L'idea di scrivere "Elogio del gregario" è venuta a Marco Pastonesi un giorno in cui, a causa di una foratura, si è imbattuto per caso nella bottega da ciclista dei fratelli Renzo, Valeriano e Mario Zanazzi, ex gregari professionisti ai tempi di Coppi e Bartali. Mentre riparava la gomma bucata, Valeriano raccontava a Marco episodi della passata vita da gregario.
Ex ciclista ed ex giocatore di rugby di serie A, l'autore è stato giornalista della «Gazzetta dello Sport» per moltissimi anni e da cronista ha seguito dodici Giri d’Italia, nove Tour de France e un’Olimpiade, ma anche due Giri del Ruanda e uno del Burkina Faso.
Ai suoi sport preferiti ha dedicato numerosissimi libri. L'ultimo è "Elogio del gregario".
Il titolo è eloquente. Si tratta di un chiaro riconoscimento al gregario.
In realtà gli elogi sono molti, come anche i gregari, a cui Marco Pastonesi dedica racconti e aneddoti con lo scopo di riconoscere l'importanza del ruolo del gregario che, quasi sempre, sgobba per il capitano tutta la gara e appena dopo il traguardo nessuno ricorda più.
Il primo racconto è dedicato proprio ai fratelli Zanazzi, a cui ne fanno seguito molti altri.
Una raccolta molto interessante, imperdibile per gli amanti del ciclismo, soprattutto del passato.
Curiosità: Marco Pastonesi fa parte del Comitato scientifico della Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza.
La Biblioteca della bicicletta è nata nel 2012 da un’idea di Fernanda Pessolano e un progetto dell’associazione Ti con Zero, è un luogo di raccolta di quello che riguarda la bicicletta in tutte le sue forme e i suoi modi, ma è anche un luogo di lettura e studio aperto a tutti.
La Biblioteca della bicicletta Lucos Cozza possiede circa 2300 titoli, tra testi, riviste, cd e dvd, mappe e itinerari.
"Il mio gregario ideale è un centauro, metà uomo (o donna) e metà bici, e deve avere una carriera pulita, linda, immacolata da vittorie. In due parole: vittorie zero. Perché la vittoria è una sirena al cui canto bisogna saper resistere con lentezza, se non fermezza. Perché la vittoria è una cattiva consigliera, ingannevole ed effimera. [...] La sconfitta, nel ciclismo, non esiste, al massimo la si sfiora quando si abbandona la gara. Il mio gregario ideale dà tutto prima. Così quell’undici novembre 2018 ci rimasi da bestia. Giuda, pensai, non avrebbe potuto fare di peggio. Un colpo sotto la cintura, una pugnalata alle spalle. Un tradimento bello e buono, uno strappo alle regole. Un salto mortale, un peccato capitale. Dopo dieci anni di esemplare professionismo – zero vittorie in carriera –, proprio nell’ultima corsa da stipendiato, in piena zona Cesarini, ormai a tempo scaduto, Alan Marangoni cedette alla tentazione e fece quello che non aveva mai fatto e che non avrebbe mai dovuto fare. Vincere. [...]
Nel 2018, l’anno dell’addio alle corse da immacolato (Nippo-Vini Fantini-Europa Ovini), 8761,06 km in settantuno giorni di corsa, Marangoni perse la testa. Dopo aver messo in crisi mistica chi credeva in lui con due settimi posti (seconda tappa e classifica finale) nella Hammer Stavanger, peccò con un quarto posto nella nona e ultima tappa del Tour of Hainan, finché l’ultimo giorno con il dorsale cedette anche al comune senso del pudore e osò vincere il Tour – ma si tratta della corsa di un giorno, anche se stavolta nefasto – de Okinawa. Perdipiù aggravando la tragica situazione festeggiandosi, osannandosi, celebrandosi, felicitandosi, battendosi ripetutamente il pugno destro sul cuore. Non mi rimase altro che processarlo per direttissima ed emettere il duro verdetto: espulso. Espulso e squalificato a vita dalla mia squadra. Di cui lui, Alan Marangoni, romagnolo di Cotignola, era – ma tu pensa – il capitano morale, il leader naturale, il comandante esemplare.
E per rispetto verso chi era rimasto ai patti, a nulla sarebbero mai valsi inevitabili ripensamenti e tardivi pentimenti. Amen.
Ognuno ha la sua squadra. La Bianchi o la Legnano, la Salvarani o la Molteni, la Mercatone o la Mapei, la Tenax o la Flaminia, la Zalf o la Colpack. La mia squadra è trasversale e universale, indipendente e rivoluzionaria, composta esclusivamente da corridori senza vittorie. Ogni anno si arricchisce di nuove illusioni e si valorizza di nuove delusioni, si fortifica di eterni secondi e terzi mondi, si moltiplica di maglie nere e lanterne rosse, puntando e lanciando gli atleti regolari e completi, cioè quelli che – come si recita nel mondo del ciclismo – vanno piano dappertutto."
