scopri come valuto i libri
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"La Piccola Farmacia Letteraria", è la storia molto romanzata dell'omonima libreria di Firenze e della sua proprietaria.
Il libro è di facile lettura, scorrevole e divertentissimo, adotta il linguaggio dei giovani d'oggi (a volte un po' colorito) e mi ha suggerito una lunga lista di libri da leggere e rileggere. Il finale vi sorprenderà.
L'autrice, Elena Molini, è la titolare della Piccola Farmacia Letteraria. L'intuizione che le ha permesso di far decollare in pochissimo tempo la sua libreria è stata quella di consigliare l'acquisto dei libri attraverso dei "bugiardini", come se si trattasse di pillole curative.
Il libro è un inno al coraggio e all'intraprendenza, al tirar fuori i sogni dal cassetto e cercare di realizzarli.
Ed è un riconoscimento al potere curativo dei libri: per ogni momento della vita c'è un libro adatto. Un buon libro può curare l’anima.
In questo momento difficile per tutti a causa dell'emergenza sanitaria e per me doppiamente complicato dovendo anche ripensare in parte al mio futuro a causa della rinuncia forzata e per sempre allo sport agonistico, io ho scelto di leggere questo romanzo che dietro le righe tragicomiche nasconde un messaggio importante: i sogni, a volte, sono molto più vicini di quanto si possa immaginare, basta saperli riconoscere. E io sto cercando di riconoscere il mio prossimo sogno da realizzare.
"Sentivo dentro quel ruggito e quell'impellenza di dover scrivere dei quali mi aveva parlato Hank al tavolino di quel bar. Era una storia che doveva essere raccontata, anche se forse sarebbe risultata bislacca, inverosimile, folle. Ma era la mia, mi apparteneva, e se non l'avessi messa nero su bianco forse sarei realmente impazzita."
★★★★☆
Il libro è di facile lettura, scorrevole e divertentissimo, adotta il linguaggio dei giovani d'oggi (a volte un po' colorito) e mi ha suggerito una lunga lista di libri da leggere e rileggere. Il finale vi sorprenderà.
L'autrice, Elena Molini, è la titolare della Piccola Farmacia Letteraria. L'intuizione che le ha permesso di far decollare in pochissimo tempo la sua libreria è stata quella di consigliare l'acquisto dei libri attraverso dei "bugiardini", come se si trattasse di pillole curative.
Il libro è un inno al coraggio e all'intraprendenza, al tirar fuori i sogni dal cassetto e cercare di realizzarli.
Ed è un riconoscimento al potere curativo dei libri: per ogni momento della vita c'è un libro adatto. Un buon libro può curare l’anima.
In questo momento difficile per tutti a causa dell'emergenza sanitaria e per me doppiamente complicato dovendo anche ripensare in parte al mio futuro a causa della rinuncia forzata e per sempre allo sport agonistico, io ho scelto di leggere questo romanzo che dietro le righe tragicomiche nasconde un messaggio importante: i sogni, a volte, sono molto più vicini di quanto si possa immaginare, basta saperli riconoscere. E io sto cercando di riconoscere il mio prossimo sogno da realizzare.
"Sentivo dentro quel ruggito e quell'impellenza di dover scrivere dei quali mi aveva parlato Hank al tavolino di quel bar. Era una storia che doveva essere raccontata, anche se forse sarebbe risultata bislacca, inverosimile, folle. Ma era la mia, mi apparteneva, e se non l'avessi messa nero su bianco forse sarei realmente impazzita."
★★★★☆
🍨 mousse alla fragola
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Elena Molini racconta la sua storia a Tedx Reggio Emilia
"L'istante presente" di Guillaume Musso è avvincente come i romanzi di Dan Brown, irreale e onirico come 1Q84 di Haruki Murakami.
Arthur riceve in eredità dal padre un faro in riva all’oceano nelle cui acque suo nonno scomparve molti anni prima. Il padre raccomanda ad Arthur di non aprire la porta metallica della cantina. Nonostante la promessa fatta, il ragazzo apre la porta e precipita in un "presente" da cui sembra impossibile poter tornare indietro.
