Una leggenda fa risalire l’origine della Giornata Internazionale delle donne alla volontà di commemorare una strage di operaie avvenuta l’8 marzo del 1908 in una fabbrica di abbigliamento di New York. Di questo avvenimento non c’è però alcuna conferma storica.
Un incendio analogo è realmente avvenuto a New York il 25 marzo del 1911 all’interno della Triangle Shirt Waist Company, uccidendo 146 lavoratori, perlopiù giovani donne.
La data dell’8 marzo venne ufficialmente riconosciuta dalle Nazioni Unite come giornata dedicata alla donna nel 1975.
La scelta della mimosa (fiore di stagione) per celebrare la giornata della donna risale invece al 1946, in quanto simbolo di forza e femminilità.
Nel 2004 il Parlamento italiano ha istituito il “Giorno del Ricordo”, da celebrare ogni anno il 10 febbraio a memoria di tutte le vittime delle Foibe e degli esuli istriano-dalmati che dopo la cessione di Istria, Fiume e Zara alla Jugoslavia, in seguito alla sconfitta dell’Italia nella Seconda Guerra Mondiale, furono costretti ad abbandonare le loro case.
Tra il 1943 e il 1945 i partigiani comunisti fedeli a Tito gettarono migliaia di italiani dentro le cavità naturali presenti nella regione carsica (le Foibe), alcuni addirittura ancora vivi.
Nelle Foibe furono ritrovati seimila corpi. Altrettanti furono gli italiani scomparsi o morti nei campi di concentramento e 350.000 gli esuli.
La data scelta è il 10 febbraio, giorno in cui, nel 1947, furono firmati i trattati di pace di Parigi, che assegnarono alla Jugoslavia l’Istria, il Quarnaro, la città di Zara con la sua provincia e la maggior parte della Venezia Giulia (precedentemente territori italiani).
Dell'esodo istriano parla il bellissimo romanzo di Stefano Zecchi "Quando ci batteva forte il cuore" che ho letto qualche anno fa.
"Immaginai che l’addio alla mia città fosse stato deciso all’improvviso nella notte del capodanno 1947.
Era stata organizzata una bella festa al teatro Ciscutti. La mamma mi aveva fatto indossare il mio vestito più elegante: giacca e pantaloni grigio chiaro, camicia bianca con i polsini di madreperla, cravattino azzurro e scarpe di vernice nera. Anche mio padre era vestito bene: non lo avevo mai visto così raffinato. La mamma era bellissima con il suo abito lungo blu e un ampio scialle a fiori. Poi c’erano il nonno, la nonna e Maria, tutta in bianco, come sempre.
Per l’occasione il teatro era stato trasformato: c’erano dei tavoli, era stato creato lo spazio per il bar e la pista da ballo. Le bandiere tricolori addobbavano ogni angolo della sala. La gente andava e veniva, si alzava dai tavoli per salutare le persone sedute altrove, come se s’incontrassero per la prima volta o dopo molto tempo. Era tutto un “addio”, “a presto”, “buona fortuna”. Mi era chiaro che qualcosa d’irreparabile, di decisivo si stesse compiendo."
«Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.»