Ringrazio Milka Gozzer per avermi dato l'opportunità di leggere il suo romanzo in anteprima (uscirà il 28 ottobre).
Quando l'ho ricevuto, senza nessuna intenzione di leggerlo in quel momento, ho iniziato a scorrere, per curiosità, le pagine sul mio e-reader.
Ora vi racconto come è andata.
La citazione iniziale di Alda Merini mi predispone bene. Non amo particolarmente la poesia, ma adoro la poetessa dei navigli.
Tre ore dopo sono ancora lì, incollata alle pagine.
Stefano gestisce l'unico bar di Capriata, paese di montanari che l'amministrazione locale cerca di trasformare in località turistica, sfruttando le terme (già meta asburgica di vacanza) e inventandosi una leggenda sul destino dei figli del re Fravort.
Viola, la sua pecora del Camerun, è sparita. Stefano è in ansia.
(Mi sembra di rivedermi nel giorno in cui la mia gatta Frida sparì. Non era tornata a casa a dormire la notte e il mattino dopo non si trovava. La mia ansia cresceva ogni minuto di più, pensando ad un incidente o ad un rapimento. Alla fine tutto si risolse per il meglio. Era rimasta chiusa in un garage.)
Non c'è solo il mistero della pecora scomparsa da risolvere. Bruno Corni, il taxista del paese, viene ucciso con un colpo sparato a bruciapelo. Sembra un'esecuzione. Eppure Bruno è una brava persona, limpido, un gran lavoratore. La sparizione di Viola e l'omicidio sono eventi legati?
Non solo giallo, però, in questo romanzo di Milka Gozzer che, come spiega l'autrice nella nota finale, è nato come racconto, per poi evolvere in romanzo breve e infine in un romanzo giallo.
L'idea di scriverlo le è venuta durante una escursione in montagna.
Mi piace molto la sua scrittura.
Evoca suoni, odori, colori attraverso l'uso di similitudini e metafore.
Le descrizioni dei luoghi e degli eventi sono accurate. Viene voglia di visitare i posti in cui accadono i fatti.
Al contrario i personaggi sono (volutamente?) sfumati. Resta la curiosità di saperne di più di loro.
Il sottotitolo "I delitti di Capriata" lascia intendere che ci sarà un seguito. I personaggi avranno modo di delinearsi meglio ed evolvere.
Anche cultura, tradizioni, antichi pregiudizi trapelano tra le righe del romanzo.
Molti i riferimenti a luoghi e fatti realmente accaduti: l'ospedale psichiatrico di Pergine chiuso nel 2002, le difficoltà attuali che incontrano i pastori nella transumanza, la tempesta Vaia che nel 2018 distrusse 42 milioni di alberi, la banda dei mocheni che alcuni anni fa terrorizzò l'omonima valle, le bellezze naturali della stessa "valle incantata", della zona della Panarotta, del monte Fravort con splendide malghe, sentieri e boschi.
Milka Gozzer, romanziera trentina, giornalista professionista, è autrice di numerosi reportage di viaggi e ha pubblicato quattro libri: "Le radici del muschio", "MeL", "Racconti di viaggio Racconti di vita", "Il gatto di Depero".
Qui potete leggere l'intervista all'autrice.
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Milka Gozzer è la dimostrazione che ci sono molti scrittori bravi di cui difficilmente parla la stampa nazionale, semplicemente perché i loro scritti non sono pubblicati da case editrici famose che attuano metodi pubblicitari talvolta invadenti.
"Racconti di viaggio Racconti di vita" di Milka Gozzer, autopubblicato, nulla ha da invidiare al ben più pubblicizzato "Controvento" di Federico Pace.
Davvero un bel viaggio quello che ci fa fare Milka con la sua raccolta di racconti di viaggi in bicicletta in giro per il mondo!
Namibia, Kirghizistan, Bolivia, Parigi, Ghana, Giappone, Moldavia, Birmania, Taiwan sono solo alcuni dei luoghi di cui ci parla.
Tre storie sono frutto della fantasia, perchè, spiega l'autrice, "si può - si deve! - viaggiare anche con quella."
Il suo modo di raccontare posti, persone e fatti accaduti è sicuramente influenzato dalla professione giornalistica che ha svolto per tanti anni.