★★★☆☆
🍞 pane
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I gialli di Cristina Cassar Scalia sono sempre piacevoli. L'autrice siciliana scrive bene, sa tenere alta l'attenzione e con la vicequestore Vanina Guarrasi ha creato un personaggio molto interessante.
Negli ultimi anni sono state molto apprezzate "le serie gialle" come il commissario Montalbano, Rocco Schiavone, Saverio Lamanna, i vecchietti del Barlume, Carlo Monterossi, tutte trasformate in serie tv. Presto dovrebbe diventarlo anche la storia di Vanina.
Pagina dopo pagina, episodio dopo episodio, il personaggio principale si fa conoscere meglio, evolve ed i lettori si affezionano a lui.
È così anche per Vanina. Noi lettori amiamo il suo intuito e il suo decisionismo sul lavoro e comprendiamo la sua indecisione in campo amoroso. E molti di noi invidiano a Vanina la fortuna, vivendo in Sicilia, di poter gustare squisiti piatti siciliani che l'autrice cita in abbondanza con dovizia di succulenti particolari.
Nell'ultimo romanzo "Il talento del cappellano", il quinto della serie, Vanina si trova, in periodo natalizio, ad indagare su un duplice delitto: due assassinati, a distanza di poche ore, ritrovati insieme. Apparentemente tra loro scollegati: una dottoressa e un religioso.
Nelle indagini Vanina è aiutata dal commissario in pensione Patanè, presente ormai in tutte le indagini della vicequestore e da una squadra sempre più affiatata.
False piste, colpi di scena e infine la soluzione del caso.
Nel frattempo la storia d'amore tra Vanina e il magistrato Paolo Malfitano procede con un passo avanti e due indietro.
Cristina Cassar Scalia ha da poco annunciato che sta scrivendo la prossima avventura. Speriamo che nel prossimo romanzo Vanina faccia due passi avanti, si chiarisca un po' le idee. Lo spasimante pediatra, rivale del magistrato, saprebbe forse dare a Vanina un po' di serenità.
Nel blog potete leggere, della stessa autrice, anche le recensioni di: La salita dei saponari, L'uomo del porto e Tre passi per un delitto.
"Aveva smesso di nevicare da un paio d'ore e il cielo s'era riempito di tutte le stelle che l'occhio umano è in grado di distinguere. Ai bordi della strada che si inerpicava su per la muntagna, cumuli di neve seppellivano i muretti di pietra lavica. Così imbiancato, il paesaggio intorno, invisibile nel buio della notte, doveva essere uno spettacolo."
★★★☆☆
🍨 mousse alla fragola
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Molto intimo questo scritto di Chiara Gamberale, che ha la forma di un breve "diario" del periodo del lockdown. Di lei avevo letto alcuni romanzi. Non conoscevo l'aspetto fragile della sua personalità, i problemi di depressione con cui è costretta a convivere. Che bella persona è! Ha saputo trasformare le sue debolezze in forza, facendo volontariato, aiutando i malati. Brava Chiara Gamberale!
Come Chiara anch'io, per certi aspetti, ho apprezzato il lockdown .
Mi mancavano alcune persone, affetti, ma ho gradito la riduzione dei contatti . Sono "un'orsetta " e a casa, a fare il pane, senza troppi obblighi sociali, ci stavo bene. Forse perché, comunque, la mia numerosa famiglia era tutta riunita.
Ho letto questo romanzo per il torneo letterario di Robinson.
★★★☆☆
🍷 vino rosso
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"Questo giorno che incombe" di Antonella Lattanzi, vincitore del premio Scerbanenco 2021, è un noir molto coinvolgente ed avvincente, ma anche inquietante, soprattutto per chi ha bambini piccoli.
Una famigliola felice, composta di quattro persone, due giovani genitori in carriera e due figlie piccole, si trasferisce in una nuova casa alla periferia di Roma. Tutto sembra magnifico, finchè dal cortile del condominio sparisce una bambina.
Nel romanzo, molto lungo, si trovano riferimenti a quasi tutti i peggiori crimini commessi sui bambini negli ultimi 20/30 anni in Italia (Cogne, Avetrana, Denise Pipitone, ...).
Tanti i colpi di scena e gli stravolgimenti, tipici dei thriller, ma alla fine, a parte il colpevole, troppe questioni sono lasciate in sospeso. E a me questo non è piaciuto. In alcuni punti, inoltre, ho avuto l'impressione che l'autrice avrebbe potuto evitare di dilatare troppo gli eventi. Tuttavia il romanzo è molto bello, molto introspettivo. Vale la pena di leggerlo.
Mi resta una curiosità: la casa che parla è la coscienza della protagonista? O dell'autrice? O semplicemente un disturbo psichiatrico?
Dalla prefazione sembra di capire che la storia trae origine da un fatto realmente accaduto nella vita della scrittrice e che ha segnato la sua esistenza.