Non voglio aggiungere altro, perché qualunque anticipazione vi rovinerebbe la lettura. Il finale è decisamente sorprendente.
Non voglio aggiungere altro, perché qualunque anticipazione vi rovinerebbe la lettura. Il finale è decisamente sorprendente.
"Non avere paura, Arthur. Salta! Ti prendo al volo."
"Sei...sei sicuro, papa?". Ho cinque anni. [...] con un largo sorriso, mi lancio nel vuoto, pronto ad aggrapparmi al collo dell'uomo che più amo al mondo. Solo che all'ultimo istante, mio padre, Frank Costello, si scansa, fa volontariamente un passo indietro e io mi trovo lungo disteso sul pavimento. [...]
"Nella vita non devi fidarti di nessuno. Hai capito Arthur" [...] "Nemmeno di tuo padre!"
★★★★☆
★★★★☆
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"Cambiare l'acqua ai fiori" di Valerie Perrin è un romanzo talmente bello che mi risulta difficile recensirlo. Bisogna leggerlo per capire.
Vincitore nel 2018 del Prix Maison de la Presse, presieduto da Michel Bussi (l'autore di Ninfee nere), con la seguente motivazione: “un romanzo sensibile, un libro che vi porta dalle lacrime alle risate con personaggi divertenti e commoventi”.
Il romanzo alterna il racconto della vita di Violette, guardiana di un cimitero, con quello delle persone sepolte. Detto così potrebbe apparire un libro non attraente, invece la maestria della Perrin (fotografa di professione, compagna del regista Claude Lelouch) nel creare suspense ne fa un libro sentimentale, non sdolcinato, intenso ed avvincente. Vi farà sorridere e piangere. Vi affezionerete a Violette e una volta chiuso il libro vi verrà voglia di andare in un cimitero a cercarla tra le tombe mentre cambia l'acqua ai fiori.
"I miei vicini non temono niente. Non hanno preoccupazioni, non si innamorano, non si mangiano le unghie, non credono al caso, non fanno promesse né rumore, non hanno l’assistenza sanitaria, non piangono, non cercano le chiavi né gli occhiali né il telecomando né i figli né la felicità. […] I miei vicini sono morti.
L’unica differenza che c’è fra loro è il legno della bara: quercia, pino o mogano."
★★★★☆
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"Tre donne vivevano in un paesino.
La prima era cattiva, la seconda bugiarda e la terza egoista.
Il paese aveva un grazioso nome da giardino: Giverny.
La prima abitava in un grande mulino in riva a un ruscello, sul chemin du Roy; la seconda in una mansarda sopra la scuola, in rue Blanche-Hoschedé-Monet; la terza con la madre in una casetta di rue du Château-d’Eau dai muri scrostati.
Neanche avevano la stessa età. Proprio per niente. La prima aveva più di ottant’anni ed era vedova. O quasi. La seconda ne aveva trentasei e non aveva mai tradito il marito. Per il momento. La terza stava per compierne undici e tutti i ragazzi della scuola erano innamorati di lei. La prima si vestiva sempre di nero, la seconda si truccava per l’amante, la terza si faceva le trecce perché svolazzassero al vento.
Insomma, avete capito. Erano tre persone molto diverse. Eppure avevano qualcosa in comune, una specie di segreto: tutte e tre sognavano di andarsene. Sì, di lasciare la famosa Giverny, paese il cui solo nome faceva venire voglia a una quantità di gente di attraversare il mondo solo per farci due passi.
Sapete naturalmente perché: per via dei pittori impressionisti.
La prima, la più anziana, possedeva un grazioso quadro. La seconda era molto interessata agli artisti. La terza, la più giovane, sapeva dipingere bene. Anzi, benissimo.