"Raccontare un viaggio è un problema di memoria. Porto sempre con me il quaderno degli appunti. Segno date, luoghi, distanze percorse, qualche impressione, notizie circa vitto e alloggio, scrivo con un taglio giornalistico e a tratti con una grafia incomprensibile - una pessima prosa che non si può neppure definire diario. Eppure quelle righe esteticamente brutte, rilette anche a distanza di anni, riescono a riattivare le immagini di un viaggio: come mettere singole lettere una accanto all'altra e vedere nascere una parola dotata di significato. Poi ci sono dettagli che ti rimangono nella memoria anche se sono passati anni."
Leggere questa raccolta, frutto di vent'anni di viaggi e di ricordi, vi strapperà più di un sorriso e vi farà anche riflettere molto.
I viaggi di Milka sono viaggi "estremi", lunghi e faticosi, in luoghi spesso inospitali e pericolosi: dal deserto della Namibia al Sani Pass in Lesotho, tanto per citarne un paio.
"Così trascorre la mia notte nel deserto, aspettando l'alba come non ho mai fatto, circondata da un branco di iene che ululano selvagge mentre continuano a rovistare tra le borse che abbiamo lasciato fuori dalla tenda.
Conservo ancora, come un cimelio, la borsa da bici con il segno delle unghie di una iena.
"Siamo gli unici bianchi sul tetto dell'Africa. Il pub è aperto, ma deserto. Non ci sono i gestori, ma c'è una donna gentile che ci cucina la cena e ci assegna una capanna a un centinaio di metri dal pub, dove riparare per la notte. Con il buio, la tormenta peggiora: il vento sibila in maniera assordante, piove ghiaccio e acqua. Nella capanna, gli spifferi sono così forti che spengono le candele."
Io che amo la bicicletta (ho anche gareggiato per qualche anno) non ho mai viaggiato in bici.
Mi è venuta voglia di provarci. Potrei cominciare con qualcosa di semplice. Un breve viaggio di alcuni giorni in Italia con una comoda gravel.
Milka afferma: "Ho la presunzione di credere che la bicicletta mi consenta di capire meglio un posto chiedendo in cambio un po' di fatica, che con l'esperienza diventa più sopportabile."
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Leggi qui l'intervista a Milka Gozzer.
L'ultimo romanzo giallo di Cristina Cassar Scalia con protagonista Giovanna Guarrasi, detta Vanina, non ha deluso le mie aspettative. Questa volta la vicequestore che opera a Catania si è trovata alle prese con un omicidio avvenuto nel sotterraneo di un locale pubblico. A rendere le indagini più complicate due fattori: la vittima è una brava persona e risulta pertanto difficile trovare un movente per il delitto; Vanina da qualche settimana è sotto scorta.
Catania, Palermo e l'Etna sono i co-protagonisti del romanzo, uscito poche settimane fa.
Sapori, colori e profumi della Sicilia affiorano dalle pagine.
Ambientato nel 2016, pre pandemia, a pochi mesi di distanza dalla precedente indagine.
Oltre alle vicende sentimentali di Vanina e ai legami di amicizia, tratta
i rapporti dei ragazzi di oggi con la droga e il problema dell'eroina negli anni '80.
Metterla sotto scorta è servito all'autrice per indagare più intimamente gli affetti familiari, le amicizie e l'amore di Paolo Malfitano, l'ex fidanzato magistrato che Vanina ha salvato da un agguato mafioso e che vive sotto scorta da anni.
Il commissario in pensione Patanè ha anche in questa indagine un ruolo di primissimo piano.
E' un personaggio comprimario di Vanina: stesso intuito, stessa capacità tecnica.
Ha nei confronti della vicequestore un atteggiamento paterno.
L'autrice, come Vanina, ama i vecchi film e paragona spesso i personaggi del romanzo ad attori.
Sicuramente ama anche l'ottima cucina siciliana. Il romanzo è zeppo di riferimenti culinari che fanno venire l'acquolina in bocca. Bettina, la vicina di casa di Vanina, cucina molti piatti che amava preparare la nonna dell'autrice.
Curiosità: in un'intervista l'autrice ha dichiarato che il paese di
Aci Bonaccorsi ha ispirato la frazione "inventata" di Santo Stefano. Il bar di Bella è il vero bar Alfio.
Cristina Cassar Scalia è originaria di Noto. Medico, vive e lavora a Catania. Ha raggiunto il successo con i romanzi Sabbia nera, La logica della lampara, La Salita dei Saponari, tutti con protagonista il vicequestore Vanina Guarrasi.
E' in progetto la realizzazione di una serie tv tratta dai romanzi con protagonista Vanina.
