie conoscenze" non ha nulla a che vedere con la virata verso il genere "rosa" che si avvertiva in "Ah l'amore l'amore" e che io avevo un po' criticato.
"Lui lo sapeva, ci sono dei giorni in cui si percepisce che un pezzo della nostra vita se n'è andato, e seppelliamo la nostra faccia di una volta perchè non ci appartiene più."
★★★★☆
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🐣 uovo di Pasqua
Se cercate nei siti on line che vendono libri, "Figlia della cenere" di Ilaria Tuti viene inserito tra i gialli/thriller.
In realtà in questo quarto romanzo con protagonista Teresa Battaglia, il mistero sembra essere un pretesto per svelare di più sul passato della commissaria.
Teresa, più acciaccata che mai, si trova alle prese con un serial killer che già conosce.
Il racconto si svolge su tre piani temporali: oggi, 27 anni prima e nel IV secolo.
"Giacomo Mainardi è un assassino ed è anche un artista, non possiamo prescindere da questo, perchè lui è questo: l'immaginazione ha un ruolo centrale. Lasciamo che le sue fantasie vengano canalizzate in modi espressivi innocui. Credetemi se vi dico che è stato dimostrato che le fasi dell'omicidio seriale sono le stesse della creazione artistica. Aurorale, eccitamento, di seduzione, fase creativa, totemica...E infine 'depressiva', Albert. Significa che se gli togliamo le tessere e gli attrezzi, a Giacomo tornerà una gran voglia di uccidere, strappare un osso dal corpo,trasformarlo in sette piccoli pezzettini e ficcarli da qualche parte che non sia un mosaico. E troverà il modo di farlo, con o senza isolamento. Ci proverà ogni istante della sua vita, com'è vero che deve respirare per sopravvivere."
Aquileia ha un ruolo di rilievo nella vicenda.
Anche questa volta Ilaria Tuti ha ambientato il suo racconto nella sua terra, facendoci conoscere storie, aneddoti e cultura di quei luoghi.
Piano piano, grazie anche ai continui flashback, viene svelato il dolorosissimo passato della commissaria.
Teresa Battaglia è una profiler di altissimo livello, non solo per gli studi fatti, ma soprattutto per l’empatia che prova per gli autori dei delitti su cui indaga.
"Teresa Battaglia, invece, accettava la loro natura e così facendo la strappava al senso di repulsione. Lei riusciva a prendere tutto delle persone che aveva davanti, anche l'orrore più grande, come un dato di fatto. Ecco perchè era così brava nel suo lavoro. Non giudicava, non si scandalizzava. Cercava sempre di comprendere. Ma questo aveva un prezzo. Soffriva, con loro."
Ho faticato nella prima parte ad entrare nella storia, a causa della scrittura dell'autrice ancora più ricercata del solito che rende non troppo scorrevole la lettura.
A volte è necessario soffermarsi a riflettere sulle descrizioni. E i tre piani temporali non ammettono distrazioni. Perdere il filo è un attimo.
Ho faticato anche a digerire i particolari più macabri della vicenda.
Tuttavia il romanzo è scritto indubbiamente benissimo. Ilaria Tuti è una garanzia da questo punto di vista. La sua è una scrittura estremamente colta. E la trama è avvincente.
Questo romanzo ha lo stesso valore di "7/7/2007" di Antonio Manzini, in cui l'autore svela molto del passato di Rocco Schiavone.
Imperdibile quindi per chi ha letto i romanzi precedenti con la commissaria Battaglia. Forse un po' difficile comprendere e amare Teresa per i nuovi lettori che nulla conoscono della protagonista.
Chissà quali saranno le intenzioni di Ilaria Tuti! Se scrivere altri romanzi con Teresa ancora attiva, magari quale spalla dell'ispettore Massimo Marini o se farla uscire di scena definitivamente.
Ilaria Tuti nel 2018 ha raggiunto il successo con il thriller "Fiori sopra l'inferno" con protagonista la commissaria e profiler sessantenne Teresa Battaglia che torna ad indagare anche in "Ninfa dormiente", uscito l'anno successivo, e "Luce della notte" del 2021.
Nel 2020 ha pubblicato "Fiore di roccia", romanzo storico ambientato nella prima guerra mondiale con protagoniste le portatrici carniche. Un romanzo stupendo.
"La mia è una storia antica, scritta nelle ossa. Sono antiche le ceneri di cui sono figlia, ceneri da cui, troppe volte, sono rinata. E a tratti è un sollievo sapere che prima o poi la mia mente mi tradirà, che i ricordi sembreranno illusioni, racconti appartenenti a qualcun altro e non a me. È quasi un sollievo sapere che è giunto il momento di darmi una risposta, e darla soprattutto a chi ne ha più bisogno. Perché i miei giorni da commissario stanno per terminare. Eppure, nessun sollievo mi è concesso. Oggi il presente torna a scivolare verso il passato, come un piano inclinato che mi costringe a rotolare dentro un buco nero. Oggi capirò di dovere a me stessa, alla mia squadra, un ultimo atto, un ultimo scontro con la ferocia della verità. Perché oggi ascolterò un assassino, e l'assassino parlerà di me."
★★★★☆
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🍷 vino rosso
"Dolores Claiborne" è il primo libro di Stephen King che leggo. Ho molto apprezzato la sua capacità di scrivere un monologo femminile. Sicuramente non facile per un uomo. Molto credibile. Non si percepisce minimamente che l'autore è un maschio.
Dolores Claiborne è una donna non più giovane, sospettata di aver ucciso la sua ricca datrice di lavoro e che si trova a doversi discolpare davanti alla polizia. Dolores si difende raccontando la sua vita e confessa invece un altro omicidio avvenuto trent'anni prima durante un'eclissi totale.
Dolores è una donna di cultura modesta. Si sente dal linguaggio usato nel monologo, sgrammaticato e a tratti un po' volgare. All'inizio ho faticato un po', poi mi sono immersa nel romanzo e quello di Dolores è un personaggio davvero bello. Compie un terribile omicidio, tuttavia non si riesce a percepire la sua vendetta come malvagia, piuttosto come una forma sui generis di giustizia. Della serie: "Ben fatto, Dolores!"
Dal romanzo è stato tratto il film "L'ultima eclissi" di Taylor Hackford con Kathy Bates nei panni di Dolores.
Ho letto questo romanzo con il gruppo di lettura online di Immersioni letterarie.
"Io non ho ammazzato quella carogna di Vera Donovan e ora come ora voialtri potete pensare quello che vi pare, ma vi giuro che vi faccio cambiare idea. io non l'ho spinta giù per quella scala del cavolo. Va bene se mi volete sbattere dentro per l'altra storia, ma io non ho le mani sporche del sangue di quella stronza. E penso proprio che ne sarete convinti anche voi ora che avrò finito, Andy."
★★★★☆
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