Strano che volessero lasciare Giverny, vero? Tutte e tre pensavano che quel paesino fosse una prigione, un gran bel giardino ma con le inferriate. Come il parco di un manicomio. Un trompe-l’œil. Un quadro da cui è impossibile uscire. In realtà la terza, la più giovane, cercava un padre altrove. La seconda cercava l’amore. La prima, la più vecchia, sapeva cose sulle altre due.
Eppure una volta, per tredici giorni e solo per tredici giorni, le inferriate del parco si aprirono. Per l’esattezza, dal 13 al 25 maggio 2010. Le inferriate di Giverny si sollevarono per loro! Solo per loro, almeno così pensavano. C’era però una regola crudele: soltanto una poteva fuggire, le altre due dovevano morire. Era così.
Quei tredici giorni sfilarono via nelle loro vite come una parentesi. Troppo breve. Anche crudele. La parentesi si aprì il primo giorno con un omicidio e si chiuse l’ultimo giorno con un altro omicidio. Stranamente la polizia si interessò solo alla seconda donna, la più bella. La terza, la più innocente, dovette indagare per conto suo. La prima, la più discreta, poté tranquillamente tenere d’occhio tutti. E persino uccidere!
La faccenda durò tredici giorni. Il tempo di un’evasione.
Tre donne vivevano in un paesino.
La terza era quella con più talento, la seconda era la più furba e la prima era la più determinata.
Secondo voi, quale delle tre è riuscita a scappare?
La terza, la più giovane, si chiamava Fanette Morelle. La seconda si chiamava Stéphanie Dupain. La prima, la più vecchia, ero io."
Novecento è un monologo di Alessandro Baricco che racconta la storia di Danny Boodmann T. D. Lemon Novecento, "il più grande pianista che abbia mai suonato sull'Oceano", nato, vissuto e morto sul piroscafo Virginian senza mai metter piede sulla terraferma.
Io l'ho "letto con le orecchie" ed è stata un'esperienza entusiasmante.
Confesso che ero perplessa all'inizio, ma poi mi sono ricreduta.
Vale veramente la pena di provare ad ascoltare qualche audiolibro. Potete iniziare, come ho fatto io, con un romanzo breve o un racconto. Non ve ne pentirete!
★★★★☆
🍷 vino rosso
La vita di Lafanu Brown è legata al mese di febbraio: nella notte tra il 5 e 6 febbraio del 1859 accadde "l'incidente" che segnerà la sua vita. A febbraio del 1887 in Italia giunse la notizia che a Dogali, in Eritrea, cinquecento soldati italiani furono uccisi dalle truppe etiopi nel tentativo di respingere l'invasione coloniale. In quel momento Lafanu, afroamericana, si trovava a Roma e su di lei si riversò la rabbia della folla in quanto di colore, finché un uomo la portò in salvo. E Igiaba Scego ha scelto febbraio per pubblicare il suo romanzo "La linea del colore" che narra le vicende di Lafanu Brown, pittrice che a Roma a fine '800 ha trovato la libertà.
Nel racconto la scrittrice intreccia le vicende attuali di una ragazza che cerca di fuggire dalla Somalia.
Nel racconto la scrittrice intreccia le vicende attuali di una ragazza che cerca di fuggire dalla Somalia.
Romanzo che tratta i temi del colonialismo, del razzismo, dell'emigrazione e della violenza sulle donne.
Scritto benissimo, avvincente, profondo.
Curiosità: Lafanu Brown è un personaggio inventato, ma ispirato a due donne realmente esistite: la scultrice Edmonia Lewis e l’ostetrica Sarah Parker Remond, un’attivista abolizionista contro la schiavitù. Entrambe nere che viaggiarono molto e vissero in Italia. Per certi aspetti questo romanzo mi ricorda "La figlia della fortuna" e "Ritratto in seppia" di Isabel Allende. Al centro delle storie ci sono donne dall'infanzia infelice, orfane o abbandonate, di origine meticcia, capaci di riscatto sociale grazie a doti artistiche notevoli in epoche in cui le donne contavano nulla.