Sicuramente a questo romanzo ne seguiranno altri. Giovanna Guarrasi è una sorta di versione femminile di Salvo Montalbano.
"Disse che la coscienza umana ha una soglia, che varia in maniera inversamente proporzionale all'entità dei pesi che contiene. Se uno ci vuole convivere serenamente, deve sgombrarla da quelli più grossi. A costo di scavare nella polvere e di smuoverne tanta da andare a disturbare le coscienze altrui."
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Chi ama percorrere in bicicletta i passi di montagna non potrà non rimanere affascinato dal titolo del memoir di Giacomo Pellizzari "Tornanti e altri incantesimi".
Adoro le serpentine che portano ai passi alpini. Apprezzo la fatica che si fa per raggiungerli. I pensieri, mentre si sale, corrono liberi e la soddisfazione nel raggiungere la meta ripaga di ogni sforzo, cancella come per un incantesimo la stanchezza.
Quello di Giacomo, scrittore e giornalista, è il racconto di due viaggi paralleli: uno in bici, l'altro di riflessione sulla vita.
È il resoconto che Pellizzari fa dell'impresa compiuta l'anno scorso in bicicletta quando, in compagnia dell'amico Max, compie l'epica impresa di percorrere in soli due giorni un anello di 370 km e 12.000 metri di dislivello, Les 7 Majeurs, i sette principali passi delle Alpi Marittime tra Italia e Francia, tutti al di sopra dei 2.000 metri (Fauniera, Lombarda, Bonette, Vars, Izoard, Agnel, Sampeyre).
Innumerevoli gli aneddoti, le citazioni letterarie e musicali, le curiosità storiche e culturali.
Mentre scalerete con Giacomo e Max le sette grandi montagne del Tour de France e del Giro d'Italia vi sentirete personalmente coinvolti nell'impresa e seguirete i pensieri dell'autore che, con passione ed empatia, ricorderà altre epiche imprese, amicizie, episodi intimi della propria vita.
Ho letto "Tornanti e altri incantesimi" di Giacomo Pellizzari, Enrico Damiani editore, con calma, per gustarmelo, una salita al giorno.
Sono convinta che chi lo leggerà, quando arriverà all'ultima pagina, avrà voglia di provarci a salire Les 7 Majeurs, magari con tempi diversi, con più calma, oppure si porrà un obiettivo da raggiungere, un'impresa da compiere.
"Il grande giorno monterai in sella, con le prime luci dell'alba, sentirai quello schiocc gentile delle tacchette che si infilano nei pedali e inizierai a fare quella cosa che tanto ami."
Condivido in pieno l'amore di Pellizzari per la bicicletta, per le imprese faticose.
Dissento invece sull'affermazione di Giacomo: "Se mi trasferissi qui definitivamente, forse cesserebbe l'incantesimo. Questo posto diventerebbe casa. Il luogo meno incantato per eccellenza. Se queste valli, queste salite, questi ruscelli diventassero il mio paesaggio quotidiano, ciò che vedo ogni giorno aprendo la finestra, se pedalassi su queste strade tutti i giorni, non sarei più felice. Perchè si trasformerebbero in un punto di arrivo e non di fuga."
Io vivo in Trentino, terra di grandi salite e passi dolomitici. Vado in bici quasi ogni giorno e non fuggirei mai da qui, perchè l'incantesimo si rinnova ad ogni uscita.
"Si sceglie di andare in bicicletta verso l'alto per cercare qualcosa che più in basso non si trova. O, almeno, io ho iniziato per questo motivo. Non ho mai potuto concepire la bicicletta senza le salite. Odio la pianura, mi sembra una sorta di spinning o cyclette all'aria aperta, una perdita di tempo bella e buona, propedeutica al massimo a raggiungere la località dove inizia la salita. Al contrario, quando la strada si inclina, provo subito un senso di piacere, di soddisfazione. La strada tortuosa che sale mi conferma il sospetto che pedalare non sia tanto una questione di attività fisica, quanto piuttosto un viaggio mentale, in cui si esplorano, spesso per la prima volta, territori sconosciuti."
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Avevo già apprezzato la scrittura poetica ed intima di Giacomo Pellizzari ne "Il ciclista curioso".