"Lo chiamavano tutti così, lì. L'incidente.
Era successo nel nostro condominio. Nel nostro palazzo.
Io ero troppo piccola per capire. Avevo otto mesi. Anche mia sorella era troppo piccola. Aveva quattro anni. Però che qualcosa non andava lì lo capimmo molto presto."
★★★☆☆
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🍋 limone
Nel romanzo "Il sentiero dei nidi di ragno", pubblicato nel 1947 da Einaudi, Italo Calvino affronta il tema della lotta partigiana. Lo fa utilizzando un approccio molto originale. Il punto di vista è quello di un ragazzino, Pin, un orfano, povero, rozzo che vive con la sorella prostituta.
Pin, dopo alcune peripezie, trova rifugio in un accampamento partigiano. E Calvino inizia a narrare le vicende della "scalcagnata" banda attraverso gli occhi del ragazzino.
La storia può essere letta su più piani: quello del bambino solo che non si trova a suo agio nè con i coetanei nè con gli adulti ed è alla disperata ricerca di un amico e quello della vicenda storica della lotta partigiana. Tra le righe emergono le contraddizioni di entrambe le parti in lotta. Chi ha scelto di combattere? È perché proprio da quella parte?
Il linguaggio è scorrevole e semplice, tranne l'uso di termini dialettali che inizialmente può mettere in difficoltà rallentando un po' la lettura.
"Pin sale per il carrugio, già quasi buio; e si sente solo e sperduto in quella storia di sangue e corpi nudi che è la vita degli uomini"
★★★☆☆
🍞 pane
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"Quando tornerò" di Marco Balzano è un romanzo che affronta il tema delle badanti straniere, per lo più dell'est, che lasciano la propria famiglia e si trasferiscono in Italia, per accudire bambini ed anziani. Ho scoperto esistere una vera e propria sindrome, il "mal d'Italia", che molto frequentemente colpisce le madri costrette a lasciare i figli per lavorare nel nostro paese. Per non parlare del disagio dei minori lasciati a casa, che spesso vivono la partenza come un abbandono. E' un romanzo importante che ci fa riflettere sulla vita di chi si prende cura dei soggetti deboli della nostra società. Nessuno pensa mai al sacrificio che queste madri fanno per lavorare.
Quello di Balzano è un romanzo familiare, diviso in tre parti e la voce narrante cambia.
Nella prima parte (DOVE SEI), Manuel (figlio di Daniela, emigrata in Italia per permettere ai figli, con il suo stipendio, di vivere dignitosamente in patria) racconta dal suo punto di vista, in ordine cronologico, i fatti accaduti e le sue emozioni da quando la madre è "scappata" fino all'incidente.
Nella seconda parte (LONTANA) la voce narrante è quella di Daniela che racconta, con continui salti temporali tra il periodo in cui Manuel è in rianimazione e il periodo in cui lavorava in Italia come badante, il suo punto di vista e va a colmare, in questo modo, le lacune narrative del racconto di Manuel.
Nella terza parte (BOOMERANG) la voce narrante è quella della figlia maggiore, Angelica, che prosegue la narrazione, anche da un punto di vista temporale.
Ciascun personaggio compie delle scelte, subisce quelle altrui e rivendica necessità, bisogni e aspirazioni. Manuel si sente abbandonato, non ha saputo accettare la situazione. Daniela si sente in colpa e Angelica si carica di responsabilità altrui.
Il romanzo è strutturato in modo originale, affronta un tema molto importante ed è scritto bene. Pone domande e svela situazioni a cui molto spesso chi assume una badante nemmeno pensa.
Ho trovato analogie con Lacci di Domenico Starnone per la costruzione del romanzo: tre personaggi/tre punti di vista.
Ho trovato somiglianze con L'acqua del lago non è mai dolce di Giulia Caminito, in particolare analogie tra le madri: forti, determinate, in grado di sostenere enormi sacrifici per permettere ai figli di studiare riconoscendo alla cultura la possibilità di determinare un riscatto sociale.
Il finale mi è parso un po' sbrigativo e pertanto non ho trovato il romanzo di Balzano all'altezza dei suoi precedenti: L'ultimo arrivato e Resto qui.
"Ragazzi miei, ho trovato lavoro in Italia. Devo andare, altrimenti non potrete più studiare e a momenti neanche mangiare come si deve. Io invece voglio che viviate con le stesse possibilità degli altri. Discutere con vostro padre è inutile, per questo sono andata via così. Non è un bel modo, lo so, ma se non mi fossi precipitata ne avrebbero preso un'altra. Comunque spero di stare via poco. Manderò un po' di soldi a papà e un po' a nonna Rosa, loro vi daranno quel che vi serve. Tu, Manuel, studia e abbi fiducia in me. Tu, Angelica, occupati di tuo padre e di tuo fratello e non volermi male per i sacrifici che ti chiederò. Vi voglio un bene che non so dire. A presto, Mamma."
★★★☆☆
🥃 amaro digestivo
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