Igiaba Scego spiega: "Mi riempiva di orgoglio e anche di stupore sapere che due donne nere si fossero sentite libere proprio in Italia. Un paese che oggi invece si è incattivito verso chi considera "altro" e si è lasciato andare a un' infelicità che rende crudeli."
"Ma non capite, branco di cretini, che i veri patrioti sono gli abissini?"
Scritto benissimo, avvincente, profondo.
Curiosità: Lafanu Brown è un personaggio inventato, ma ispirato a due donne realmente esistite: la scultrice Edmonia Lewis e l’ostetrica Sarah Parker Remond, un’attivista abolizionista contro la schiavitù. Entrambe nere che viaggiarono molto e vissero in Italia. Per certi aspetti questo romanzo mi ricorda "La figlia della fortuna" e "Ritratto in seppia" di Isabel Allende. Al centro delle storie ci sono donne dall'infanzia infelice, orfane o abbandonate, di origine meticcia, capaci di riscatto sociale grazie a doti artistiche notevoli in epoche in cui le donne contavano nulla.
Igiaba Scego spiega: "Mi riempiva di orgoglio e anche di stupore sapere che due donne nere si fossero sentite libere proprio in Italia. Un paese che oggi invece si è incattivito verso chi considera "altro" e si è lasciato andare a un' infelicità che rende crudeli."
"Ma non capite, branco di cretini, che i veri patrioti sono gli abissini?"
★★★★☆
Nel giorno di San Valentino voglio consigliarvi quello che secondo me è il romanzo d'amore per eccellenza: "L'amore ai tempi del colera" di Gabriel Garcia Marquez, premio Nobel per la letteratura.
Io l'ho letto più volte e lo trovo bellissimo, pieno di sentimenti, di tristezza, ma anche di allegria. Scritto con quel tipico stile tragicomico degli autori sudamericani.
È un romanzo di facile e veloce lettura, molto scorrevole. La trama vi rapirà, non riuscirete a staccarvi dalle pagine del libro finché non scoprirete se dopo "cinquantun anni, nove mesi e 4 giorni" l'amore di Florentino Ariza per Fermina Daza sarà finalmente ricambiato.
Se non avete tempo per leggerlo, guardate il film, altrettanto bello, molto rispettoso della trama del libro e con degli interpreti di altissimo livello (Javier Bardem, Giovanna Mezzogiorno) e il contributo di Shakira alla colonna sonora .
“Uno sguardo casuale fu l’origine di un cataclisma d’amore che mezzo secolo dopo non era ancora terminato.”
★★★★☆
Paola Capriolo, autrice di "Marie e il signor Mahler", intreccia con maestria realtà e finzione, inserendo nei dialoghi pensieri e riflessioni tratti da scritti di Gustav Mahler o riportati da conversazioni realmente accadute. Il romanzo rivela inoltre una approfondita conoscenza della musica e della biografia del compositore.
Realtà:
Gustav Mahler nacque nel 1860 e trascorse l'infanzia nelle regioni della Boemia e Moravia, nell'allora impero austro ungarico, in una famiglia ebrea poverissima e numerosa. Molti fratelli morirono in età infantile di malattia. Grazie alle sue notevoli doti in ambito musicale fu ammesso al conservatorio. Diventò compositore e direttore d'orchestra a Vienna. Sposò una bellissima donna, molto più giovane di lui. La loro primogenita Marie morì dopo aver contratto la difterite. Emigrò in America e trascorse le sue ultime tre estati a Toblach (Dobbiaco). Di giorno si rinchiudeva in una baita nel bosco a comporre. Lì scrisse la sua nona sinfonia, il canto della terra e parte della decima sinfonia (rimasta incompiuta). Malato di cuore morì a Vienna nel 1911.
Fantasia:
a Dobbiaco dove è ospite della famiglia Egger, Mahler conosce Marie, nipote quattordicenne degli ospitanti, e tra loro nasce un rapporto di intensa amicizia e affetto.