"Il metodo Catalanotti", pubblicato nel 2018, è un romanzo giallo di Andrea Camilleri con protagonista il Commissario Salvo Montalbano. Non l'ultimo scritto dall'autore siciliano. L'ultimo episodio infatti prima di "Riccardino" che chiude definitivamente la serie con il commissario, è "Il cuoco dell'Alcyon". Tuttavia l'impressione è che questo sia in realtà il vero finale di Montalbano. E se leggerete il romanzo o guarderete l'ultimo episodio in tv (che ha creato molto dibattito tra gli spettatori) capirete ciò che intendo. Io voglio considerarlo il vero finale di questa serie. Riccardino non mi è piaciuto, non chiude degnamente la serie e "Il cuoco dell'Alcyon" potrebbe essere riferito ad un'indagine precedente, ma raccontato successivamente dall'autore.
Penso che Camilleri in questo romanzo abbia descritto Montalbano in modo molto intimo, come mai fatto prima. Il Commissario appare dibattuto e per la prima volta nella sua vita guarda al futuro senza anteporre la professione ai sentimenti. Nell'episodio televisivo è molto più difficile cogliere queste sfumature.
Il "giallo" da risolvere riguarda due cadaveri ritrovati a poca distanza e quasi in contemporanea. Il primo rinvenuto casualmente da Mimì Augello in un appartamento disabitato e l'altro, quello di Carmelo Catalanotti, usuraio, regista teatrale, ideatore di un metodo di selezione degli attori molto particolare, ritrovato dalla cameriera, assassinato nel suo letto.
Salvo Montalbano sarà aiutato nell'indagine dalla giovane e bella capo della scientifica, appena giunta in Sicilia. Il Commissario si innamorerà di lei con una passione e un desiderio che non provava da anni e che credeva non sarebbe più accaduto.
Per la prima volta Camilleri colloca il caso da risolvere nel mondo del teatro che tanto amava. In un'intervista rilasciata al momento della pubblicazione, Camilleri ha dichiarato trattarsi di un omaggio a questa sua passione, suggerito dalla moglie.
Stilisticamente ho trovato questo episodio diverso dai precedenti. Ricco di citazioni poetiche e letterarie. Un Camilleri molto più sentimentale.
Un suggerimento per chi ha guardato l'episodio in tv senza aver letto il romanzo: leggetelo! Ne vale veramente la pena.
"Commissario, cerco di spiegarle. Carmelo aveva la straordinaria capacità di tirare fuori da ognuno di noi tutto, dico tutto, quello che avevamo dentro. E adoperarlo in funzione teatrale. Mi creda, era come una cura, dopo ogni spettacolo io e il mio compagno avevamo voglia di correre, tanto ci sentivamo... come dire, liberati, sciolti. Il prezzo pagato era altissimo e sconvolgente, certo alcuni dei miei colleghi non si sono sentiti di affrontarlo. Non tutti hanno questa voglia di confrontarsi con le loro verità più nascoste."
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"La disciplina" di Penelope di Gianrico Carofiglio si legge in un pomeriggio. Nel mio caso, piovoso. Scorre in modo veloce, avvincente e piacevole.
Carofiglio crea personaggi a cui ci si affeziona subito. In questo caso Penelope, ex pubblico ministero, allontanata dalla magistratura per un grave "errore" commesso.
Un giorno Penelope viene contattata da un uomo che è stato indagato per l’omicidio della moglie. Il procedimento si è concluso con l’archiviazione a causa della mancanza di elementi sufficienti per procedere contro di lui, ma non ha cancellato i sospetti. L’uomo le chiede di indagare per permettergli di recuperare l’onore perduto e per sapere cosa rispondere alla sua bambina quando, diventata grande, chiederà della madre.
Inizia così un'avvincente indagine ambientata a Milano e raccontata da Carofiglio in modo semplice, dimostrando ancora una volta la notevole capacità nel saper rendere comprensibili concetti giuridici complessi.
Piacerà molto ai lettori questa nuova eroina, fragile e forte al tempo stesso. Estremamente empatica, in buona forma grazie all'esercizio fisico e all'alimentazione salutista, abusa però di fumo, alcool e farmaci.
Sono sicura che ritroveremo Penelope in altre indagini.
"spesso cerchiamo di giustificare i nostri comportamenti attribuendo le colpe agli altri o alla nostra natura, o al modo in cui vanno - andrebbero - inevitabilmente le cose della vita; affermiamo l'ineluttabilità di certe scelte o di certi comportamenti. Ma spesso certi comportamenti, e i mille modi in cui li giustifichiamo, sono solo sintomo di mediocrità morale.
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