Molto bella e commovente la storia della giovane Marie che grazie a Mahler si renderà conto di non essere obbligata ad accettare il destino per lei scelto dagli zii, secondo le tradizioni del luogo e scoprirà che esiste un mondo diverso, più libero, anche se magari meno bello, fuori Dobbiaco.
Attraverso gli occhi di Marie, la Capriolo ci aiuta a capire la personalità complessa di Mahler.
Leggere romanzi biografici è un grande stimolo per me ad approfondire la conoscenza del personaggio. Prima d'ora non avevo mai riflettuto sul significato delle opere del compositore. Il canto della terra, la Nona Sinfonia e i frammenti della Decima, scritti a Dobbiaco, nascono da una profonda meditazione di Mahler sulla vita, consapevole che per lui la morte è imminente.
Per comprendere un'opera che sia letteraria, musicale o artistica è importantissimo conoscere la vita dell'autore.
Questo romanzo mi ha scatenato molta curiosità anche nei confronti della moglie Alma, musicista e compositrice, figlia del pittore Schindler, amica e modella di Gustav Klimt. Nel libro viene descritta come una giovane capricciosa e viziata, insofferente nei confronti della vita solitaria imposta dal marito. Sicuramente per lei non fu una convivenza facile, col matrimonio rinunciò a comporre musica e alla vivace vita mondana a cui era abituata.
Curiosità: la casetta nel bosco in cui Mahler componeva esiste ancora ed è visitabile. Si trova all'interno del Parco zoologico di Dobbiaco.
"L'infanzia, anche quando nella realtà è stata un inferno, nel ricordo riesce sempre a mascherarsi da paradiso perduto, e tutti noi, per quanto disillusi, non facciamo altro che sognarne il ritorno."
"Non c'è modo di sfuggire alle proprie origini; e te lo dice un uomo che non ha patria. Uno che è tre volte straniero: come boemo in Austria, come austriaco in America, come ebreo in tutto il mondo."
Finalmente Isabel Allende con "Lungo petalo di mare" mette da parte il giallo-thriller e torna al romanzo storico, il genere che le riesce sicuramente meglio.
Moltissimi anni fa ho letto "La casa degli spiriti" e l'ho trovato un capolavoro. Dopo aver divorato tutte le sue opere (romanzi, libri per ragazzi, gialli e thriller) continuo a pensare che quello sia il suo miglior libro.
Leggendo "Lungo petalo di mare" si intuisce che alla base c'è un grande lavoro di preparazione e documentazione.
Come è stato per molti altri suoi romanzi, Isabel Allende narra fatti realmente accaduti attraverso una storia inventata.
In questo caso, Roser, giovane musicista, fugge dalla Spagna e dal dittatore Franco alla fine della guerra civile spagnola e si imbarca, fingendosi sposata col medico Victor Dalmau, sul piroscafo Winnipeg che la porterà in Cile. Lì si integrerà e riorganizzerà la sua vita, fino a quando dovrà nuovamente fuggire (questa volta in Venezuela) a causa del golpe del 1973.
La scrittrice torna quindi a parlarci del colpo di stato che ha fatto cadere il presidente Salvador Allende, un evento che ha profondamente segnato la sua vita e che l'ha costretta per moltissimi anni a restare lontana dal suo paese natale.
Il romanzo è scritto molto bene. Le vicende storiche si intrecciano con le vicende d'amore dei protagonisti. Il racconto è avvincente. Roser, forte, tenace e passionale è l'eroina di questa storia di integrazione, resilienza e amore.
Curiosità: il titolo del romanzo è un tributo a Pablo Neruda che in una sua poesia aveva definito il Cile un lungo petalo di mare, vino e neve. Come narrato nell'opera, nel 1939 il poeta, all'epoca diplomatico in Francia e Spagna, noleggiò il piroscafo Winnipeg e mise in salvo migliaia di profughi spagnoli portandoli in Cile.
Pablo Neruda proclamò che l'impresa del piroscafo Winnipeg era stato il suo “poema più bello”.
"se si vive abbastanza, i cerchi si chiudono".
★★★★☆
Questo mese è uscito l'ultimo romanzo giallo con protagonista il vicequestore (non chiamatelo commissario!) Rocco Schiavone: "Ah l'amore l'amore".
Già dal titolo si intuisce la mezza virata di Manzini dal genere giallo al romanzo quasi rosa: Antonio Scipioni inguaiato con tre donne; Ugo Casella innamorato di Eugenia e sempre imbranato negli approcci; Alberto Fumagalli, il medico legale e Michela Gambino, della scientifica, cominciano a capirsi; Gabriele, il quasi figlio adottivo di Rocco, innamorato di una compagna di classe; Sandra Buccellato, la giornalista, mostra un certo interesse per Rocco e Marina "si fa vedere" sempre meno. Caterina è lontana...
Più nervoso e aggressivo del solito, in pessime condizioni di salute, Rocco dal letto dell'ospedale in cui è ricoverato conduce un'indagine per omicidio, una "rottura del decimo livello!".
Si dimostrerà poi bravo a non farsi ingannare dalle apparenze, quando tutto faceva pensare a un errore umano, ad un caso di malasanità.
Si dimostrerà poi bravo a non farsi ingannare dalle apparenze, quando tutto faceva pensare a un errore umano, ad un caso di malasanità.
La trama è ben strutturata, i colpi di scena non mancano.
Manzini, a parer mio, in questo episodio si dilunga un po' troppo sulle vicende sentimentali e personali dei comprimari.
Manzini, a parer mio, in questo episodio si dilunga un po' troppo sulle vicende sentimentali e personali dei comprimari.
Il personaggio di Schiavone nei primi libri non mi piaceva molto, mi risultava indisponente, non lo capivo. Più leggevo di lui però, più mi affezionavo. Ora mi sembra quasi di conoscerlo personalmente. "7/7/2007" ci ha svelato molti "perché" del comportamento di Rocco e ora come si fa a non amarlo?
La serie tv ha contribuito a farlo conoscere anche ai non lettori.
La serie tv ha contribuito a farlo conoscere anche ai non lettori.
Valeria Solarino interpreta Sandra Buccellato nella serie tv
Curiosità: Evaristo Baschenis che ha dipinto la natura morta con liuto di cui si parla nel romanzo è un artista parente stretto dei Baschenis che affrescarono numerose chiese della Val Rendena e del Trentino, autori della famosa "danza macabra" a Pinzolo.
"Tutti abbiamo paura di essere abbandonati. Da un amico, dalla salute, dalla vita. Rocco temeva la fine dei rapporti: era il motivo per cui non riusciva a chiudere le porte, i cassetti e le ante dell'armadio, neanche il tappo del dentifricio. Qualsiasi gesto, per quanto banale, che puzzasse di definitivo gli metteva ansia."
★★★☆☆
Il libro di Marco Balzano ha sicuramente una copertina che attrae. Il lago di Resia con il campanile che emerge dall'acqua è una delle attrazioni turistiche dell’Alto Adige. Abitando in Trentino ci sono stata più volte. È un luogo incantevole.
Avevo già letto un’opera di Balzano: “L’ultimo arrivato” e apprezzato la sua scrittura.
“Resto qui” narra le vicende di alcune famiglie di Curon, evacuate dal paese per costruire una diga. Il romanzo racconta fatti realmente accaduti tra il 1920 e il 1950 attraverso la storia inventata, ma verosimile, di Trina. Lei è una donna di madrelingua tedesca, forte e caparbia, che si oppone al fascismo. Sopravvive con il marito disertore sulle montagne durante la guerra. Insieme si oppongono con determinazione alla costruzione della diga, senza lasciare nulla di intentato, nella speranza di salvare il paese, ma alla fine è costretta ad arrendersi.
È un romanzo scritto con un linguaggio semplice (quello dei protagonisti), diretto (senza metafore), ricco di spunti di riflessione e capace di far conoscere la storia della popolazione italiana di lingua tedesca che dal fascismo in poi si è ritrovata a lottare per difendere la propria cultura.
Consigliatissimo sia per i sentimenti che suscita che per approfondire la conoscenza della cultura altoatesina.
“[…] è stata una vita dura ma sopportabile perché anche i dolori più osceni come la tua scomparsa li ho vissuti insieme a tuo padre e non mi sono mai sentita sconfitta fino a voler dare la vita ai cani. Ci avessero domandato quel giorno qual era il nostro desiderio più grande, avremmo risposto che era continuare a vivere a Curon, in quel paese senza possibilità da dove i giovani erano scappati e tanti soldati non erano più tornati. Senza voler sapere niente del futuro e senza nessun’altra certezza. Solo restare."
Quando entro in libreria mi guardo attorno e mi lascio catturare da un libro. Di solito la prima cosa che mi colpisce è la copertina, poi do una rapida letta alla biografia dell'autore, ai suoi scritti precedenti e alle notizie sull'opera che si trovano nei risvolti.
Il libro di Fois "Pietro e Paolo" non avrebbe saputo attirare la mia attenzione. La copertina con la foto di due soldati mi fa pensare ad un romanzo storico che narra vicende di guerra. Tuttavia il destino ha voluto che per ben due volte mi si presentasse l'opportunità di leggerlo: la prima, a settembre dell'anno scorso, quando Marcello Fois ha presentato il suo libro al festival Intermittenze di Riva del Garda e la seconda, poco tempo fa, quando mio figlio ha avuto per compito delle vacanze la lettura di "Pietro e Paolo", per cui alla fine ho pensato che fosse destino acquistare quel libro e leggerlo.
Fin dalle prime pagine mi ha catturata. Si tratta di un libro breve con i capitoli numerati alla rovescia dal sedici allo zero, ma ricco di sentimenti e scritto benissimo. La guerra è un argomento marginale. La vera protagonista è l'amicizia tra Pietro e Paolo, due ragazzini di estrazione sociale opposta, con conoscenze diversissime: uno capace nello studio, l'altro abile con i lavori manuali. Entrambi intelligenti e capaci di trasmettersi a vicenda le proprie competenze. Una promessa e la guerra metteranno alla prova il loro rapporto.
Fin dalle prime pagine mi ha catturata. Si tratta di un libro breve con i capitoli numerati alla rovescia dal sedici allo zero, ma ricco di sentimenti e scritto benissimo. La guerra è un argomento marginale. La vera protagonista è l'amicizia tra Pietro e Paolo, due ragazzini di estrazione sociale opposta, con conoscenze diversissime: uno capace nello studio, l'altro abile con i lavori manuali. Entrambi intelligenti e capaci di trasmettersi a vicenda le proprie competenze. Una promessa e la guerra metteranno alla prova il loro rapporto.
“si guardavano crescere, presumevano il proprio vicendevole sviluppo osservandosi l’un l’altro. Ma senza concepire una fine, perché quelle erano estati infinite”
Di Paolo Giordano non avevo mai letto un libro prima d'ora, nemmeno il famosissimo “La solitudine dei numeri primi”. Forse mi ero fatta l'idea di storie tristi, senza speranza. Mio figlio doveva leggere per scuola “Divorare il cielo” e faticava a procedere nella lettura. Quindi, un po’ per stimolarlo potendone poi discutere insieme, un po’ perché Giordano è uno scrittore affermato e mi sembrava strano avesse tradito le aspettative con questo libro, mi sono incuriosita e l'ho letteralmente "divorato", trascinata nella storia da Teresa e Bern. Un libro che fa riflettere, commovente e con un finale inaspettato. Mi è piaciuto molto e alla fine l’ha apprezzato anche mio figlio. Lo consiglio.
“C'è sempre molto da conoscere nella vita di qualcun altro, Teresa. Non si finisce mai. E a volte sarebbe meglio non iniziare affatto.”
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